
Giushappy

Ecco, l’ora legale: è sempre stata una gioia, una festa per gli occhi, sette mesi di luce in più e fin dal giorno dopo ogni attività si è prolungata verso la sera, che so?, camminare in collina o giocare all’agricoltura o stare fuori, in generale. Ecco, ora no. Stavolta no. Succede uguale, viene buio più tardi ma il pensiero, non solo mio da quanto vedo, è stato: oh, quand’è-che-viene-buio? Perché non poterselo godere è peggio che non averlo. Come, direi, ogni cosa. Straziantella, a pensarci.
I dati sono in timida discesa e la cosa è rassicurante, sia dal punto di vista concreto – i malati – sia dal punto di vista dei reclusi, lo sforzo ha significato. Bene. Naturalmente non se ne parla di allentare le misure, mi pare giusto, ancor più visto che tra due settimane è pasqua e sarebbe un delirio di gente in giro con salame e uova a fare i contagi di pasquetta. Qualcuno ora dice fine aprile, qualcuno dice maggio, ipotesi, è troppo difficile fare previsioni su una situazione come quella attuale, per vari motivi: prima di tutto non esistono situazioni di riferimento dalle quali trarre conclusioni attendibili; in secondo luogo, la diffusione di una pandemia è dovuta all’intreccio di un numero così alto di fattori complessi da essere difficilmente dipanabile mentre accade. Cominciano però a circolare alcune indicazioni su cosa avverrà dopo e le riporto qui, quelle plausibili, per fare un confronto quando saranno accadute: si ipotizza una ripresa graduale, sia per età che per attività, il tutto punteggiato da test a tappeto e mascherina in ogni momento. Qualcuno, poi, si spinge oltre: uno scenario credibile ipotizza che a una riapertura graduale seguirà poi una ripresa delle restrizioni, magari non tutte, non appena il contagio ricomincerà a crescere (aeroporti e stazioni chiuse, parchi, cinema etc. chiusi, ristoranti e comportamenti sociali contingentati e così via). Attraverseremmo, quindi, diversi cicli di misure contenitive prima di raggiungere o la cosiddetta «immunità di gregge» attraverso i contagi graduali o attraverso la vaccinazione massiva della popolazione. In entrambi i casi, ci vuole tempo. Infatti, queste misure non possono portare a zero i contagi ma servono a proteggere i soggetti più deboli e a dare il tempo alle strutture sanitarie di curarli come si deve. La sfida, a questo punto, sarà trovare un punto di equilibrio tra questa esigenza e le esigenze lavorative ed economiche del paese, ed è per questo che già, in Italia, si fa un gran parlare di chi guiderà il paese in questa seconda fase. Danno tutti per escluso Conte, al momento, e il nome sugli scudi è quello di Draghi. Plausibile, vista l’esperienza specifica, io l’ho detto nell’autunno 2018, in tempi evidentemente insospettabili. Ci sono fattori, però, – tornando ai possibili scenari – che non conosciamo, per esempio se con il caldo il contagio possa recedere o meno, se per esempio alcune strategie come la localizzazione, i test a tappeto, il tracciamento dei contatti possano in qualche modo evitare il ritorno a forme di quarantena diffusa. Poi c’è il fattore farmacologico, ovvero che oggi non possediamo dei medicinali specifici ma qualora saltasse fuori un rimedio efficace, o una combinazione di rimedi già esistenti, allora la situazione potrebbe cambiare favorevolmente. Anche le ormai comprese modalità igieniche e di distanza sociale potrebbero aiutare a non ricadere in forme di isolamento così forti, difficile dirlo. Ma l’ipotesi di cicli di contenimento al momento pare la più probabile. La Corea del sud, memore delle esperienze di SARS e MERS, ha invece fatto scelte diverse e durevoli nel tempo, forniture costanti di dispositivi di sicurezza personale e aziendale, comportamenti diffusi, strutture sanitarie pronte all’evenienza e così via, ma è pur vero che il modello non è del tutto esportabile in Occidente, poiché in Corea il controllo statale è davvero ferreo.
Cosa ci aspetta? Vedremo. Nel frattempo, quand’è-che-viene-buio?
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Lucas Cranach, Caccia in onore di Carlo V nel castello di Torgau, 1544, olio su tavola, cm 114×175. Madrid, Museo del Prado. Tante cose che capiamo entrambi.
Ciao.
