Penso di poter affermare con un buon grado di certezza che la copertina su cui si siano imbizzarriti di più i grafici editoriali sia Lolita di Nabokov. Ragazzine ammiccanti da ogni parte, da una vaga sobrietà alla più spinta esposizione senza freni che poco hanno a che vedere con il romanzo. Quattro esemplificative tra le ragionevoli, nessuna idea buona davvero:
Per tentare di ovviare allo scempio o, quantomeno, denunciarlo visto che dura da decenni o pro domo sua, l’architetto John Bertram ha lanciato un concorso per nuove copertine del romanzo e, tra molte, spicca per arguzia quella ideata da Jamie Keenan, che è uno bravo.
Sia perché richiama, com’è ovvio, il corpo, sia perché l’angolo è il posto dei colpevoli, sia perché è la stanza della ragazza e così via. Notevole. Poi Bertram ci ha fatto un libro, Lolita: Story of a Cover Girl. Comunque, io mai letto e nessuna tentazione, sono onesto, troppe cose da leggere prima.
La prima è il Baltic Forest Trail che, come dice il nome, scorrazza per le foreste lituane, lettoni ed estoni per 2141 km, partendo dal confine polacco-lituano a Lazdijai fino a Tallin. O, ovviamente, viceversa.
Su sentiero, ciclabile o passerella, tutto il percorso, che è parte dell’E11, sentierone che parte dai Paesi bassi, richiede tra i centodue e i centoquattordici giorni per essere ultimato ed è suddiviso in segmenti da circa venti chilometri pari a uno massimo due giorni di cammino, tutti punteggiati da posti in cui soggiornare e trovare trasporti.
Uno dei tratti più belli è quello tra Riga e Tallin, il Metsa trail, suddiviso anch’esso in cinquanta tappe da un giorno, ciascuna da venti chilometri, ha anche alcune varianti in base alla difficoltà ed è completamente servito, l’asfalto è molto raro.
La seconda proposta, come da titolo-promessa, sempre per svagarsi a piedi o in bici in Livonia, Curlandia, Semgallia e Samogizia, è il Baltic Coastal trail che, come dice il nome, costeggia tutta la costa del mar Baltico lungo le tre Repubbliche Baltiche. 1419 km, circa una settantina di giorni di percorrenza è parte dell’E9, ovvero un percorsone dal Portogallo all’Estonia che segue tutta la costa nord dell’Europa.
Stesso tipo di segmentazione, tappe da venti chilometri, il massimo di altitudine raggiunta sono i 67 metri delle dune nella penisola di Neringa, ne ho parlato qualche mese fa quando ne ho fatto un pezzetto, girolando tra Nida e Klaipėda. Posti strepitosi e alcune tra le pinete più belle che io abbia mai visto, mi riposto per testimonio:
Farne qualche pezzo, saltare di qua e di là, star via centosettanta giorni andando per l’interno e tornando sulla costa, a ciascuno quel che voglia. Tra l’altro, i due siti che ho indicato sono una meraviglia, dettagliatissimi tappa per tappa, persino con le tracce gpx da scaricare, non oserei chiedere di più. A me che sto qui a scriverne e fantasticarne già mi brucia la sedia sotto al sedere, accidenti alla funzione di servizio.
Torna Tusk, Kaczynski a quel paese, il 75% degli aventi diritto ha deciso, viva i compagni polacchi, la fratellanza e l’amicizia tra i popoli, il sol dell’avvenire e avanti tutta con un bel piano quinquennale. Io parto prontamente per la Polacchia, ci andavo volentieri con gli orchi, figuriamoci ora.
Elliot Erwitt è un grande fotografo. Giovane con Capa, Steichen, Stryker e i giganti, lavorò ad ampio spettro per la Standard Oil e seguendo i grandi avvenimenti dalla visita di Nixon in URSS nel 1959 all’insediamento di Obama. Nato a Parigi da genitori ebrei russi e poi naturalizzato americano, prima di parlare di politiche di immigrazione bisognerebbe sempre ricordare i contributi dati al mondo in ogni campo da chi si muove, chi si mischia, chi cambia. Chi sta fermo, in generale, ha meno da offrire. Teorico della fotografia che coglie l’attimo, che scatta nel momento giusto senza costruire la posa ad arte, ha spiegato al riguardo: «All photographers strive for that special moment that transcends the subject and transcends the place and [has] something that last and can be looked at for years to come. And that’s what is called magic», traduco malamente: «Ogni fotografo lotta per quell’attimo straordinario che trascende il soggetto e trascende il luogo, ed [ha] qualcosa che dura e che può essere guardato negli anni a venire. E questo è ciò che si chiama magia». Famose molte sue foto, la signora con la faccia di bulldog sugli scalini, la bambina al museo egizio e così via. Non si tratta, ovviamente, solo di aspettare e cogliere, per quello uno fotografa un saltatore in lungo con un tempo brevissimo. Si tratta di partecipare a ciò che si inquadra, di averne compassione, di condividerne la sorte, di coglierne e restituirne l’umanità ed è questo che rende Erwitt grande. Una delle sue molto riuscita è la fotografia scattata al Prado, nella sala in cui sono esposte affiancate la Maja vestida e la Maja desnuda di Goya.
