il cinquantaquattresimo dodici dicembre

La faccenda è un po’ passata in cavalleria, torna a ondate, oggi è solo nelle pagine milanesi del Corriere come fosse storia locale. Meglio il posizionamento di Repubblica, in alto, che propone un giusto approfondimento, “La strage di piazza Fontana spiegata a chi non c’era“, peccato sia in abbonamento e arrivederci allo scopo di spiegare qualcosa a qualcuno. Che non è certo abbonato, pirlette.
Non sono mai sicuro di cosa sia bene, alla fine che la stagione in cui si mettevano le bombe in banche e stazioni e in cui si sparava alle manifestazioni sia definitivamente passata e che, di conseguenza, la si ricordi meno, non è del tutto un male, mi dico. Certo, il fascismo, la memoria, per carità, noi stessi però conosciamo e ricordiamo sommariamente le vicende della Resistenza e degli eccidi fascisti e nazisti e non è detto che si partecipi come si dovrebbe e, allora, cosa pretendere dai ventenni di oggi? Che conoscano le dinamiche di Portella della Ginestra? E così indietro, fino alle guerre puniche. E Bixio? E Bava Beccaris? Che eran meno giuste quelle cause? No ma chiaramente non voglio mescolare tutto nel calderone, poi sorgono le repliche fastidiose (e i marò? e il PD?), vorrei dire che la memoria trascende inevitabilmente le durate delle vite umane, o delle fasi di esse, e piano piano tramonta; diventa necessario scegliere le cause e le battaglie, tenerne vive alcune più di altre. Piazza Fontana, per molte ragioni, è una che varrebbe la pena tenere viva.

novembre 1994

Tra le tante fotografie che non ho mai stampato, ne saltano fuori talvolta alcune dell’alluvione del Po del 1994.

In realtà furono Tanaro, Orco e Dora Baltea, gonfi della pioggia di quei giorni ed esondati ovunque, a ingrossare enormemente il Po che uscì in modo disastroso dagli argini in Piemonte e Lombardia per chilometri e chilometri, parecchi morti. Questa foto la scattai nel pavese, poco dopo il ponte della Becca alla confluenza col Ticino, altissimo anch’esso, era acqua a perdita d’occhio, arrivò a pochi metri da casa nostra e sommerse borghi e parti di città. Si temette per tutti i ponti, molti crollarono. Ricordo le settimane successive, fuori dai paesi i cumuli di rottami, mobili e oggetti da buttare, conservo ancora una sveglia presa dal mucchio a San Zenone al Po.

verità e pensieri nella testa di uno valido

Anche quest’anno il cinque dicembre morì Mozart.

Animo libero, spirito progressista, vero primo professionista indipendente nella musica, demente a tratti, infantile e geniale insieme, come non apprezzarlo sia come che persona che, ovvio, come musicista? Per questo lo ricordo il cinque. Capace di sontuosità musicali e di pensiero, «Viviamo in questo mondo per imparare e per illuminarci l’un l’altro» e di luminose verità, «Insomma, quando ci si è svuotati, la vita torna a sorridere». Quali siano le une e quali le altre, a ciascuno secondo.

«laggiù lo spettacolo è terrificante»

Il primo dicembre di cento anni fa il crollo della diga del Gleno.
La sera prima era così, ultimata da pochissimo.

Piena piena per le recenti piogge e nevicate, ai tentativi di svuotamento l’acqua cominciò a filtrare da sotto la parte aggrappata alla roccia, quella poi crollata, e il guardiano durante la notte vide una crepa che si allargava a vista d’occhio.
Alle 7:15 del primo dicembre 1923, la diga crollò. Sei milioni di metri cubi di acqua scesero per la valle, trascinando con sé qualsiasi cosa sul proprio percorso, arrivando al lago d’Iseo quarantacinque minuti dopo. Le vittime accertate furono 356 ma il numero è incerto.

Nessuna disgrazia ma successione di crimini. Un interessante resoconto fotografico realizzato da Fondazione Musil con materiali messi a disposizione dall’archivio Negri qui. E il volume che ricostruisce l’intera storia appena pubblicato, disponibile integralmente (grazie D.).

Qui sopra la diga com’è ora ed è, nonostante l’accaduto, un bellissimo posto dove andare cento anni dopo.

un film da vedere, far vedere e raccontare

Stasera ‘Io capitano’, il coraggioso film di Garrone.

