notizie sullo stato dell’informazione nell’età della pietra

L’odierna umanità si fa dell’epoca in cui io sono vissuto un quadro sbagliato quanto singolare. Si è convinti che l’età della pietra sia stata un’epoca primitiva, e si dimentica che sono state fatte allora quelle invenzioni e quelle fondamentali scoperte accettate oggi come ovvie. Sì, i disegni sulle pareti delle nostre caverne sono stati in grado di suscitare qualche interesse, ma alla nostra più eminente istituzione culturale, il giornalismo, non s’è fatto finora alcun caso.
Nella mia qualità di redattore, per centinaia d’anni, dell’«Osservatore Liassico» – spesso confuso col «Nuovo Giornale Triassico», organo di bandiera dei conservatori – vorrei rettificare in brevi tratti gli equivoci più grossolani, e gettare un po’ di luce sull’ignoranza buia che avvolge la nostra epoca.
Il giornale è una delle prime invenzioni dell’umanità, ed è giusta l’opinione di chi considera il giornale la seconda di tutte le invenzioni. Risultò necessaria nel momento in cui l’uomo constatò d’avere la dote dell’inventore, scoperta resa possibile, naturalmente, solo dopo la prima invenzione: quella di procedere eretto sul terreno pianeggiante usando i piedi, anziché arrampicandosi in giro sugli alberi. All’inventore fu istantaneamente chiaro che tutte le invenzioni derivanti da questa facoltà sarebbero potute diventare patrimonio fondamentale per tutta l’umanità solo se fosse stato anche possibile portarle a conoscenza di tutti mediante i giornali.
I primi giornali apparvero ancora scalfiti su corteccia d’albero, ma già nel periodo permiano si adottò l’incisione su pietra. L’apparire, allora, dei sauri giganti rese indispensabile l’impiego di questo materiale più solido, come del resto proprio allora e per la stessa ragione cominciammo a lasciare gli alberi e ad abitare nelle caverne. Da quel momento in poi la pietra rimase il materiale preferito; da noi nel liassico, agli inizi, fu naturalmente la pietra calcarea, solo più tardi, quando spuntarono le Alpi, utilizzammo in prevalenza il granito: anch’io, durante l’ultimo quarto della mia carriera giornalistica, ho potuto far uso di questa roccia ideale.L’«Osservatore Liassico» fu l’unico periodico del mesozoico ad apparire con cadenza annuale, il «Periodo Cretacico», organo del partito progressista, tentò anch’esso di farlo, ma fallì, per poi tornare e uscire, in epoca successiva, con la testata «Futuro», ogni dieci anni, alla stregua degli altri giornali. Il «Giornale Carbonale», la più antica delle nostre pubblicazioni, usciva ogni cent’anni.
La confezione d’un giornale era un’impresa faticosa e ciclopica, che richiedeva contemporaneamente il vigore di un orso, l’indefettibile sopportazione di disumani disagi, incorruttibile facoltà di giudizio e buon stile letterario. Era un’impresa pericolosa, in cui s’aveva di continuo la morte davanti agli occhi, e più d’un mio collega fu sepolto per sempre sotto un foglio di giornale cadutogli addosso forse solo perché aveva voluto aggiungervi il prezzo dell’abbonamento.
Ma lo spirito umano vince ogni difficoltà. Nel mesozoico in particolare la scrittura dei giornali fu resa più agevole da grandi invenzioni e scoperte. Al mio periodo risale soprattutto la scoperta della forza di gravità. Ricordo ancora bene i miei primi anni di giornalismo al «Messaggero del Mare Giurassico», più tardi scomparso assieme allo stesso mare giurassico. Era l’epoca in cui portavamo ancora l’acqua a valle con le mani, e abbattevamo gli alberi tagliandoli dall’alto in basso, un pezzo di tronco per volta, che poi occorreva calare giù con faticose acrobazie. A questo punto la forza di gravita irruppe nel liassico, benefica dispensatrice di favori e di sollievo. Nel settore del giornalismo imparammo a staccare la pietra da ripidi versanti montuosi e a farla poi cadere giù. Le edizioni straordinarie – quella in occasione della formazione delle Alpi, per esempio – furono scritte su pietre tonde poi rotolate in pianura, un metodo che semplificò in modo essenziale la spedizione del giornale, cui allora doveva provvedere la casa editrice stessa. (La posta fu inventata nel periodo terziario, quindi all’inizio del cenozoico.)
I nostri primi giornali erano ovviamente pieni di notizie sulle grandi invenzioni e scoperte che facevamo, e vorrei qui menzionare solo l’utilizzazione del fuoco e certe invenzioni militari di portata storica come la clava e la sassata (che resero la guerra così crudele da farla diventare impossibile), ma col tempo il carattere del giornale mutò. Se fin qui s’era volto esclusivamente alla pacifica e armoniosa evoluzione della razza umana, col liassico soprattutto ebbe inizio un’epoca radicalmente nuova.
