Degli Shins ho ampiamente detto negli anni, qui e altrove, ma vale sempre la pena dirne qualcosa. Avendo già inserito una canzone degli allora Flake music nelleccanzoni del giorno, sottolineando la curiosa inversione, c’è spazio allora per gli Shins, gruppo bislacco come tutte le cose che escono da Portland, a metà tra nerd fastidiosi e spiritosi musicisti consapevoli, difficile distinguere. Di certo, le canzoni sono eccellenti, i dischi pure – Oh, Inverted World e Chutes Too Narrow da soli basterebbero per una carriera – e anche i video, non tutti, hanno tocchi di genio. Ecco, una gran canzone con un video sensibile e spassoso insieme, è quella dichiarazione di intenti che è Simple song. Senza raccontarla troppo, il padre deceduto lascia ai tre figli la casa, ma devono scoprire come. E i suoi scherzi, mai apprezzati, proseguono anche dopo la morte. Scherzi? C’è sentimento, molto, nella canzone e negli Shins, sbagliato fermarsi alla lettura superficiale.
La melodia trascina e quando cantano I know that things can really get rough when you go it alone / Don’t go thinking you gotta be tough, to play like a stone / Could be there’s nothing else in our lives so critical / As this little hole arrivando al ritornello allora davvero la faccenda si fa seria, più di quanto il video suggerisca. Al get rough io immancabilmente mi metto a cantare a squarciagola nel mio inglese inventato. Perché oltre ai miei limiti, i testi degli Shins son mica facili da memorizzare e da comprendere. Portland, è proprio quella roba lì. Sembran scemi, loro dicono weird parlando dei portlandiani – ne hanno fatto anche delle serie – ma poi è tutt’altro. Let’s be honest. Oh, per esserlo, mica tutto degli Shins.
Da quanto trapela dai negoziati, le richieste della Russia per cessare l’invasione sarebbero l’introduzione di un articolo nella Costituzione che impedisca l’entrata dell’Ucraina in qualsivoglia blocco dalla NATO all’UE, il riconoscimento della Crimea come russa, il riconoscimento di Donetsk e Luhansk come stati indipendenti, il fatto che Zelenskyy rimanga come presidente pro forma ma che Yuriy Boyko sia il primo ministro. Zelenskyy ha risposto no.
Io, a questo punto, avrei valutato molto seriamente. Inoltre, se queste effettivamente sono le richieste, parrebbero volere il riconoscimento ucraino della situazione precedente all’invasione, presidente a parte. Per cui, posso immaginare che, sotto la pressione delle bombe, il fronte che sostiene Zelenskyy si possa fare meno compatto e che una parte dell’opinione pubblica ucraina e del governo e dei settori produttivi possa cominciare a fare pressione sul presidente per un accordo. Peraltro, sarebbe più corretto e comprensibile considerare questa invasione come un passaggio, drammatico, di una guerra che va avanti da otto anni e della quale il mondo non ha avuto alcuna percezione o quasi, e non un’escalation improvvisa dovuta ai ghiribizzi di un pazzo o all’immarcescibile imperialismo russo. Di certo, il rifiuto di quanto richiesto ha già spezzato il fronte ucraino e, fosse anche solo quello l’intento dei russi, la mossa avrà senza dubbio delle ripercussioni interne. E la valutazione della Cina, che è storicamente e culturalmente restia a parlare, che indica la Russia come il proprio partner strategico principale non può essere di certo ignorata né presa con leggerezza. Tra l’altro, basta guardare questa fotografia spaventosa delle evacuazioni di Irpen per essere meno saldi nel proposito di resistere, secondo me.
Da noi, mentre un’ampia parte della popolazione si è attivata per inviare aiuti in Ucraina e per assistere i rifugiati in arrivo, un’altra, più piccola, si dedica alle ricerche in rete per i costi di costruzione dei bunker casalinghi e all’acquisto sconsiderato delle pastiglie di iodio, per sentito dire in caso di contaminazione nucleare. I giornali, certo, la tv, sicuramente, ma molti suggestionabili e molti egoisti. E questo non lo scopriamo ora, dopo i due anni appena passati.