Straziante quanto strepitoso, pieno di umanità e terribile, è il modo giusto di raccontare le cose: senza enfatizzarle – e già di per sé sono tremende – e senza cadere nella tentazione di toccare il lato italiano dell’accoglienza o del respingimento, così da non offrire facili sponde per liquidare l’intera questione come argomento di parte. Nonostante siano vicende note, vederle in fila, in un susseguirsi di brevi intervalli di sfruttamento in ogni passaggio del percorso, legate dalle vite dei protagonisti colpisce dritto tra la gola e lo stomaco, e il magone ancora non è passato. Io lo renderei programma scolastico, poi discutiamo – legittimamente – delle modalità di accoglienza ma prima lavoriamo perché ciò non accada e trattiamo chi compie questo viaggio con rispetto, compassione e, se possibile, affetto. La figura del profugo muratore che dicendo così poco ma con sguardi paterni si prende cura del protagonista è commovente, recitata con grande bravura tra la bravura di tutti gli interpreti.

A margine, per coloro cui servisse ancora, numeri alla mano la dimostrazione che la presenza delle navi delle ONG non contribuisce ad aumentare le traversate via mare (il cosiddetto pull factor su cui il governo insiste non avendo argomenti) e un’utile quanto opportuna sintesi dei luoghi comuni sulla questione-immigrazione, uno per esempio: «I partiti della destra italiana ripetono spesso che l’Unione Europea non sta facendo abbastanza per aiutare l’Italia, lasciandoci ‘soli’ nella gestione degli arrivi. In realtà sono proprio i paesi tradizionalmente alleati con la destra italiana, ossia la Polonia e l’Ungheria, che si oppongono a ogni riforma strutturale del sistema di accoglienza comunitario che includa una qualsiasi forma di redistribuzione dei migranti».

Andate al cinema a vederlo, così diamo anche qualche numero come presenze. E poi se ne parli, lo si racconti a chi non andrà a vederlo, si provi, io per primo, a farne azione.

mandateci l’ebreo (3)

Quella qui sotto è una delle fotografie che possediamo della famosa breccia di Porta Pia, tutta a destra, ovvero la parte delle mura aureliane di Roma che fu abbattuta dai bersaglieri il 20 settembre 1870 alla presa di Roma.

Il Papa promise scomunica, mandarono avanti un giovin ebreo. La storia è sapida e breve, l’ho già raccontata; volevo aggiungere la foto, davvero notevole, di Lodovico Tuminello che documentò di persona i fatti.

ancora Bologna, ancora il quattro agosto

1974, alle ore 1.30 del 4 agosto, una bomba esplose nel secondo scompartimento della quinta carrozza del treno Italicus, Roma-Monaco di Baviera, mentre transitava all’interno della galleria della Direttissima a San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna.
Morirono dodici persone: Nunzio Russo di Merano, tornitore delle ferrovie, la moglie Maria Santina Carraro e Marco, il figlio quattordicenne. Nicola Buffi, 51 anni, segretario della Dc di San Gervaso (Fi) ed Elena Donatini rappresentante Cisl dell’Istituto Biochimico di Firenze. E poi Herbert Kontriner, 35 anni, Fukada Tsugufumi 31 anni, e Jacobus Wilhelmus Haneman, 19 anni. La bomba uccise anche Elena Celli, 67 anni e Raffaella Garosi, di Grosseto, 22 anni. Silver Sirotti, invece, non era stato coinvolto nell’esplosione. Aveva 24 anni ed era stato assunto dalle Ferrovie da dieci mesi, stava svolgendo servizio sul treno quella notte e, quando vide le fiamme in galleria, impugnò un estintore e incominciò a estrarre i feriti. Rimase anche lui bloccato tra le fiamme. Fu decorato con la medaglia d’oro al valor civile. L’incendio rese irriconoscibili molti corpi, tra cui quello di Antidio Medaglia, 70 anni, che venne riconosciuto dalla fede al dito.

L’attentato fu subito rivendicato. Fu fatto ritrovare un volantino di Ordine nero che proclamava: “Giancarlo Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l’autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti“.
Poi qualcuno fece il nome di Tuti, qualche pista portò poi a Gelli (Arezzo è vicina), al SISMI e così via. Facile indovinarne la conclusione: nessun colpevole individuato.

Questo è un post di dieci undici dodici tredici sedici anni fa. E la cosa tragica è che non fa nessuna differenza.

ancora Bologna, ancora il due agosto (e son quarantatre)

E quest’anno col governo dei nipotini dei neofascisti e qualche neofascista imbalsamato tocca pure rimettere certi puntini sulle matrici fasciste della strage e sulle sentenze che ne danno ampiamente conto. Ma tant’è, nessuna novità per l’Associazione e per coloro che vi sono vicini, è quel che si fa da quarantatre anni. Certo, sarebbe bello non servisse più come sarebbe bello avere un altro governo, un altro presidente del Senato, della Camera, altri elettori e così via. Ma questo è il paese delle bombe, non quello dei sogni.