Va spiegata? No, non credo. È buffa, anzi sono buffi quegli uomini ingruppati che sembrano aggiungere al senso dell’arte qualcos’altro, e il tizio in primo piano in impermeabile – porello, inconsapevole – aggiunge un elemento non da poco in questo senso; la contrapposizione con la donna composta, sola, che osserva con attenzione la vestida completa la composizione della foto. Ricordo un’intervista di Erwitt in cui spiegava che, come tutte le sue foto, anche questa non fosse preparata, si trattò solo di aspettare, aspettare finché non fosse venuta un’occasione. Non disse, o non lo ricordo, quanto aspettò, chissà se scene del genere in quella sala siano frequenti oppure no, non saprei che augurarmi. Sto lì, guardo questa grande foto che dice molto su noi persone con grande umanità, mi aspetto sempre che a un certo punto l’uomo apra l’impermeabile verso la Maja ma, forse, questo è ingiusto.
Non è quel momento dell’anno preciso ma è sempre il momento di contribuire a tenere in piedi «il più grande progetto collaborativo nella storia dell’umanità» nonché, più modestamente, il sito che visito di più, wikipedia. Stavolta ho rischiato pure di romperla, cercando ‘wikipedia’. Non sarò l’unico a usarla. E quindi? Quindi sostenere, sia editando che correggendo che, più volgarmente, cacciando due lire o tre.
Non è tanto per quello che possono sequestrare, che comunque ha la sua buffa rilevanza, quanto per la posa con la merce, spesso con lo sguardo intenso e pensoso verso l’oggetto o l’animale o l’obbiettivo. Un contatore. Del gas.
E quello della luce. Entrambi i carabinieri fotogenici e bellocci, vigilano anche sull’energia.
Sublime la posa coreografica dei due, incrociati sulla bestia:
Più noncuranti quelli di Agrigento con le pecore, nemmeno un minimo di composizione fotografica (però c’è chiaramente un ispettore, in campo):
Molto meglio questa, con la carabiniera che simula un momento di lavoro, verbali e carte, in mezzo al sequestro. Colgasi il dettaglio del lampeggiante, colto acceso, non casualmente. Chissà quante ne hanno scattate.
Non da meno i forestali, in questo caso in posa da catalogazione, uno dice: «Fringuello dal collare» e l’altro scrive. Magnifici:
Sempre forestali, in questo caso il giovane guarda il dromedario che guarda l’altro che ricambia lo sguardo. Quasi caravaggesca, ci fosse più chiaroscuro:
Non male per niente il forestale che interviene alla fine del processo della foresta, al momento della salsiccia insaccata e alle centottanta uova:
Tornando ai carabinieri consueti, inarrivabili le prossime tre. La prima con uno che controlla il verbale della confisca del barattolo di crema da spalmare e l’altro con sguardo vigile, è il caso di dirlo, che controlla i movimenti del fermato. Bella anche la disposizione delle banconote su quello che sembra proprio un banco di scuola.
Altrettanto inarrivabile la coppia in posa davanti alle scarpe, ancor più visto che hanno sentito l’esigenza di mettere in posa anche la volante in quello che non sembra per nulla un garage quanto un ufficio. Quello a sinistra pare meno convinto e, infatti, viene sorpreso a guardare in macchina:
Ultimi ma non ultimi, i due del cactus. Lo sguardo di entrambi fisso su di lui aspettando che proferisca verbo e che indichi la strada da seguire è fenomenale:
Una serie paragonabile alla leggendaria e indimenticata serie di Kim Jong-un che guarda cose. (Grazie a Il Post per l’ispirazione).
Caroline Rose, cantautrice apprezzabilissima per la sua Soul n°5 e che parecchio mi fa ridere nelle cose che fa, ha valicato un importante confine nel merchandising:
Il prezzo è giustamente insensato, metti poi che qualcuno li voglia davvero.
facciamo 'sta cosa
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