per far accadere le cose bisogna stare in giro e contemplare con pazienza

Alcuni giorni fa accompagno un amico all’aeroporto. Perché la giornata non sia buttata, per quanto belli siano gli aeroporti e buoni i cappuccini, vado a vedere un posto non troppo lontano, nella bergamasca, che mi ero segnato sulla mia mappa delle cose da vedere.
Sono tre chiese, per sommi capi, che costituiscono un piccolo, rilevante e abbastanza particolare nucleo di costruzioni romaniche a poca distanza l’una dall’altra. Ci si può andare a piedi ma bisogna un po’ volerlo, perché tocca attraversare statalone sulle quali i furgoncini bianchi dell’artigianato locale sfrecciano insensibili al contesto e attraversare vigneti un po’ a caso. Ma ne è valsa la pena.
I luoghi sono tre, uno eccezionale – rotonda di san Tomè – e due notevoli, San Giorgio in Lemine e Madonna del Castello, li rappresento qui sotto.

Madonna del Castello è più grande perché è lì che poi succede la cosa che mi ha divertito. Siccome è chiusa, io ho finito il mio giro e si sta benone al sole autunnale, mi siedo fuori e contemplo. Dopo poco arriva un signore, settantacinque anni almeno, barba straripante dalla mascherina fatta di stoffa raccattata, mi gira attorno un paio di volte e poi mi apostrofa: turista?, sì, diciamo, la vuol sapere la storia? Eccerto, io le voglio sapere tutte, le storie. Mi racconti.

Son nato qui di fianco, conosco tutto qui. Ottimo, allora. La chiesa è molto molto antica, lo intuisco, ma non è questa, ce n’è una più piccola dietro, che poi è rimasta sotto. Certo, accade spesso, una sopra l’altra in un perenne ampliamento. La chiesa dietro è stata costruita, ci pensa un momento, nel quattrocento. Pausa. Avanti cristo. Epperdio, è il caso di dire, avete qui il record mondiale di antichità di chiesa, oserei dire un caso di eccezionale premonizione, lo guardo interrogativo. Dopo cristo, eh? dice. Eheh.
Poi è arrivata la regina, prosegue. Regina? Passo in rassegna mentalmente ciò che so, per nulla. Che regina? chiedo. Eeeh, la regina, Ostrubotti, Vandalsivi… ehm, la regina. D’accordo, non son qui per piantar grane. E insomma, la regina abitava in quella casa lì a fianco e poi ha costruito il ponte, quello qui a valle, enorme. Undici arcate. Accaspita, per dove si va al ponte, che lo vorrei di certo vedere? Scendo di qua? Eh no, il ponte non c’è più da molto tempo. Ah, che peccato. L’han distrutto i vichinghi. Ommerda, i vichinghi? Maledetti bastardi.

I vichinghi non bastano. Arriva una donna, cinquant’anni suppergiù, vorrebbe attaccare una locandina alla porta della chiesa. Per me, faccia. Ha bisogno di una mano per staccare le puntine dalla bacheca, l’attacchiamo ed è l’annuncio di una maratona di preghiera. Dodici ore di fila, dice. Pregare è importante. Noi annuiamo. Cominciamo venerdì sera alle nove. Senz’altro. Sapete quante volte sono stata a Medjugorje? Nove. Fa il gesto con le dita e noi facciamo le facce da ellamadoi. Il signore si sente defraudato del suo ruolo di guida e interviene: la chiesa è molto antica, ribadisce, e io faccio immagini di padre Pio a punto croce. Patapum, ha calato gli assi. Lei risponde pronta: io sono figlia di uno scultore. Pausa. Di arte sacra.
Lui non si fa intimorire, estrae il telefono e comincia a cercare le foto dei suoi padripii, osti ‘sti telefoni, mentre lui cerca lei approfitta della pausa e va a prendere in auto altre locandine da lasciarci, lui trova una foto sola, gliela mostra: ma no lo sfondo nero, dice lei, ma dietro è bianco, ribatte lui, io indietreggio lentamente sorridendo.

Vanno avanti parecchio, poi vanno all’auto di lui e ne estrae dei fogli, forse qualche pittura estemporanea, e io resto al sole autunnale a guardarli divertito, perché adoro la provincia quando non ci vivo e adoro le avventure, anche quelle piccoline come questa. Ma bisogna far sì che accadano, le cose, bisogna stare lì, aspettare, magari chiedere, provare. Una chiesa chiusa, antichissima, un po’ di sole, un giorno di stanca, i vichinghi, la regina, un po’ di pazienza e magari tutto si combina al meglio, come stavolta. Ne ho un bel ricordo, volendo se ne potrebbe fare un racconto di viaggio alla Rumiz, a me è piaciuto raccontarlo come è avvenuto, con tanto di foto dei due astanti.
Avrò perso qualcosa in sensazione, certo, ma c’era già sufficiente sostanza per non dover enfatizzare nulla. Grazie, signore nato accanto alla chiesa e sì, anche a te, maratoneta della preghiera senza mascherina, è stato divertente.

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