e il suo diabolico cane

Chiaramente stasera sto a casa, perché ho trovato questo film:

La trama in molta sintesi: in Romania, alcuni soldati risvegliano inavvertitamente il servo di Dracula e il suo diabolico cane, Zoltan. Le mostruose creature partono, così, alla volta di Los Angeles, dove vive l’ultimo dei discendenti del conte vampiro.
Bene. Poi mi chiedo: come andranno, le mostruose creature, a Los Angeles? Aereo, immagino. Chiusi nella stiva, però, se no il sole la luce poi è un casino. Allora me li immagino al banco del check in per essere impacchettate, le mostruose creature, Zoltan compreso, e andare in stiva con gli altri cani e valigioni.
Poi però mi fanno notare, giustamente, che il Conte avrà pur un aereo suo di sua proprietà. In effetti. L’avevo valutato disagiato tecnologicamente arretrato ma errore mio, se l’aereo ce l’ha pure Wonder Woman, ben più vecchia, figuriamoci il Conte.

Aggiornamento: ho trovato l’aereo del Conte, anzi l’ha trovato E., grazie.

il giramondo è tornato

Il primo apparve nel deserto dello Utah.

Un monolite alto tre metri e mezzo, a forma di prisma di metallo, apparso improvvisamente nel novembre del 2020. E così scomparso dopo undici giorni. E già c’erano adoratori, complottisti, alienisti, teorici dell’inganno e fanatici di Kubrick in grande pellegrinaggio nel deserto.
Lo stesso giorno un monolite apparve vicino a Piatra Neamt, in Romania.

Forma identica, finiture non esattamente uguali al primo ma chi sono io per dire qualcosa? Anche lì il monolite restò a far parlare di sé per cinque o sei giorni e poi scomparve, perché ne riapparisse un altro ai primi di dicembre in California, sulla Pine Mountain ad Atascadero.

Infine, dopo qualche giorno, sparì e ne apparve uno ad Albuquerque in New Mexico.

Questo fu preso e spostato il giorno stesso e poi di monoliti, diciamo di questa serie, non se ne parlò più.
Finora.
Perché qualche giorno fa, nella piena brughiera gallese, vicino a Hay-on-Wye, vualà, un monolite.

Urrà, è tornato e continua a girare il mondo, non se n’è andato. E dove andrà adesso? Chi troverà il prossimo? C’è un disegno delle destinazioni? Qualcuno sta unendo i punti su una mappa? Facendo le dovute triangolazioni? Eh, domande, saperlo. Urrà per il monolite.

Anche in Germania, a Kempten, ne apparve uno improvvisamente poco tempo fa ma secondo gli scienziati non è dello stesso tipo.

Mi fido.

portare gli xenomorfi in chiesa

A una decina di chilometri da Glasgow c’è una graziosa cittadina, Paisley, sulle rive del White Cart Water.
La graziosa cittadina ha una graziosa chiesa parrocchiale, l’ovvia Paisley Abbey, che nel dodicesimo secolo sorse su un convento cluniacense per poi diventare, un paio di secoli dopo, una chiesa riformata.

La graziosa chiesa parrocchiale nella graziosa cittadina ogni tanto necessita, come tutte, di qualche restauro, grazioso se possibile. Nel 1990 l’ultimo corposo e complessivo. Vuoi perché son scozzesi, vuoi perché sono nerd, vuoi perché due soldi in più li avevano, vuoi perché i piccoli paesi un’attrattiva turistica se la devono pure inventare, vuoi che diavolo ne so, alla fine, una decina di doccioni dell’ancor graziosa chiesa parrocchiale li hanno rifatti così:

Esatto, l’alieno bavoso di Alien. Sperando non sbavi quella saliva micidiale che tutto corrodeva. Son giochini, è chiaro, ricordo l’astronauta e il drago col gelato di Salamanca e la bicicletta modernista di Barcellona e chissà quanti altri, son giochini. Ma i giochini sono belli, servono e sono meglio dei non-giochini, se mantengono misura e modo. E qui lo fu, direi, tutto sommato. Finché i cosi non si stufano, escono e fanno strage dei paisleyani.

colpa di un altro (che son sempre io ma «fosse per me»)

Negli ultimi venticinque anni, il Partito democratico ha governato per 13,5 anni; anche Forza Italia per 13,5 anni; la Lega per 11,5 anni; Fratelli d’Italia per 5,5 anni; il Movimento 5 stelle per 4,5 anni; Sinistra italiana per 3,5 anni. Con alcune inevitabili approssimazioni, unioni e scissioni, il conto è di Alessandro Gilioli.