Nel frattempo, una vicenda personale che deriva però da una situazione generale, pandemia e Ucraina comprese: mi è arrivata la bolletta della luce del bimestre dicembre-gennaio. A parità di consumo rispetto all’anno scorso, la tariffa è esattamente raddoppiata, grossomodo 34 centesimi a kW/h. E questo accade dopo che il governo ha investito una quantità enorme di denaro per compensare l’aumento del costo dell’energia, noto da mesi alla borsa energetica di Amsterdam. Per il gas, gli aumenti dovrebbero cominciare, pare, da aprile, il che è una buona notizia in termini di riscaldamento. Non per me, che ho induzione e pompe di calore e quindi pago tutto fin da ora, bel salasso ma vabbè, il particolare conta poco. Conta il generale e di certo questa cosa da un lato creerà difficoltà a un sacco di persone e, dall’altro, acuirà la spinta irragionata verso il nucleare. Scommettiamo? Ma considerando che il pagare di più l’energia al momento è la cosa peggiore che ci capita, visto quel che succede in giro, va benissimo e, anzi: ringraziare per tanta fortuna.
È deprimente. Le sanzoni non servono o servono a poco se non in determinate condizioni (qui uno studio approfondito di Ispi), i corridoi umanitari e la fuga dei civili nemmeno, vedi Siria o Groznyj, immagino vi sia un livello di diplomazia non visibile all’opinione pubblica e ai commentatori da bar come me, ma insomma: quali strumenti effettivamente abbiamo per far fronte a iniziative belliche come questa? Pochini, nessuno di per sé determinante, almeno al di fuori di una reazione armata. Così sembrerebbe. Le notizie che ci arrivano sono influenzate in modo significativo dalla propaganda ucraina, intendo dalla comunicazione del governo e del popolo ucraino, organizzate o meno, per cui si susseguono le notizie di mezzi russi impantanati, di tempi più lunghi di quanto da Mosca avessero prospettato, di defezioni, di vittorie della resistenza popolare. Non dubito che in Russia sia l’esatto contrario, magari molti nemmeno sanno dell’invasione, chissà. Bisogna come sempre stare nel mezzo e ragionare sui fatti, ossia che da anni si prepara questa operazione, sia dal punto di vista militare che da quello finanziario, per cui non sarà certo in dieci giorni – questa si chiama speranza – che l’armata russa si arresterà, e che gli inconvenienti incontrati sulla propria strada non possano essere certo tali da frenarne l’avanzamento o, per lo meno, da essere inaspettati.
Il timore di molti è che con l’uscita dei civili attraverso corridoi umanitari, per esempio a Mariupol in queste ore, questo poi lasci mano libera all’intervento militare più aggressivo, inteso a radere al suolo ogni tipo di resistenza o contrasto. Peraltro, i bombardamenti russi non stanno diminuendo nemmeno durante questa tregua concordata, riporta il sindaco della città, per cui la cosa è ancor più difficile e l’evacuazione è stata sospesa in questi minuti. La zona è strategica per il congiungimento delle zone già russe sulla costa. Per quel che vedo da qui, due sere fa sono partiti molti caccia dalla base NATO, con regolarità, uno ogni dieci minuti, tutti con la stessa manovra, curvona ampia e direzione est.
Nel nostro piccoletto, partiti i primi carichi di medicinali e generi necessari. Lodevole sforzo di molti, cerco di appoggiare più che posso, adesso pensiamo al prossimo. Perché fare i primi sulla scorta dell’entusiasmo è facile, è durare che è difficile. Basta qualche servizio alla tv in cui si parla dei generi alimentari che importiamo dall’Ucraina, il grano – ovvio, era il granaio d’Europa, si studiava a scuola – e l’olio di semi, ed ecco che al supermercato un quarto d’ora fa ho visto almeno cinque persone con carrelli strapieni di bottiglioni di olio e pacchi di pasta. Posso immaginare che una parte di questi ne faccia un calcolo meramente economico, li immagino ristoratori e friggitori, ma posso azzardare che vi sia anche un bel po’ di gente inquieta, in giro. E ansiosa. Non che non ce ne sia motivo, ma direi che il primo non è l’olio di semi: dopo aver preso Chernobyl dopo giorni di assedio, dopo aver giocato al tiro a segno con la centrale atomica di Zaporizhzhia, adesso i russi sono a venti chilometri da Yuzhnoukrainsk, a sud, la seconda centrale nucleare più grande del paese. In piena logica di guerra, a Mosca sono stati oscurati tutti i media indipendenti, non molti invero, e poi BBC, CNN, Bloomberg, Facebook, Twitter. La BBC è tornata a trasmettere anche sulle onde corte, una cosa che non si vedeva più da alcuni anni, il metodo più economico e rapido per arrivare comunque in Russia senza bisogno di infrastrutture nel paese. Mai dare nulla per scontato o acquisito.
