laccanzone del giorno: Larkin Poe, ‘When God closes a door’

I Larkin Poe sono un quartetto rock di Atlanta la cui linea avanzata sono due sorelle chitarriste, una slide e l’altra no, per cui verrebbe da chiamarli le Larkin Poe. Battezzate affettuosamente ‘le piccole sorelle degli Allman Brothers‘, sia per la comune origine che per una certa predilezione per il root rock, devo dire che è difficile resistere.
Il loro secondo disco, Reskinned, del 2016, è a dir poco notevole e una tra le canzoni migliori, con attacco irresistibile, è When God closes a door. Questa è la versione più sensata nonostante Skype che ho trovato nel sito dei videi:

Si trova parecchia roba in giro, segnalo il concerto che hanno fatto al Rock am Ring l’anno scorso, registrato con un telefono e ciò nonostante si sente la sostanza, parecchia. Da mettere e tenere su, eccome.

basta

Non si dicano nefandezze: Riina non ha diritto a un cazzo di niente. È già molto che sia vivo e indecente che abbia vissuto così a lungo come latitante, libero. Che si tolga dai coglioni, lui che come pochi ha contribuito a mantenere questo paese arretrato e sottosviluppato, e non chieda nulla, perché a nulla ha diritto: nessuna compassione o pietà, ne ha già avute a palate.

(La coincidenza è che sto leggendo proprio ora questo libro: Giuseppe D’Avanzo e Attilio Bolzoni, Il capo dei capi. Vita e carriera criminale di Totò Riina. Lo stesso Bolzoni oggi ha detto, in modo condivisibile: «Sia curato al meglio, ma non esca dal carcere», la sola idea che un carnefice del genere possa uscire è a dir poco incredibile).

la gioja del disco nuovo: Hitchcock

L’uscita di certi dischi è gioja, gioja pura per me e per chi ha dalla musica un piacere non sporadico: Robyn Hitchcock, Robyn Hitchcock, uscito alla fine di aprile.
Se esistessero ancora i negozi di dischi, sarei corso.

Quei tocchi un po’ così che Hitchcock ha sempre, la camicia psicolica, il gatto da pensionato inglese, la copertina a mosaico, e un disco che giganteggia come sempre tra i generi più diversi: alla Johnny Cash alla festa del porcello, I Pray When I’m Drunk, al rock schitarrone e bello, I Want to Tell You About What I Want, la canzone che non capisci bene al primo giro ma che al secondo ti ha già conquistato nonostante il verso improbabile tra ritornello e titolo, Sayonara Judge, il pezzo da matto che più inglese non si può, Detective Mindhorn, il coutry minimo di 1970 in Aspic tutto in slide.
Insomma, il solito pazzo completo che sforna dischi a go-go che qui, io, non si può non amare parecchio.

bombolette depilatorie con fiamme libere e la realtà tutta da vedere

Dopo aver sconfitto i CFC, clorolofluorolocarburoli, così dannosi per l’ambiente e l’ozono, e aver rivisto in pieno la tecnologia utilizzata per spruzzare le sostanze liquide, ci si accorge che alcuni passi – certo meno sostanziali ma importanti in qualche maniera – sono ancora da fare.

Donna, d-d-d-o-o-nna, aloe e dolcezza sulle gambe, due lame per rendere la donna liscia nella sua essenza. Con avverbio fatale.

Non c’è striscione, o quasi, che non contenga l’errore micidiale, perché la nostra civiltà avanzatissima ha sì abbattuto i costi di stampa ma ha abbattuto, insieme, anche quel tizio che legge le scritte e si accorge quando sono sbagliate.

Le traduzioni dal cinese, infine, sono la cosa più bella del mondo: il modello Gùgol trasleit portato a regola del commercio per far capire al consumatore europeo le virtù del prodotto nella sua lingua propria.

È un maremagno immenso e ricco di pesci questo dei refusi e svarioni e io, devo vergognarmi?, nuoto contento e felice senza stancarmi mai.
[Grazie a mr. A. per quest’ultima, le altre sono mie].

laccanzone del giorno: Bronze Radio Return, ‘Up, on and over’

I Bronze Radio Return sono una band americana, connecticana, in giro da una decina d’anni e al quarto disco, in forma di sestetto come prescrive la legge dell’indie rock (che non vuol dire un cazzo ma si usa), ovvero con banjo e armonica. Non una gran presentazione, in effetti potevo farla più entusiastica, ma basta ascoltarli: notevoli.

La loro capacità di rilasciare singoli a effetto non è sfuggita a molti e, da ora, a me: tour in giro per gli Stati Uniti, aperture per la grandissima Grace Potter e, per dire la grandezza, Nikka Costa. Un ascolto e mezzo e sarete loro per un po’.

maledetto Mozart

Dal 1 giugno 1967 sono cinquant’anni dalla pubblicazione di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band: la cosa è ampiamente ripetuta, in questi giorni, si sa. Gran disco, è un fatto, trentanove minuti di idee, tra le quali io trovo irresistibile Lovely Rita – vado avanti a canticchiarla ore, troppo divertente e troppo ricca di cori e suoni matti (bda-bda-bda-ah-ah) – i pettini suonati sulla carta e un miliardo di novità che nei dischi non erano entrate mai. Certo, i Beach Boys li avevano bruciati di poco con Pet sounds ma non era mica una gara, si contribuiva tutti.
Comunque, Sgt. Pepper comincia con questi tre pezzi, in sequenza: Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, With a Little Help from My Friends e Lucy in the Sky with Diamonds. Imbattibile, o quasi. Di dischi che iniziano in modo così folgorante non ce ne sono poi molti, li potremmo contare sulle dita della mano di un monco, e gridare al miracolo non è poi così fuori luogo. Aaaaah (grida da miracolo).
Comunque, il mondo è pieno zeppo di gente che fa musica, per fortuna, e la stragrande maggioranza di loro, forse tutti, ucciderebbero per riuscire a scrivere anche uno solo dei pezzi di cui sopra, magari Lucy. E non per scriverli in un disco ma in una vita, uno solo basterebbe a dare senso a una vita musicale. E loro, intendo Lennon-McCartney, invece no: zac!, tre bombe atomiche, senza pensarci troppo. Sfrontati.
E i Salieri del mondo, anche stavolta, a rosicare. Così va il mondo, viva!