Ci sono tutti, e non poco, e la colpa di quelli di prima? Di chi ha fatto il buco? Chi sono i ‘prima’? Il colpo di genio, non lo dico io, non è il rimando ma è la catena stessa di colpe, a risalire all’inizio dei tempi, dal dentista al meccanico al governatore. Lo dice Mattia Torre in uno dei suoi brani brillanti, eccolo interpretato da Mastandrea:

Lo riporto, il testo, è molto bello:

È tipico di questo paese: è sempre colpa di un altro. È sempre colpa di quello che veniva prima, di quello che ha fatto il lavoro prima. Che se cambi dentista quello ti visita e fa la faccia angosciata che tu vorresti morire e ti dice: «Guardi, io non parlo mai male dei colleghi, ma qui le hanno combinato un disastro. Tiè, guarda qua che roba». Che tu non hai proprio la scienza per contraddirlo e neanche per dubitare di quello che dice e comunque il problema non si pone perché hai i ferri in bocca e non puoi parlare per cui abbozzi e ti sottometti muto, impotente.
E paghi 1200 euro.
Stessa cosa se ti si rompe il motorino e lo porti da un meccanico che non conoscevi: quello guarda il motore e si mette a ridere; cioè ride proprio: «Chi ce l’ha messe, le mani, qui, eh? Un delinquente ti c’ha messo le mani. Guarda qua che roba», dice la stessa frase del dentista. Stessa cosa con l’idraulico che ti dice che quello di prima ha creato – forse, chissà, apposta – tutta una situazione terribile di calcare per cui è tutto da rifare, stessa cosa con il muratore, che accusa chi ha fatto il lavoro prima di aver usato materiali scadenti e in disuso per risparmiare sulle spese. Quello di prima? Un vero delinquente.
Stessa cosa con il governo appena insediato, che trova un buco di mille miliardi di debito lasciato dal governo precedente, e al precedente governo non gli sta bene che si dica cosi, allora accusa il precedente ancora, che a sua volta accusa il precedente, fino a risalire a un governo talmente indietro nel tempo che sono ormai tutti morti, e che pure, nelle tombe, bofonchiano che la colpa è di quelli di prima.
E tutto il paese va avanti così, in un susseguirsi di truffe di cui è responsabile sempre quello di prima, o quello prima ancora, e comunque mai di chi la fa in quel momento, e questa è una piccola magia tutta italiana, milioni di cittadini e nessuno ha una sola responsabilità… [questa] grande catena di Sant’Antonio è quasi una festa, per tutti tranne per chi viene fregato e si guarda indietro con un vago senso di malinconia, di disagio, perché è impossibile capire da dove la fregatura provenga, forse da altre epoche, da tempi lontanissimi in cui si girava scalzi e si moriva di vecchiaia a trent’anni, ma poi subito gli torna il buonumore, perché una sòla, così come la ricevi, la puoi anche restituire: grandi professionisti noi siamo in questo gioco al ribasso dove vince il più audace e sfacciato «ma si figuri» «fosse per me» «lei l’avrà capito che se dipendeva da me, altroché».
Che significa? Cosa dicono? Non ha importanza. Perché nel frattempo si è sviluppata un’intera comunità di persone fintamente affrante per i disastri commessi da altri, ma subito pronte, se ben retribuite, a riparare il danno. «Ma il danno è grave, eh?» «Non mi faccia mettere le mani avanti.» «Noi qui ci proviamo, non è detto che si risolve.» «Noi proviamo, ma noi non li facciamo i miracoli.» Quando in realtà il miracolo d’ingegno è la catena stessa, per cui già da domani altri interverranno sulla lavatrice, sul motorino, sul premolare o sul governo del paese e ancora una volta diranno: «Qui signori è tutto da rifare, colpa di altri, noi ci proviamo. E speriamo bene».