Parlarne è l’unico modo per capire, confrontarsi l’unico per scambiarsi informazioni e dare un peso complessivo alla situazione. Con il rischio di fare geopolitica da salotto, sicuro, ovvero mettere sullo scacchiere complessivo forze, poteri, interessi, storia, volontà e giostrarli come se i meccanismi fossero lì da vedere. Non è così, se abbiamo il buongusto di non avventurarci in discussioni anatomiche o mediche – quasi, gli ultimi due anni hanno anche dimostrato il contrario – per manifesta ignoranza, tanto meno bisognerebbe avventurarsi per terreni così impervii come, appunto, la situazione globale, i cui fattori determinanti sono incalcolabili. Ma parlarne, come dicevo, è l’unico modo per affrontare un pericolo distante ma non tanto, non così da non avere conseguenze dirette. È anche il modo per misurare questo pericolo: non avendone esperienza diretta, visibile o tangibile, tendiamo a misurare il grado di rischio in base alla reazione delle persone di cui ci fidiamo, se sono spaventate ci preoccuperemo, se sono tranquille tireremo un respiro temporaneo di sollievo. Era accaduto anche all’inizio della pandemia, tra i nostri sistemi di valutazione, in assenza di componenti oggettive, la reazione del contesto è importante. Per questo, non tanto parlarne in assoluto quanto ha senso parlarne con le persone cui assegnamo un valore di giudizio e di comprensione dei fatti e degli eventi. E al momento, siamo tutti preoccupati.
In questo senso, ovvero per aggiungere elementi alla comprensione dello scenario, segnalo due articoli che vale la pena leggere, uno di Barbara Spinelli per il Fatto e uno di Tomaso Montanari per Micromega. Non c’è necessariamente da essere d’accordo, anzi, ma sono importanti le considerazioni, aggiungono elementi all’insieme. Spinelli racconta il percorso che dalla caduta dell’URSS ha portato la NATO a espandersi a est, e anche la UE, contraddicendo accordi presi in precedenza e andando a interferire con l’area di influenza di un paese che, è vero, abbiamo progressivamente considerato sempre meno rilevante. Il discorso è interessante e va preso per quello che è, una sintesi di trent’anni di evoluzione storico-politica dopo la fine della contrapposizione dei due blocchi, e vanno evitate quelle tentazioni che, soprattutto a sinistra, spingono a equilibrare con saccenza torti e ragioni da una parte e dall’altra per far morire il discorso e avere la sensazione di aver fatto la propria parte, seduti in salotto.
Più complesso il discorso di Montanari, che ragiona su una possibile terza via tra il sostegno all’oppressa Ucraina e all’aggressore Russia, in ottica pacifista. Il discorso è articolato e vale la pena leggerlo e pensarci, Montanari alla fine è uno dei pochi intellettuali odierni che prendono posizione e pongono alcune questioni sotto una luce diversa (grazie C.).
La Russia attualmente ha occupato 70.300 chilometri quadrati di territorio ucraino, circa l’undici per cento del totale, pari alla superficie dell’Irlanda. Con i territori occupati nel 2014, circa 45.200 chilometri quadrati, la percentuale supera il venti per cento, in totale. Cominciamo a capire, e le dichiarazioni di Putin in questo senso sono chiarissime, che siamo solo all’inizio e che una soluzione rapida, anche paradossale come quella che l’Ucraina si arrendesse immediatamente, è al momento fuori discussione. La Russia, oltre alla questione ucraina, ha da rivendicare al pianeta un peso, una forza e un’area di influenza cui non intende rinunciare, anzi. Oltre a obbiettivi che ancora non sono chiari e non lo saranno di certo a me. Occorre dunque pensare in tempi più lunghi, sia per il supporto materiale agli ucraini in Ucraina e fuori, sia per la propria sopravvivenza emotiva, necessario pensare anche a sé.
