minidiario scritto un po’ così di una breve campagna punica: cinque, scampagnata in collina, corse per la benzina, la città santa

Aderisco prontamente a un’escursione locale alle pendici dell’Atlante, per vedere una piccola oasi incastonata nelle rocce e fare una camminata un po’ in su. L’autista del fuoristrada mette subito le cose in chiaro con la radio, un movimiento secsi, eeamacarena, alè e via a novanta all’ora su una strada ricoperta di sabbia, con Hello Kitty che dondola dallo specchietto. Sono numerosi i letti dei fiumi in secca, non capisco se facciano parte di un’epoca ormai finita o se siano a carattere stagionale, vedendo i villaggi abbandonati a fianco temo sia la prima che ho detto. Dopo una breve salita a piedi sulle rocce, dopo una quarantina di minuti arriviamo alla sorgente e vedere come con l’acqua, anche poca, la vita fiorisca persino nei posti più inospitali è commovente.

Al punto di partenza è pieno di bancarelle che vendono paccottiglia, rose del deserto e fossili a niente, bicchieroni di succo di dattero da iperglicemia istantanea. Seguendo il rigagnolo verso i laghi salati arrivo persino a una cascatella, ‘la grande cascata’ delle guide locali.

Addirittura alcuni vendono la palma, a mazzetti di due, maschio e femmina, piccoli bulbi con lunghi getti. Assicurano la vitalità fino alla piantumazione in Italia. Eeelagasolina e giù a rotta di collo, passando per Nefta verso Tozeur. In un albergo a dir poco sontuoso cerco di contenere le mie abluzioni allo stretto necessario ma la vasca che vedo in camera tradisce altre consuetudini. La piscina fuori pure, qualcuno mi parla anche di un campo da golf negli anni Ottanta. Bravi, davvero, tutto ampiamente tramontato.

Parto presto per Sbeitla, l’antica Sufetula, città romana nel deserto caratteristica per il capitolium a tre templi invece che tre sale e per i santuari bizantini sorti poi nei templi della città stessa. Il passaggio non fu traumatico, dicono gli archeologi, avenme quando i templi erano ormai abbandonati. Esattamente come le strutture artigianali dei vandali si installarono tra le mura di edifici romani ormai lasciati a sé stessi. Non è raro, dunque, vedere battisteri e fonti battesimali all’interno di templi ed è sicuramente più facile comprendere il passaggio dalla basilica romana alla basilica cristiana e persino alle prime forne di moschee, che tutte condividono lo stesso impianto architettonico. Il luogo, nelle cosiddette ‘steppe alte’, zona poverissima oggi un po’ recuperata alla produzione di olio d’oliva, è al centro di molti crocevia, fu infatti teatro di un’importante battaglia tra arabi e bizantini per dominio del nordafrica, fino ad americani e tedeschi pochi decenni fa.

Lungo la strada rischiamo un incidente con un’auto senza targa che compie una manovra del tutto azzardata. Sono i contrabbandieri di benzina, mi spiegano, in questo caso dall’Algeria. Là costa meno, riempiono l’auto di taniche e la portano di qua. Ancor più conveniente, ma più pericoloso, con la Libia. Queste auto senza targa sono disposte a tutto pur di non fermarsi, non conviene litigarci, la manovraccia che ci hanno fatto non è solo aggressiva bensì dimostrativa. Uno spasso fare un incidente con un’auto piena di benzina. A un certo punto, il progetto di unione tra Libia e Tunisia arrivò talmente a buon punto che mancavano solo pochi giorni alla firma nell’isola di Gerbah nel 1974. Aveva anche senso per molti motivi, data la somiglianza tra i due paesi per molti aspetti. Alla fine, Bourguiba temette – a ragione, probabilmente – la stretta mortale di Gheddafi, che avrebbe tenuto per sé il comando militare, e si tirò indietro.

Vado a Kairouan, la città santa, prima città araba fondata in nordafrica, nel 670. A pianta circolare, come poi sarà Baghdad, fondata dopo, riprendendo il modello dai persiani e di impianto militare. La città è affascinante, la medina è ricca e varia, la giro con piacere, ed è dominata dalla Grande Moschea, il più grande campionario esistente di colonne romane, bizantine, arabe e di risulta. Il minareto, come la moschea tra i più antichi essendo anch’esso del VII secolo, ha ancora la forma del faro di Alessandria, come il termine stesso, ‘minareto’, manār, lett. ‘faro’, suggerisce. Essendo la scuola tunisina molto rigida, non si può entrare mai nella sala di preghiera, a differenza per esempio delle moschee turche o iraniane. Tutta la città è di fondazione aghlabita e uno dei lasciti più impressionanti sono le due gigantesche cisterne, essendo la città in zona desertica e sorta per scopi militari. Faccio fatica a calcolare il diametro di quella grande, direi almeno cento metri, forse di più. Un lago.

Il resto alla prossima.


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