Stavolta, per la prima volta da parecchio, in piazza non c’ero.

Vero, accidenti. Ma la memoria no, quella c’è ed è immutata. E, per fortuna, c’era parecchia gente, più bravi di me.
Stavolta, per la prima volta da parecchio, in piazza non c’ero.
Vero, accidenti. Ma la memoria no, quella c’è ed è immutata. E, per fortuna, c’era parecchia gente, più bravi di me.
“We would like to share the playlist that Ryuichi had been privately compiling to be played at his own funeral to accompany his own passing. He truly was with music until the very end”.
La si ascolti con il rispetto e, soprattutto, con l’attenzione che merita.
Altrimenti, si lasci stare.
Oggi è l’anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine perché ieri era l’anniversario dell’attentato di via Rasella. Il fatto che Meloni dichiari: «La memoria dell’eccidio è da onorare, una strage che ha segnato una delle ferite più profonde e dolorose inferte alla nostra comunità nazionale: 335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani» dimostra quanto sia necessario ricordare a chi mente e omette i fatti come andarono. Furono massacrati solo perché antifascisti.
E non solo: tutti i compari di Meloni si affrettano a tralasciare o specificare solo che si tratti di strage nazista quando, invece, è opportuno ribadire che la strage è nazifascista, dato che il supporto italiano in essa fu tutt’altro che trascurabile, a cominciare dal questore Caruso. Fatti.
Manlio Bordoni fu arrestato dalle SS il 12 gennaio 1944 nella sua casa di via Taranto, a Roma, su delazione della spia famigerata Franco Sabelli. Fu portato in via Tasso, nella tremenda prigione dei tedeschi, e torturato come sempre accadeva in quelle stanze. Bastonato a sangue, si risolse, alla fine, a confessare i nomi dei complici: «Oh, sono parecchi», disse stremato alla fine, «Cavalcanti Guido, Muratori Ludovico, De Sanctis Francesco, Marino Giovan Battista…».
Ottenuta la confessione, i tedeschi lo trasferirono a Regina Coeli.
Giorni dopo, fu prelevato e dopo molte ore lo riportarono in cella semisvenuto, torturato a sangue. I compagni gli chiesero cosa fosse successo, Bordoni rispose: «Quelle carogne devono aver consultato un libro di letteratura», con il poco fiato rimanente.
Condannato a morte dal tribunale tedesco dell’Hotel Flora per gli atti di sabotaggio all’Acqua Santa, fu poi assassinato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944, a ventiquattro anni.
Che coraggio, certe persone. Ho solo da imparare, ricordare e raccontare.
Come ogni 15 dicembre, il pensiero va a Giuseppe Pinelli e al quarto piano della Questura di Milano. Cosa, dunque, di meglio di ricordarlo e guardare Morte accidentale di un anarchico di Fo? Non molto.
Non si dia per scontato, l’opera teatrale è sensazionale, qualche anno fa era il testo teatrale più rappresentato al mondo, Shakespeare battuto, ma soprattutto al tempo fu una prima esperienza di controinformazione e controinchiesta clamorosa, insieme agli articoli, ai testi, alle canzoni scritti nel periodo da chi aveva deciso di non fidarsi più di quello Stato.
Ancora e ancora e ancora. Non basta segnalare la completa assenza del governo e delle istituzioni nazionali o regionali, bisogna anche rilevare che questa sera la RAI trasmetterà un documentario sulla morte di Sergio Ramelli e su quella di Walter Rossi. Non l’undici, non il tredici, questa sera. Perché tutti i morti sono uguali? Bene, come volete.
Niente di nuovo, proprio niente. Ed è per questo che dobbiamo ricordare ancora il dodici dicembre a Milano e le sue vittime ancora oggi. E lottare, ancora.
Con anticipo sul dodici dicembre, passo da piazza Fontana a Milano. Ovvio che il pensiero vada alla banca dell’Agricoltura, alla bomba, alle vittime, a Pinelli, a Valpreda, a Calabresi, ai neofascisti, all’attuale presidente del senato.
