È finito l’autunno e, quindi, anche la mia compila musicale della stagione. Eccola, bella pronta. Essendo autunno e mi aveva preso un che di riflessivo, questa è meno rocchettara e un po’ più sperimentale, almeno la prima metà, ci sono dei bei bassi e dei ritmi interessanti, secondo me andrebbe sentita in cuffia. Durando tre mesi, cambiano nel tempo, le compile arrivano in un posto diverso da quello da cui sono partite e questo mi piace molto. Penso sia un bel giro di dieci ore, per chi ne ha voglia o, magari, un viaggio in Calabria.
Poi ci sono quelle passate, le undici stagioni precedenti, altro che serie tv.
Alle dieci di questa mattina accadrà il solfrizzio d’inverno. Come al solito, non starò qui a spiegare le processioni, le inclinazioni, le declinazioni, le latitudini e le eclittiche, perché bisognerebbe pur ben capirle. Basti dire che da domani non solo è inverno boreale ma i giorni ricominciano a durare di più. Se pare poco.
Buon inverno ai meritevoli, come al solito, ai cattivoni niente.
Schifosa uno. Un tizio assolda un criminale per spezzare le mani al proprio figlio, chirurgo, reo di essere omosessuale. E già la cosa è quella che è. Una politica italiana di destra, nota per i toni esasperati, cavalca la cosa e si dice indignata. Lei, la politica, è però la stessa che, con il proprio partito, ha votato contro la legge Zan, contro l’omofobia, facendo una plateale protesta in parlamento. Ecco, la legge Zan serve proprio a questo, qualcuno glielo spieghi visto che non ci arriva. Lei è ovviamente Giorgia Meloni.
Schifoso due. Lui afferma che, se ci sarà il lockdown durante i giorni di natale, uscirà trasgredendo le regole e andrà a mangiare con i senzatetto, facendo volontariato. E invita pure tutti a farlo. Peccato sia il segretario di un partito che da trent’anni fa una lotta sfrenata contro i clochards, i senzatetto e tutti coloro che non sono inseriti nel sistema. Ovviamente senza mai aver fatto un minuto di volontariato in favore di altri. Basterà ricordare l’episodio recente in cui l’assessora alle Politiche sociali del Comune di Como, del partito, ha strappato la coperta a un senzatetto che dormiva per terra e che ostacolava la sanificazione. Lui è ovviamente Matteo Salvini.
Libera nos, domine. Già abbiamo i nostri problemi.
Ed ecco il DPCM delle feste di natale e capodanno. Secondo la catalogazione in uso nelle regioni, saranno giorni gialli fino al 23, poi rossi 24, 25, 26 e 27, poi tre giorni arancioni, poi di nuovo rossi dal 31 al 3, poi un giorno solo arancione, il 4, poi due rossi fino all’epifania e poi chi vivrà vedrà. Sarà permesso ricevere a casa due persone non conviventi per natale e i ragazzi sotto i quattordici non fanno numero, ci si potrà spostare dal proprio comune a un comune confinante ma solo se entrambi sono sotto i cinquemila abit… ecco, a questo punto il mio spirito collaborativo è già andato a farsi friggere. Eh no, così non va, ancora una volta ci vorrebbero patti chiari così che sia chiaro a tutti cosa fare e cosa no. E invece gente che parte per destinazioni esotiche, gente che si riunisce a go-go, gente che si assembra nei centri commerciali e nelle vie dello shopping, gente che fa cene, che parte, che torna. Perché se il principio è quello del «teniamo i negozi aperti ma è meglio se non ci andate», allora lasciamo perdere. Il governo dichiara lo schieramento di forze ingenti a controllo di vie, stazioni, strade e luoghi di assembramento, facendo un po’ di terrorismo preventivo, ma se «dal 21 dicembre 2020 al 6 gennaio 2021 è vietato, nell’ambito del territorio nazionale, ogni spostamento in entrata e in uscita tra i territori