Grazie a un’amica, stiamo utilizzando un canale aperto rapidamente da un’associazione ucraina per inviare medicinali e farmaci. Ieri sera è partito un TIR pieno, ne siamo contenti, man mano vedremo di cosa ci sia bisogno e quali saranno le richieste. Una precisa è già arrivata ed è di soldi per acquistare giubbotti antiproiettile. Sono onesto, la risposta è stata no. Le ragioni sono svariate: sia perché la preferenza è di non inviare danaro ma beni, sia perché a questo tipo di dotazioni dovrebbe, eventualmente, pensare qualcun altro, vedi il discutibile voto del parlamento italiano dell’altro giorno, cioè riteniamo serva un ragionamento complessivo al riguardo e valutazioni che non siamo in grado di fare. Ci occuperemo di cibo, vestiti, medicinali. Curioso il contrasto. Fuori con un amico a camminare e a ragionare del futuro, Ucraina ovviamente compresa, passiamo più volte attorno al TIR che viene caricato, osserviamo le operazioni. Di fianco, ormai è buio e siamo in una zona industriale, auto di grossa cilindrata truccate, smarmittate e illuminate con luci blu sul fondo, giocano a fare sgommate e accelerazioni gradasse. Non è una novità, da parecchio accade, lo sanno tutti: sono gli ucraini. E danno pure parecchio fastidio a chi, qui, ci abita. Ci sono vie dove non si può passare perché ti guardano male, non salutano, sembrano aggressivi, a volte esibiscono simboli fascisti. Eh sì, sono gli stessi, cioè sono ucraini tanto quanto, alcuni bravi e alcuni rompicoglioni, come ovunque. Ma dare una faccia a un’idea è sempre operazione interessante, caricare un camion di aiuti per persone che qui a fianco ti danno fastidio e con cui convivi a fatica è un processo non banale. A proposito di tempi lunghi, stanno già arrivando molti profughi, con numeri che faranno impallidire qualsiasi numero legato all’immigrazione in tempi recenti, si parla di almeno centomila nella mia regione in tempi relativamente brevi. E serviranno case, vestiti, cibo, soldi, bisogna organizzarsi, per quanto mi riguarda stiamo verificando i canali affidabili aperti e strutturati, vedremo. Quelli intanto fan sempre le garette con le auto.
Se le sanzioni, di per sé, non sono singolarmente determinanti, esse lo possono diventare per accumulo. In effetti, si registra un crescendo di iniziative, dalla chiusura degli spazi aerei per le compagnie russe, ai porti canadesi, al congelamento degli investimenti a Londra del russo Direct Investment Fund, alle catene della grande distribuzione polacca che tolgono dagli scaffali i prodotti russi, alla Germania che ha tolto la certificazione alla società svizzera operatrice del Nord Stream 2, permettendo così agli Stati Uniti di multarla per insolvenza e portandola all’orlo della bancarotta, al parlamento europeo che con 637 voti a favore ha approvato lo status di candidato all’entrata nell’UE dell’Ucraina, fino giù giù giù alla federazione internazionale di judo che ha revocato la cintura nera a Putin. È di certo una pressione non sufficiente, da sola, ma che ben può accompagnare le iniziative politiche. E comunque comincia ad assumere una proporzione considerevole, complessivamente.
Si moltiplicano anche le iniziative di assistenza, oltre a quelle tradizionali di invio di alimenti e medicinali nel paese: per esempio, l’UE ha deciso di integrare fin da ora l’Ucraina nel proprio sistema di distribuzione elettrica, permettendo così al paese invaso di lasciare il sistema russo e bielorusso entro poche settimane; oppure, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania, Austria, Repubblica ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria e Romania hanno deciso di permettere a chiunque mostri un passaporto o documento ucraino di viaggiare gratuitamente sulle proprie ferrovie, cosa davvero encomiabile. L’Italia, magari?
Tutto ciò, però, non basta. Zelenskyy chiede ripetutamente una presa di posizione netta di Europa e Stati Uniti – this is not a movie, ha detto – ma per il momento nulla e difficilmente l’avrà. Secondo il parlamento ucraino, otto ore fa delle truppe bielorusse sono entrate nel paese. I negoziati in Bielorussia hanno mostrato alcuni aspetti chiari, la delegazione russa era formata da figure di secondo piano. Immagino, e mi si perdoni la geopolitica da sottoscala, che una trattativa tra invasore e invaso abbia poche speranze, senza un mediatore o altre presenze di peso al tavolo. Che, magari, impongano un cessate il fuoco durante i negoziati. Alle ripetute richieste del governo ucraino alla NATO di chiudere lo spazio aereo sopra il paese, i vertici dell’alleanza hanno risposto di no, poiché suonerebbe come un atto di guerra a sua volta. I bombardamenti proseguono senza sosta. Insomma, la situazione continua a essere drammatica.