I pacifici insediamenti sugli alberi, quell’età dell’oro di cui cantavano i nostri poeti, era passata da tempo, è vero; però non s’era abbandonata la speranza di poterci tornare. Le caverne apparvero all’uomo del periodo permiano come un esilio solo provvisoriamente necessario; non potendo prevedere che i sauri – che cominciavano appena a comparire, isolati, e per sottrarsi ai quali s’era rifugiato nelle caverne – avrebbero messo in questione la sopravvivenza dell’umanità, li considerava poco più di uno scherzo balzano e un po’ pericoloso della natura. Il liassico ci schiarì le idee. Dovemmo abbandonare definitivamente la speranza di poterci di nuovo arrampicare sugli alberi, soltanto alcuni circoli utopistici come i vetero-conservatori la sfruttarono ancora per una illusoria propaganda a favore del loro partito. I sauri erano superiori a noi uomini: cento volte per dimensioni e mille volte per numero. Si sviluppavano in forme sempre nuove, più spaventose e fantastiche. Appestavano l’aria, calpestavano la terra e sporcavano l’acqua. I loro colli, che si allungavano in continuazione, resero necessarie caverne sempre più profonde e complicate. Ma nel liassico non c’erano solo i sauri a minacciarci. Agli orrori d’ambito zoologico s’unirono gli orrori della natura. La terra stessa mutò d’aspetto. Non per nulla aveva prodotto quegli animali mostruosi. Spuntarono, con fracasso, le Alpi, accompagnate da terremoti. L’umanità nelle sue caverne sentì le montagne oscillare su di sé, eppure non osò abbandonare l’oscurità che la proteggeva.
In quell’epoca i giornali si posero in modo totale e assoluto al servizio della razza umana. Non si trattava più di garantire il progresso, ora si trattava di salvare la pelle.
Il liassico è il grande, eroico periodo del giornale dell’età della pietra. Sempre più spesso rotolavano a valle le edizioni straordinarie e i numeri speciali, oppure erano i redattori stessi a sospingerli nelle lunghe notti d’inverno, passando accanto ai sauri addormentati, su un terreno sempre tremolante, fino alle caverne dei loro simili. Si divulgavano notizie sulla dislocazione delle mandrie dei sauri, si pubblicavano disegni e descrizioni delle loro nuove forme, si facevano previsioni sui terremoti imminenti. S’aggiungano poi i bollettini bellici sui combattimenti fra singoli sauri e tribù d’uomini, corredati di esaurienti considerazioni critiche sulle varie battaglie. Così, in quei tempi d’orrore, il giornale fu spesso l’unica fiaccola di libertà.
Tuttavia soltanto il periodo cretacico, accolto entusiasticamente con speranze esagerate, portò alla svolta decisiva. I sauri abbandonarono le sponde del mare giurassico che tendeva progressivamente a prosciugarsi, e le Alpi avevano finalmente portato a termine la loro formazione, sia pure con alcuni millenni di ritardo. E contemporaneamente l’«Osservatore Liassico» intraprese la sua ultima, purtroppo vana, campagna.
E’ inconfutabile che il periodo cretacico sia stato una delle epoche più felici della storia umana, anche se personalmente non credo di poterlo neppure minimamente paragonare per grandezza e importanza a quello liassico. Gli uomini ripresero a muoversi liberi e disarmati sulla terra, pur non rinunciando, per tradizione, alle caverne. Fiorirono le arti. Fu scoperta la culinaria. Le severe forme della pittura liassica cedettero a quelle impressionistiche della cultura cretacica. I costumi parchi e severi dell’era dei sauri, che miravano soltanto alla mera conservazione dell’umanità, si ammorbidirono, vennero in voga il gioco e la danza, specie dal giorno in cui s’inventò la tecnica del battere le mani.
Per quanto approvassimo tutte queste cose anche sull’«Osservatore Liassico», non ci sfuggiva tuttavia che era cominciata per il mondo un’epoca di più accentuato lassismo, che doveva ineluttabilmente trasformarsi, col tempo, in un pericolo assai peggiore dei sauri. Fummo presi da preoccupazioni crescenti. L’antico, tradizionale carattere del giornale cambiò, e si fece conservatore.
Furono soprattutto l’invenzione del gessetto e del suo impiego nell’arte dello scrivere ad accentuare le nostre apprensioni. Sempre più giornali furono scritti col gesso e si volsero così alle fugaci novità del giorno. La grafomania s’impossessò dell’umanità. Lo stile puro, laconico della classicità liassica fu dimenticato. Si vide chiaramente che, col superato pericolo, s’era spenta anche la vigoria dell’uomo.
L’«Osservatore Liassico» perse la sua battaglia. Cessò le pubblicazioni alla fine del mesozoico. E questa è stata l’esperienza più dolorosa della mia vecchiaia. Mi è ancora viva nella memoria quella buia notte di Capodanno dell’anno un milione avanti Cristo quando ebbe inizio il cenozoico. I miei presentimenti trovavano conferma. Vedevo già passare i primi mammut giganti, miserabili nani al confronto dei sauri, incapaci di mettere davvero a repentaglio l’umanità e di renderla in tal modo più forte. L’invenzione della posta non mi disorientò. L’invenzione dello scudo di pietra mi diede ragione, le speranze che avevamo riposto nella clava e nelle sassaiole si dissolsero, la guerra era ridiventata teoricamente possibile e ben presto fu rimessa in pratica. E la causa della guerra fu l’invenzione dello Stato, che avvenne nel medio terziario.
La guerra non fu tuttavia la sola conseguenza di quella fatale e infelice invenzione, ad essa va ricondotta anche l’estinzione dei giornali. I quali giornali potevano vivere solo in quanto istituzioni internazionali al servizio di tutta l’umanità; lo Stato li degradò a fogli locali, per i cui minimi compiti risultarono troppo pesanti. Un giornale dopo l’altro cessò le pubblicazioni, e l’ultimo giornale dell’età della pietra, l’«Organo per la creta e l’argilla», aveva già cessato d’esistere ai tempi del pliocene.

1949, un racconto matto di Friedrich Dürrenmatt.
Da Racconti, Feltrinelli, Milano, 1988.

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