di diverse regioni o province autonome» e «è comunque consentito il rientro alla propria residenza, domicilio o abitazione», significa che nella seconda casa nella stessa regione ci si può andare, idem a casa di amici, e tornare quando si vuole o quasi, escluse «le giornate del 25 e 26 dicembre 2020 e del 1°gennaio 2021». E quindi? A Londra e a Berlino, intendo i paesi per estensione, chiudono tutto, ma proprio tutto, non tralasciando di usare toni piuttosto catastrofici, poche norme molto restrittive, tutto è chiaro. E talvolta hanno dati di contagio e decessi migliori dei nostri. E, sacrilegio!, buona notte al natale. Ma ovvio, quelli son pagani, figuriamoci che senso del sacro hanno, quelle bestie, che quando noi s’ammazzava un Giuliocesare loro andavan vestiti di pellidipecora. O forse è solo a vederli da fuori ma temo di no. Ricordo, con voluta vis polemica, che i musei sono ancora chiusi e che lo saranno per decreto almeno fino a metà gennaio. Anche quelli all’aperto. Quindi io il mio desiderio di cultura lo devo sfogare in un centro commerciale i giorni non festivi, benissimo. Grazie. Le biblioteche hanno riaperto da pochissimo (e durerà poco).
Come avevo preannunciato una settimana fa nell’ultimo minidiario, essendo possibile farlo, ho fatto la trottola – poco lavoro permettendo – tra luoghi non contigui: i colli Berici, l’appennino piacentino, il lodigiano, la pedemontana e la val d’Astico nel vicentino. Ho viaggiato in sicurezza, interagito poco o punto con gli indigeni, non ho comprato souvenirs, non ho alloggiato da altrui, ho mangiato qualcosa qua e là. Tutto lecito, forse un po’ deboline le motivazioni agli occhi dei custodi del fuoco della legge, in effetti. Tolta la voglia? Macché, anzi, torno sì contento ma le braci che ero riuscito a sopire sotto la cenere in questo mese e mezzo ora si fanno sentire, se mi proponessero un giro attorno al mondo al costo di cento frustate nella pubblica piazza del paese e la damnatio memoriae, giuro che ci penserei serissimamente. Vaccinazioni. Pare che il 27 sarà la giornata europea della vaccinazione e si comincerà a vaccinare qualche operatore sanitario qua e là, si vocifera di un’infermiera veneta, chissà. Io partirei dalla persona più vecchia d’Europa, magari un contadino uralo residente nei Sudeti di centotrenta anni, immortale già di suo, con fanfare e squilli giornalistici, ma capisco che potrebbe essere scelta incauta. Il complesso organizzativo, poi, non è affatto banale: essendo che tutti i paesi in grado di pagare hanno stretto accordi con molte aziende produttrici di vaccini – dato che nessuna sarà in grado di coprire da sola il fabbisogno e la scommessa su una sola sarebbe stata cosa improvvida – ne arriveranno a rate, in formati e quantità diverse; si comincerà con gli operatori sanitari, i matusalemmi, coloro che hanno altre patologie toste, le persone essenziali al paese, per poi scendere nelle graduatorie; per complicare le cose, ciascuno dovrà fare un richiamo dopo tre settimane e sarebbe preferibile farlo con lo stesso vaccino della prima iniezione, immagino. Se queste sono le regole, vista l’importanza, io mi aspetto di essere vaccinato tra otto anni. Una battuta? Non tanto, in realtà, per quel che ne so ora. Stando a una dichiarazione di ieri del direttore generale dell’Aifa saranno effettuate un milione e centomila iniezioni dal mese da gennaio. D’accordo, e così siamo a cinque anni per vaccinare tutto il paese. Ma se è necessario fare i richiami, a parte il primo mese dal secondo bisogna dimezzare le quantità e, quindi, si va a dieci anni di tempo, entro il 2030 saremo tutti adulti e