Perché scrivo queste righe? Nessuna analisi, non potrei, è un diario, una specie di resoconto di ciò che leggo, sento e provo. Scriverne è uno dei miei modi di affrontare le cose, belle o dolorose, mi serve per riflettere e per cercare di dare il giusto peso agli avvenimenti, per processarli. Mi rifiuto di prendere il caffè in ufficio con tutti parlando d’altro, come se nulla stesse accadendo, mi dà fastidio e mi irrita. Anzi, non ci vado proprio, in questi giorni. Dell’invasione ne parlo con amici e con tutti coloro con cui valga la pena parlarne, per riflettere, confrontarsi insieme e condividere la preoccupazione e l’angoscia. Seguo con attenzione alcuni live threads su canali affidabili e degni di attenzione, qualcosa riporto qui ma non è per quello che valga la pena leggere queste mie righe. Non ne vale la pena proprio, le scrivo per me, a quello servono. Ricomincerò a scrivere le mie cretinate, non ora.
Onestamente, una delle cose che mi angoscia e disturba di più di questa guerra e che è, in sostanza, in Europa. Inutile fingere non sia così. Ricordo la guerra in Jugoslavia e l’intervento in Kosovo, certo, e scesi in piazza a manifestare, e ricordo la preoccupazione di allora. Certo, il fatto che stavolta sia coinvolta direttamente la Russia, mentre allora stava defilata dietro la Serbia, è un fattore maggiore, per capacità militare e aggressività. I problemi, come sempre, stanno anche a monte. Non solo la vicenda ucraina è chiarissima dal 2014 e il Donbass da almeno qualche anno, ho avuto la riconferma leggendo un numero di Internazionale dell’anno scorso e dice chiaramente ed esattamente ciò che si dice ora, invasione a parte. Uno dei problemi, dico io, è ancora più a monte, cioè aver lasciato che un uomo solo governasse un paese per più di vent’anni, cosa pessima per chiunque a qualsiasi latitudine. E che abbia avuto tutto il tempo di eliminare opposizione e critica. Ma son banalità, a questo punto. Le stesse questioni religiose sono sul piatto, tutto è complicato.
I paesi europei, molti, chiudono gli spazi aerei ai voli russi e non solo, come da immagine qui sotto, si vede un volo Aeroflot costretto a virare e tornare indietro su distanza intercontinentale. Ed è bene. La stessa Svizzera pare orientata ad aderire ad alcune sanzioni economiche, ventiduemila persone sono scese in piazza persino lì. Si moltiplicano gli aiuti e il sostegno, circolano alcune fotografie della stazione dei treni di Bucarest in cui volontari accolgono e riforniscono i rifugiati in arrivo, anche qui si raccolgono cibo e medicinali da inviare al più presto, informatevi. In attesa dei colloqui di domani tra Ucraina e Russia, difficile ne venga fuori qualcosa ora, da segnalare la richiesta di Zelenskyy di far entrare l’Ucraina nell’UE, al momento poco più di una provocazione.
Da quanto leggo, la Russia sarebbe sul punto di creare un corridoio tra Crimea e Donbass, ovvero tra due delle zone occupate, uno degli obbiettivi dell’invasione. Qualcuno suggerisce, a questo punto, di ipotizzare concessioni di qualche tipo alla Russia così da lasciare aperta una via onorevole al ritiro, il che al di là di sapere quanto sia plausibile è di certo un buon modo per intavolare delle trattative. Prematuro, comunque, immagino. Non si mette in piedi tutto ciò per chiudere poi dopo cinque giorni. Credo.
A ieri almeno centomila ucraini sono entrati in Polonia e quest’ultima, nonostante il nazionalismo destrorso che contraddistingue il governo del paese, sta facendo la propria parte. L’odio antirusso è evidentemente ancora forte, come ho constatato ogni volta che ci sono andato. Più di diciottomila fucili e armi distribuite alla popolazione civile, le immagini di non so quale città ucraina in cui decine di persone si sono messe pacificamente in mezzo alla strada bloccando una colonna di tank sono commoventi. Come le foto di chi ce l’ha fatta a varcare il confine. Un confine.
Ma la mamma è rimasta a casa, il dramma è difficile persino da immaginare.
