la mia opera di street art preferita di sempre

Sono davvero davvero lieto di presentare Arthur Wellesley, I ducaconte di Wellington, generale vincitore a Waterloo, due volte primo ministro, Feldmaresciallo Sua Grazia e sa il diavolo che altro, con il suo maestoso cono.

Non avrei saputo pensare a un ornamento più appropriato. Perbacco, uno anche per il suo fido destriero.

È forse un unicorno, chiede qualcuno? Ma che dire? Non bastano i coni per un sì alto rango, ne vanno aggiunti altri, mostrine su mostrine, onori su onori.

Accade poi qualcosa, che so? l’invasione dell’Ucraina, e il ducaconte Wellington è certamente attento all’attualità e non si lascia sfuggire l’occasione di dire la propria.

Anche in occasione di qualche festa dei bambini. Adorabile.

E a natale no?

A volte il ducaconte vuole strafare ed esagera un po’.

(Con questa me faccio addosso per davvero). A volte la Scozia e lui con lei vorrebbe tornare in Europa e lo fanno notare (no, non è il cappello di un mago, era il triste giorno della Brexit).

A volte, invece, si sente solo bene, in forma, e gli va di essere elegante e sbarazzino. Perché quel giorno gli sta bene tutto.

Quando poi la Scozia vince buona parte delle medaglie inglesi alle olimpiadi è proprio il caso di farlo notare.

Come ogni gentiluomo di rango, ha naturalmente un assistente personale che lo riveste a sera.

(E bisogna pure andare con la signora scala tutte le volte). Volendo c’è anche il suv’nir, come si confa ai luoghi turistici.

Quello senza coni ovviamente non c’è. Perché a chi importa?

La statua del ducaconte sta davanti al Royal Exchange di Glasgow, oggi Galleria d’Arte Moderna. Opera di Carlo Marochetti, fu eretta nel 1844 – il ducaconte vivente – per celebrare il vincitore di Waterloo e così in tutto l’impero. Dagli anni Ottanta, almeno, la meravigliosa popolazione locale cominciò a vestire il capo del ducaconte con un cono stradale, così che la marzialità del militare andasse a farsi benedire con fare istantaneo. A ogni rimozione, una nuova collocazione. A volte, come visto, anche più di una, spesso anche il cavallo ne gode. Nel 2005 il consiglio comunale di Glasgow chiese ufficialmente di piantarla, adducendo danni al monumento come motivo, un costo di cento sterline a ogni intervento ma è chiaro che non siano gli argomenti giusti per negoziare in questo caso. Allora approvò un assurdo progetto da sessantacinquemila sterline per raddoppiare l’altezza del basamento ma una campagna prima social e poi di persona in manifestazione, “Keep the Cone”, dissuase il consiglio. Pare che, pervicacemente, si sia testato un software CCTV, costo 1,2 milioni di sterline, in grado di rilevare automaticamente le persone che mettono i coni sulla statua ma la cosa non ha avuto ancora un seguito. Fatto sta che uno o più coni sulla testa del ducaconte ci sono sempre. Il che ne fa uno dei miei monumenti preferiti e, per estensione, l’opera di street art che preferisco per il sensazionale dileggio del potere.

Oggi nel senso di oggi fino al 28 agosto, il Museo ospita la prima mostra ufficiale di Banksy, Banksy: Cut and Run. 25 years card labour – e niente niente avviene mai per caso – e ieri è stato un vero spasso guardare il campionato del mondo di ciclismo – per inciso: gara bellissima, non poteva succedere di più – che per dieci volte ha imboccato il rettilineo di Ingram street davanti al ducaconte ornato, anche stavolta, del suo bel cono.

Per quanto mi riguarda, il cono del ducaconte è motivo più che sufficiente per andare a Glasgow che non brillerà per bellezza in sé ma di certo la popolazione esprime grandi qualità che suscitano la mia più completa riverenza.

e il nuovo imperatore del Sacro Romano Impero è…

Ivan Babcock da Mason County, Michigan.

Private First Class (PFC) dell’esercito, non perse l’occasione di farsi scattare una foto in una miniera tedesca il 3 aprile 1945. Come i più avvisati hanno già colto, si tratta della corona imperiale, non quella di Carlo Magno ma quella di poco dopo, circa decimo secolo, e utilizzata fino alla dissoluzione dell’Impero, nel 1806. Ivan Babcock, come Napoleone, la corona se la mise in testa da solo e sebbene nel 1945 l’Impero non esistesse più, direi che qualche pretesa potrebbe averla avanzata, almeno fino al 1994, anno della sua scomparsa. Come in un film di Landis. La foto è del suo commilitone T/5 E. Braum.