Bene abbiano tenuto l’insegna originale. Oggi è un’agenzia del Monte dei Paschi, che in quanto a buchi non è da meno, finanziari per fortuna. Entro, non è la prima volta, voglio portare un minuto di omaggio, boh, guardare e pensarci un momento.
Dove c’era il tavolo sotto cui fu lasciata la bomba, ovvero dove c’era il buco, oggi c’è un tavolo a forma di orologio, che ricorda l’ora dell’esplosione. È una banca normale, la gente entra, esce, gli impiegati scherzano, va bene così. Chissà quanta gente come me vedono entrare solo per vedere dove accadde, chissà chi entra e si commuove, chissà se ancora ci fanno caso. A me no, come è giusto. Il salone è ancora simile, gli uffici e le vetrate sono quelli, qui cinquant’anni sono passati un po’ meno, perché non è lecito rinnovare più di tanto. E niente, era per pensarci un po’, quanto tempo è passato da allora e, per altri versi, quanto poco ne è trascorso.
Visto che siamo in periodo di ricorrenze, il centenario, e in periodo di rigurgiti tematici, il manipolo ora al governo, un altro anniversario oggi, è bene riparlare di un libro memorabile di Emilio Lussu: Marcia su Roma e dintorni.
Marcia su Roma racconta gli avvenimenti dal 1919, i dintorni, al 1922, i fatti che portarono alla marcia stessa e alle nefaste conseguenze, ovvero l’affermazione del fascismo, con il piglio del memoriale ricco di notizie di prima mano, essendo Lussu un testimone e persona capace di interpretare ciò che gli accadeva attorno. Il tono è spesso ironico e il racconto di alcuni personaggi, l’imbelle presidente del consiglio e ministro dell’interno Facta, detto Nutro fiducia, e l’altrettanto immobile sciaboletta, sono ridicoli e tragici insieme, sapendo poi cosa accadde. Di Facta ne ho raccontato tempo fa.
Lussu, quello dell’Altipiano, era un duro, prima militare nella Prima, poi fondatore di Giustizia e Libertà, al confino a Lipari da cui fuggì in modo rocambolesco, poi dirigente nella guerra di Spagna e nella Resistenza. Uno che fu assalito a casa sua dai fascisti e invece di scappare li affrontò da solo con il fucile, avendo la meglio. Ma, anche, una testa politica senza pari seppur, dicono alcuni, portato al disordine.
Io consiglio caldamente in questi giorni cupi anche se non come quelli di allora, perché – banalmente – sapere serve sempre. Ed è una gran lettura, breve, sapida e densa di contenuti. Fatevi un favore, c’è da imparare molto da quest’uomo.
Ancora.
Quest’anno, un’iniziativa commovente. Ottantacinque volontari, dalle 10:25 di stamane, sono partiti e stanno partendo per le destinazioni che le vittime della strage non raggiunsero mai: isole Tremiti, Arco di Trento, Ostra, Santa Cristina in Val Gardena e così via, un viaggio per ciascuno. Il viaggio che non poterono completare. Una valigia bianca ciascuno che consegneranno, una volta arrivati, a un passante, cui racconteranno la storia della persona che rappresentano.
Completare un viaggio è dare una conclusione e liberare energie per altro, per il prossimo, è necessario per lasciare libero lo spirito, per mettere un punto almeno su questo. Lasciarli liberi, almeno quello, di lasciare quell’accidenti di stazione e andarsene dove desideravano. La trovo un’idea meravigliosa, avrei partecipato con commozione, bravi Compagnia Teatro dell’Argine. Grazie.
Quarantottesimo anniversario della strage, anche oggi in piazza.
Sole, piazza abbastanza piena, non come dovrebbe essendo anche sabato. È che gli anni passano, poi non ci sono più gli operai e quei pochi che ci sono votano di là, i partiti non costituiscono più forza attiva nel paese e, comunque, preferiscono diluirsi sullo sfondo, un po’ di sindacati, rappresentanze di decine, qualche scuola volonterosa, cittadini più che altro.
Ma son cambiate tante cose, una relatrice dopo la commemorazione apre con una frase di Moro, fino a pochi anni fa sarebbe stata sommersa dai fischi. Forse non in peggio, chissà.