Per carità, tutto serve: la Polonia che rifiuta di giocare contro la Russia il mese prossimo, PornHub che chiude gli accessi dalla Russia mostrando un messaggio pro-Ucraina, la torre Eiffel e il Colosseo illuminati di giallo e di blu, le sanzioni di cui si discute al momento, gas e Swift code, probabilmente arriveranno anche le bandiere dai balconi, per ora sono in calendario molte manifestazioni per la pace, certamente serve anche il sostegno di tutta la comunità.
I fatti sono, però, che nessuno interviene direttamente. E che gli strumenti di cui ci siamo dotati dopo la seconda guerra mondiale non sono efficaci o, almeno, non bastano per evitare invasioni come questa o a fermarle immediatamente. La Russia andrà avanti finché otterrà ciò che vuole – la caduta di Zelenskyy? La presa delle regioni desiderate? – e allora anche le sanzioni, gradualmente, cadranno. E il risultato russo ottenuto. Le discussioni attuali vertono sull’individuazione delle sanzoni più efficaci e, al momento, le conclusioni sono abbastanza desolanti, a fronte della dipendenza energetica dalla Russia, del coinvolgimento finanziario, della mancata presa di posizione della Cina, della decisione, almeno fino a ora, degli Stati Uniti di non intervenire. Tra i fatti significativi, ovvero utili concretamente: la Moldavia, paese in grande pericolo, che apre le frontiere ai profughi ucraini; i giovani russi che nonostante il divieto e la certezza di ripercussioni scendono in piazza per protestare. Si parla di forniture di armi e di viveri da parte di Francia e altri paesi europei, per carità bene, ma è pur sempre un modo per dire: vedetevela voi.
Le persone arrestate in Russia per proteste tra il 24 e il 25 febbraio 2022
Non sto con queste poche righe incoraggiando un intervento militare, no, esprimo solo la mia frustrazione per la compassione – in senso etimologico – che provo per gli ucraini, lasciati soli in sostanza, e per i progressi, mancati, che pensavo avessimo fatto allo scopo di impedire soprusi militari come questo, che tanto ricorda altre situazioni terribili del passato. Invece no, tanto parlare di sanzioni e di convenienze, iniziative di nessuna rilevanza ma tanto facili da fare e ricche di ritorno d’immagine e, al momento, la situazione è questa: tanto affetto, tanto appoggio, per carità quel che vi serve ma gli affari sono vostri. Resistete. Zelenskyy l’ha ripetuto più volte: se volete davvero fare qualcosa per noi e ve la sentite, venite a combattere al nostro fianco. Ecco, la mia frustrazione e angoscia, che di certo le luci sui monumenti non sopiscono per nulla. Anzi. Perché i missili sono veri.
Ho, abbiamo sperato in molti, che non accadesse. Un’amica in Ucraina sentita stamattina mi ha parlato dei bombardamenti a tutti gli aeroporti del paese ed era lei a tranquillizzare noi, dicendo che sta bene. E poi, terrificante sentirlo, mi ha detto che non sa per quanto avranno ancora la rete, per poter comunicare. Un’altra, moldava, mi racconta che il figlio non può più uscire dal paese e, in effetti, lo spazio aereo è chiuso da stamane. Che fare? Prevale l’angoscia e il pensiero per ciò che è e per ciò che può diventare. Almeno, mi sono detto, non c’è Trump. Ma, ovviamente, non basta. Una parte di me continua imperterrita a dirsi che finirà a breve, si prenderà l’Ucraina mettendo su un fantoccio e occupando qualche parte del paese e finirà. Una parte di me, quella che si ricorda di più, si ripete che è proprio così che cominciano le cose.
Che dire? Una canzone meravigliosa, chiaramente ispirata a Bach e Percy Sledge, evocativa, malinconica e progressiva insieme. Spiace dirlo oggi, dopo la notizia della scomparsa di Gary Brooker, ovvero uno degli autori, voce e tastiera della canzone, praticamente quasi tutto.
https://youtu.be/Mb3iPP-tHdA?si=KfW8HAOpNJ0nUjtS
A me ricorda il grande freddo, questione anagrafica, ma se avessi avuto la possibilità di sentirla nel 1967 mi avrebbe colpito, eccome. Un singolo fenomenale, ancora non invecchiato per nulla e distinguibile da mille e mille altri per qualità, suono e melodia. Tra i pochi inarrivabili.