Ovviamente è colpa di qualcun altro, prima. Noi ci proviamo ma, insomma, non si garantisce. Eppure anche prima erano gli stessi, loro medesimi, è un prima che non contempla sé stessi, un prima astratto che sempre funziona nel riandare a un dove e a un chi che non hanno mai fine.

«coraggio, sono io, non temete!»

Poi ad Amburgo mi scappa l’occhio e noto l’appropriata chiesa-barca galleggiante.

La flussschifferkirche, per tutti coloro che non camminano sulle acque. Suggerisco attenzione al simbolo, felice combinazione tra la croce e l’ancora marittima, niente sirene, bestie. Al fianco destro per chi guarda, la chiesina barchina del chierichetto o per operazioni liturgiche di emergenza ed esorcismi di marinai. A sinistra, la chiesa, pur sempre galleggiante ma non-barca, quindi va ormeggiata e lì sta.

Quando, come in questo caso agosto 2022, le acque sono basse, occorre andare per vie tradizionali, ovvero essere dappertutto perché la barca, dispiace, ma non serve.

mettiamo un punto fermo (o della lunghezza dei libri)

Canone e premessa imprescindibile: qualunque cosa può essere spiegata in un saggio di non più di cento pagine (iddio benedica ancora i saggi PBE Einaudi, vedi Roland Barthes, Critica e verità, sessantaquattro, 64! pagine) e qualunque storia può essere raccontata in non più delle centosessanta pagine de Lo straniero di Camus.
Tutto il resto è un di più. Augh, ho parlato.

Ma noi no, noi grazie al compiuter, al fatto che non tocca più riscrivere tutto con la macchina, al fatto che si copia e incolla, al fatto che ci si mette meno che a scrivere a mano, noi no: tra i volumi vincitori del premio Strega, nel decennio 1970-1979 la media era di 220 pagine, 292 negli anni Ottanta. Nei Novanta si raggiunge la media delle 317 pagine, dal 2000 al 2009 si va a 337 pagine e avanti con le 471 pagine del decennio successivo. Crescita costante e senza freni, santoddio guarda questo, ma che dovrà dire uno in quattrocento pagine? Chissei, Proust? Per non citare i due più verbosi di sempre, M. Il figlio del secolo (848 pagine) e La scuola cattolica (1.294 pagine), qualcuno abbia pietà di noi. Di me, almeno.
La tendenza è confermata ovunque, il Booker Prize, analizzato dalla critica britannica Leaf Arbuthnot: 248 pagine nel 1970, 294 nel 1980, 372 nel 2000, 530 nel 2019. Il che ha suscitato un vivace dibattito all’interno del premio stesso. E sì che la controtendenza di video e social invece sembrerebbe portare alla riduzione, non all’ammasso di concetti.

Marketing con prodotto un tanto al chilo, mancanza di editor (vedi il grande Vittorini, a breve prometto racconto la storia del Sergente nella neve) in grado di tagliare e farsi valere, facilità tecnica come accennato, ristampe più visibili alla lettura (Il nome della rosa cresce invariabilmente a ogni edizione, curioso) e così via, le spiegazioni possono essere parecchie e presumibilmente concomitanti. Segnalo un bell’articolo al riguardo su Treccani.it di Giacomo Natali da cui ho tratto i dati e qualche conclusione.
Lo dico? Sì, oramai scelgo le mie letture guardando il numero di pagine. Se l’argomento è la storia dell’universo posso arrivare a leggere anche duecento pagine, se l’argomento è un giallo a camera chiusa o le vocette di Meloni allora mi spiace, mi ritiro poco dopo le ottanta. Che sarebbero già tante.