Ah, dai: rassicuro i più ansiosi, quella sulla testa di Babcock è la replica del 1915, nascosta comunque dai nazisti, quella vera stava in un bunker a Norimberga, sotto il castello dove anche ora sta. Non è per davvero imperatore. Bella foto, l’avrei fatto anch’io senza esitare un attimo.

la brutta abitudine di fare i conti in tasca agli altri senza dirla tutta

E senza guardare i propri, di conti e di tasche.
Buffo che a tutti i giornali italiani di questo agosto non sia sfuggita la notizia dell’aumento del prezzo del Guggenheim a New York, da venticinque a trenta dollari, che segue quello del MET, del Whitney, del MoMA e del Museo di Storia Naturale da un anno a questa parte. Inflazione, diminuzione dei visitatori, cose così. I commenti dei giornali italiani sono salacetti: «Per il turista venuto dall’Italia il nuovo tariffario appare da capogiro soprattutto se confrontato a quello di altri musei della penisola: se l’ingresso agli Uffizi costa 26 euro (più quattro euro di prenotazione), i Musei Vaticani si fanno pagare 17 Euro, la Pinacoteca di Brera 16, mentre al Mann di Napoli 23 euro permettono una visita di due giorni». Perché si fanno i paragoni e sono curiosi, perché agli Uffizi il 26+4 fa proprio trenta, e si dimenticano di citare le facilitazioni di là: residenti e coloro che studiano in città non pagano un biglietto, lasciano un’offerta libera, e le riduzioni a 22 dollari per gli anziani e 17 per gli studenti al MET, per dire. E al Guggenheim con 75 dollari, tutti deducibili, si diventa membri e si entra quando si vuole e si vede ogni mostra aggratis. Ovvio puntino su quello e scoraggino le visite occasionali. Ma è più bello non dirlo. Verrebbero a questo punto confronti sui musei stessi che non si faranno perché siam pur sempre dei signori.

Facciamo allora le comparazioni con altri settori, sempre gli stessi giornali:

E allora io dico che per me un Guggenheim a un prosciutto e melone e mezzo va benone, lascio questo e piglio senz’altro quello, senza esitazioni. A Forte dei Marmi manco ci vado e perché dovrei, quando posso andare a New York spendendo meno?

Peraltro nella foto l’ombrellone non ce l’ha nessuno. Sarà per il costo?

ancora Bologna, ancora il quattro agosto

1974, alle ore 1.30 del 4 agosto, una bomba esplose nel secondo scompartimento della quinta carrozza del treno Italicus, Roma-Monaco di Baviera, mentre transitava all’interno della galleria della Direttissima a San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna.
Morirono dodici persone: Nunzio Russo di Merano, tornitore delle ferrovie, la moglie Maria Santina Carraro e Marco, il figlio quattordicenne. Nicola Buffi, 51 anni, segretario della Dc di San Gervaso (Fi) ed Elena Donatini rappresentante Cisl dell’Istituto Biochimico di Firenze. E poi Herbert Kontriner, 35 anni, Fukada Tsugufumi 31 anni, e Jacobus Wilhelmus Haneman, 19 anni. La bomba uccise anche Elena Celli, 67 anni e Raffaella Garosi, di Grosseto, 22 anni. Silver Sirotti, invece, non era stato coinvolto nell’esplosione. Aveva 24 anni ed era stato assunto dalle Ferrovie da dieci mesi, stava svolgendo servizio sul treno quella notte e, quando vide le fiamme in galleria, impugnò un estintore e incominciò a estrarre i feriti. Rimase anche lui bloccato tra le fiamme. Fu decorato con la medaglia d’oro al valor civile. L’incendio rese irriconoscibili molti corpi, tra cui quello di Antidio Medaglia, 70 anni, che venne riconosciuto dalla fede al dito.

L’attentato fu subito rivendicato. Fu fatto ritrovare un volantino di Ordine nero che proclamava: “Giancarlo Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l’autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti“.
Poi qualcuno fece il nome di Tuti, qualche pista portò poi a Gelli (Arezzo è vicina), al SISMI e così via. Facile indovinarne la conclusione: nessun colpevole individuato.

Questo è un post di dieci undici dodici tredici sedici anni fa. E la cosa tragica è che non fa nessuna differenza.

ancora Bologna, ancora il due agosto (e son quarantatre)

E quest’anno col governo dei nipotini dei neofascisti e qualche neofascista imbalsamato tocca pure rimettere certi puntini sulle matrici fasciste della strage e sulle sentenze che ne danno ampiamente conto. Ma tant’è, nessuna novità per l’Associazione e per coloro che vi sono vicini, è quel che si fa da quarantatre anni. Certo, sarebbe bello non servisse più come sarebbe bello avere un altro governo, un altro presidente del Senato, della Camera, altri elettori e così via. Ma questo è il paese delle bombe, non quello dei sogni.