Scendo per la gola del Furlo, il vecchio tracciato della via Flaminia, che così si chiama per via del forulum, il piccolo buco che tanto piccolo non è: una galleria lunga quaranta metri e alta cinque fatta scavare da Vespasiano per evitare un passaggio più in quota. Provate voi a scavarla a scalpello e poi vediamo se è piccola. La via era strategica al punto che esisteva già un traforino scavato dagli etruschi, stavolta. Il passaggio era talmente frequente che persino i volonterosi baciapile del mascellone contemporaneo, che passava sovente, costruirono un maschio profilo sul monte usando muretti a secco. Poi l’esplosivo partigiano mise fine allo scempio, per fortuna.
Io scendo perché voglio andare a Jesi, cittadina bella e antica. All’interno della solita cerchia muraria, prima etrusca, poi sabina, poi picena, poi romana, poi malatestiana, poi papalina, insomma qui la storia è così, lì dove c’era il foro una volta ora c’è una piazza, bella ampia, che voglio vedere. Perché nel 1194 l’imperatrice consorte Costanza d’Altavilla, dicono le guide, ‘passando qui per caso’, e figuriamoci se un’imperatrice poteva mai fare una cosa per caso. Fu per caso che le vennero le doglie qui, quello sì. E siccome era vecchissima, ovvero aveva quasi quarant’anni, era dice qualcuno stata in convento, ed era gravida dell’erede del trono di Sicilia e dell’impero, allora dovette partorire pubblicamente in piazza, in questa piazza, per sopire ogni dubbio. Lo racconta Giovanni Villani: «Quando la ‘mperatrice Costanza era grossa di Federigo, s’avea sospetto in Cicilia e per tutto il reame di Puglia, che per la sua grande etade potesse esser grossa; per la qual cosa quando venne a partorire fece tendere un padiglione in su la piazza (…) e mandò bando che qual donna volesse v’andasse a vederla; e molte ve n’andarono e vidono, e però cessò il sospetto». Il figlio, fortuna nostra, di quel 26 dicembre – data notevole e fredda, perdio, per partorire in una tenda – fu lo stupor mundi Federico II di Svevia, esempio di cosmopolitismo culturale pacifico che ha molto da insegnare a noi oggi. Una lapide sulla piazza dice: ‘A Federico, imperatore eccetera re eccetera e su tutto uomo di pace, con orgoglio la città di Jesi pose’, ed è bello quell’orgoglio. E quanti Federici, mi rendo conto solo adesso, e tutti insieme. Per me ha un significato particolare.
Graziosa, Jesi quest’estate è stata sugli scudi per le vittorie calcistiche più che per Federico, mi par giusto. Mi diverto sempre a ricordare l’aneddoto per cui l’imperatore, che non aveva nessuna voglia né di far guerre tantomeno crociate e che viveva nel suo magnifico regno tra Sicilia, Calabria e Puglia parlando sei lingue e dando inizio alla poesia siciliana e all’integrazione con la cultura araba, alla fine capitolò e andò a liberare il santo sepolcro, contro voglia. Una volta lì, vide quelle belle distese di sassi e mari morti e disse: ‘ah, è dunque questa la Terra Promessa di nostro Signore? Si vede che non era mai stato in Sicilia’. Irraggiungibile. Da Jesi piglio su i miei stracci e ripercorro la costa verso nord, perché mi avvicino alla fine del giro e comunque a Pesaro ho ancora da fare. Vado a Gradara, lì appiccicato, dove c’è un castello noto e un borgo medievale da vedere. Il posto è noto, ovvio, per le vicende di Paolo e Francesca, meno noto ma il filibustiere Pandolfo lo vendette a Francesco Sforza, tenendosi poi soldi e castello, a me ricorda invece certi giochi su Linus fatti con Ennio Peres molti anni fa, riprendendo i Wutki. Unendo più teste arrivammo terzi un anno e c’era sempre uno, maledetto, che pigliava sempre il massimo, era davvero di categoria superiore. Mi piace immaginarlo a capo del CERN, oggi. Il castello era rudere fino all’inizio del secolo, poi con un restauro tanto provvidenziale quanto fantasioso divenne un luogo di attrazione, per famiglie e bighelloni della domenica. Pare di essere a Grazzano visconti, per intenderci: densità imbarazzante di ‘locande’, famiglie che arrancano per la minima salita cui sembra non importare granché di nulla, c’è persino uno vestito da pulcinella, per intrattenimento.