vaccinati. Certo, ovvio che fatta la prima tornata di «operatori sanitari, matusalemmi, coloro con altre patologie toste, persone essenziali» saremo già a buon punto e la pandemia avrà tutt’altro corso ma, insomma, io dalla mia cameretta dell’Ignoranza pontifico che bisognerebbe farne di più ogni mese. Che poi… i vaccini han senso se li si fa quasi tutti, no? E quel «tutti» va dal minimo di casa mia, il mio quartiere, la mia città, la mia regione al massimo del paese, del continente, no? Gli è però che i paesi con capacità di spesa si sono accaparrati il 53% delle dosi dei vaccini in produzione da ora a tutto il prossimo anno e questi stessi paesi ospitano, complessivamente, il 14% della popolazione mondiale. Tornano, i conti? Non molto. Tutti gli altri, quindi, si mettano dietro e aspettino, arriverà il loro momento quando noi saremo tutti vaccinati. Non andrò in Africa l’anno prossimo, pensa il presidente di Confindustria del Molise e si rimbocca tranquillo le coperte. Ma caro il mio pistola, lasciare che permangano ampie zone senza vaccinazione significa – oltre ai morti! – permettere al virus di prosperare e, soprattutto, mutare, così da poi mettere in crisi tutta la faccenda di ritorno. Anche in Molise. È il significato profondo che è insito nell’aggettivo «collettivo», non comprensibile a tutti nonostante riguardi tutti. Il problema è collettivo, va risolto collettivamente, dobbiamo curare anche il Molise se vogliamo essere tutti al sicuro. È la differenza tra farsi davvero carico di un problema e pensare di risolvere il proprio, di problema, avendo la testa miope. Per fortuna, i migliori tra noi hanno l’ammirevole abitudine di farsi carico dei problemi, collettivamente. Ma non possono mica essere sempre gli stessi i migliori, no? Toccherà un po’ anche agli altri o no? Un po’ a turno, a seconda?
«Parlare, però, è ridare la vita a chi non c’è più», disse Nedo Fiano, scrittore, sopravvissuto all’olocausto e alla deportazione ad Auschwitz e Buchenwald e uno dei testimoni più instancabili di ciò che accadde durante il fascismo e la guerra, in particolare a coloro che furono deportati.
Per chi abita a Milano o in Lombardia, o chi lo ascoltava a Radio Popolare o nelle aule delle scuole, Fiano è stata una presenza costante nei decenni, sempre garbato e deciso, sempre senza arretrare di un passo anche nei momenti difficili, miserabili e umilianti, quando per esempio fu profanata la scritta all’entrata di Auschwitz. Mai una volta si è tirato indietro. Oggi Nedo Fiano è morto, uno degli ultimi sopravvissuti. La memoria che ci ha lasciato resta, è qui, è presente e documentata. La responsabilità di quella memoria è ora nostra, mia e vostra, guai a chi farà finta di nulla. «Colui che dimentica diventa complice», diceva spesso. Bisogna pensare a questa frase, bisogna capirla. Tra i figli, lascia Emanuele, persona intelligente che per fortuna sua e nostra molto ha preso dal suo babbo.
A proposito di cose belle là fuori, molti non colgono appieno il grande fascino degli Appennini alle soglie dell’inverno.
Piacentino, l’Appennino, al limite ligure, perché più aspretto dei più amichevoli parmense e reggiano. Qui le strade si muovono, scivolano a valle, altro che il prosiùtto. E le città vengono dimenticate.
Incastonate, molte meraviglie, da Velleia (qui l’inutile guida scritta un sacco di tempo fa) a Vigoleno a Castell’Arquato fino a Libarna (qui l’altra inutile guida), Bobbio e Bardi andando in là.
Una volta l’anno, almeno, il giro per me è d’obbligo. È più di un piacere, direi una necessità e un dovere, insieme. E che ricompense!
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