Me la filo, poco più giù c’è il cimitero di guerra di Gradara, lo voglio vedere. Perché proprio qui, alla fine dell’estate del 1944 c’era la linea gotica e tra la fine di agosto e quella di settembre gli scontri furono furiosi, terminando con la liberazione di Pesaro e di tutte queste colline. Ma il prezzo fu molto alto, come sappiamo, da Marzabotto a Sant’Anna di Stazzema fino ai caduti in battaglia, e qui ce ne sono più di mille. Quasi tutti inglesi, e intendo inglesi, canadesi, irlandesi, oltre a due indiani e un belga, facevano parte dei battaglioni alleati che presidiavano la zona. Il cimitero è all’anglosassone, per quanto riguarda la guerra, con le lapidi tutte uguali e tutte in fila. Sono morti quasi tutti il primo e il due settembre, dev’essere stato un inferno. Non ci vuole molta astrazione, ad avere un’anima, per vedere un uomo dietro ogni lapide, e con lui famiglie, figli, affetti, speranze e aspettative, lavori lasciati e mai più ripresi, desideri che nulla avevano a che fare con la guerra. Il pensiero è straziante e commovente per me, me ne sto seduto davanti alla collinetta e son da solo, qui, tra gli ulivi. Compilo il registro, poche visite ma commosse.
Ripiglio su e piego verso un altro bel roccone malatestiano, a Montefiore conca. Certi brutazzoni senza manco le finestre, quasi. Ma difensivi, quello serviva. Mi sa che ho scavallato e sono tornato in Romagna, vicino c’è Cattolica e il dialetto è tornato quello di più su. E poi, giuro, sono davanti a una fabbrica di fisarmoniche, lampante, e c’è un’indicazione per Gatteo a mare. La storia che ti raccontano subito è quella di Costanza – oggi i nomi ricorrono – Malatesta, che ebbe in dote il castello per sposare Ugo d’Este. Non quello di Parisina, uno prima. Comunque, questo Ugo morì presto e Costanza rimase vedova ventenne. E cosa si fa quando si rivuole indietro un bene da una donna? La si accusa di ‘vita sregolata’, zoccoleria, e con fare italico pure contemporaneo la si fa fuori. Lo zio Galeotto, nomen omen, fece venire uno addirittura da Forlì, tale Foriuzzo. E così il 13 ottobre 1378 il tizio diede seguito ‘all’atroce mandato’ e ciao Costanza, che da allora porella le tocca pure fare il fantasma nella rocca.
Basta buttare lo sguardo sulle colline che si vedono almeno due rocche o paesini turriti che vien proprio voglia di vedere. Io punto e scelgo Montegridolfo, l’ultimo comune romagnolo prima delle Marche, luogo di aspri combattimenti nel’44, sempre per via della linea dei Goti, tra le valli del Conca e del Foglia, proprio sul crinale. Il paesello è una meraviglia, tutto un mattone, tenuto da far impressione, ma è pure deserto. Non c’è nessuno, ma nessuno nessuno. Solo io. Abbaia un cane, nessun segno di vita. C’è qualcosa che non so? Fu spesso conquistato e perso dai Malatesta, il mio preferito tra loro è un Malatesta che di nome si chiamava, fantasia, Malatesta, e non era il primo ma il terzo. Quindi, Malatesta III Malatesta. E per meglio distinguerlo, lo chiamavano ‘il Guastafamiglia’. Penso in riferimento alla sua famiglia di provenienza, perché al singolare, ed ebbe vita guerresca più che amorosa.
Si potrebbe andare avanti per molto, di paesino in paesino, o puntando sulla biblioteca malatestiana di Cesena, uno splendore, o su Rimini, Ravenna, hai voglia, o scavallare di là a Città di Castello che sta a soli novanta chilometri e si spalanca un altro mondo, quello umbro e toscano, insomma la scelta c’è, eccome. Ma io ho finito, torno a casa, al massimo deraglio sul ponte romano sul Rubicone a Savignano, se proprio, magari in qualche luogo pascoliano, per metterci ancora qualcosa in mezzo, ma torno. vedo all’orizzonte una fascia grigia e stagna di smog che non mi invita per nulla, vorrei non vorrei ma se vuoi, vabbè. Alla prossima.
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