L’angolo di visuale è sempre più ridotto, senza il confronto con le altre persone: si dice di possibili tumulti, avvertono i servizi segreti non deviati, si racconta di qualche furto della spesa fuori dai supermercati, chissà se uno o decine?, di sicuro più aumentano le persone, le piccole imprese e le aziende in difficoltà – dato che le entrate sono ferme per molti, me compreso – e più c’è spazio per approfittarne per gente senza coscienza e più c’è spazio per casini, fomentati e non. E poi: newsletter false di richiesta di sostegno economico a nome delle maggiori ONG, finte lettere intestate al Viminale, appese in alcuni condomini, che invitano a lasciare il proprio appartamento, sono episodi o fenomeni più ampi? Difficilissimo dirlo stando davanti a un computer senza poter uscire, la certezza è che ci sono persone talmente miserabili d’animo che manco riesco a immaginare. Lo so, niente di nuovo ma constatarlo di persona mi colpisce e mi fa soffrire ogni volta.
Nel frattempo, nel resto del mondo il virus si sparge senza risparmio, in particolare in USA e Spagna, particolarmente impreparati. In Europa, l’Olanda prende una posizione particolarmente irritante sostenendo il ciascun per sé (è da tempo che lo vado dicendo: la loro non è libertà, le droghe leggere, la prostituzione, è completo disinteresse per gli altri) e Prodi, un ottantenne di classe infinitamente superiore alla quasi totalità dei più giovani datisi alla politica, risponde per le rime, unico o quasi. Bastano alcune timide righe sui giornali che ipotizzano una timida recessione del numero di contagiati (che vuol dire: diminuzione dell’aumento) e la lettura collettiva è ovviamente a proprio favore: «qual è la prima cosa che farai quando potrai uscire?», chiede Repubblica da ieri. Eh no, così non aiutate. I microbi della politica, Renzi, Meloni, dicono bestialità fregandosene delle conseguenze e bisognerebbe ricordarselo, poi. Salvini no, lui va dalla D’Urso e insieme recitano in televisione l’Eterno riposo, vivaddio senza più nemmeno il pudore della preghiera. Schifosi. Nel frattempo, arrivano trenta medici albanesi in aiuto e il presidente albanese Edi Rama fa un discorso encomiabile, per contenuto e modo, perché sa che casa è dappertutto. Ovviamente poi prende il plauso peloso anche di chi, qui, pensa che casa sia solo in una villetta in periferia in pianura padana e poi al bar dice castronerie sugli albanesi.
A proposito di bar: io è dal 7 marzo che non bevo un cappuccino. Più o meno come tutti, ne sono a conoscenza. Mi manca il bar, quel momento in cui tutto deve ancora iniziare e io mi concedo il bancone e, appunto, il cappuccino. È una cosa che apprezzo sinceramente quando la faccio, non ho bisogno di rendermene conto ora: ecco perché mi manca. Come i concerti, le partite di basket, le cene fuori, le zingarate e soprattutto i viaggi. Madonna, meglio che non ci pensi. Perché tra tutte le cose che ripartiranno gradualmente, quelle saranno di certo le ultime. Un treno? Un aereo? Un pullman? Ciao. Mi trovo a guardare le mappe, a segnarmi i posti da vedere, costruire itinerari immaginari: sì, Eisenach, poi Gotha, Erfurt e Jena, perché Weimar la conosco. Comunque, un giretto, impossibile saltarla. Sì, treno regionale perché sono tutte a un tiro di schioppo, diciamo un giorno per una. Beh, poi di sicuro tornare a Lipsia, a vedere la chiesa di Bach, o a Chemnitz, per salutare il testone di Marx. Aaaaargh.
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Il trucco è trovare persone bisognose di spesa vicino ai posti dove mi interessa andare. Mi spiego. L’ho detto, cerco di rendermi utile facendo la spesa per il maggior numero di persone possibile: questo ha senso poiché una persona, io, a fronte di molte, loro, in giro; e ancor di più perché permette a loro di non dover uscire e, di conseguenza, correre rischi inutili. E, lo dico, permette a me di stare fuori all’aperto invece che chiuso in casa. Quindi, spesa e missione di necessità all’interno del Comune. Tutto bene, tutto lecito finora. Anche se, ormai, si comincia a non capirlo più, all’ennesimo (quinto?) modello di autocertificazione da compilare e portare con sé: adesso è talmente complicato che richiede di autodichiarare di essere a conoscenza delle norme, statali e regionali, che regolano i movimenti in questo periodo. Ed è falso, almeno nel mio caso: non ho letto le norme, ho letto qualche articolo che le sintetizza e bon, esco. Con il modello di autocertificazione precedente. Perché essere a norma va bene ma dover uscire per la quinta volta, raggiungere l’ufficio perché non ho la stampante, ricompilare tutto, stampare e tornare a casa mi pare davvero irragionevole. Oltre a tutto, ho il sospetto che più il modulo si infittisce e meno i vigili fermino le persone. Un’idea così. Tra l’altro, come avevo immaginato addirittura io che so poco di tutto, le sanzioni sono slittate dal penale all’amministrativo: ovvio, fin dall’inizio mi chiedevo come avrebbero fatto poi a gestire un numero così alto di denunce.
Tornando all’inizio, devo pianificare gli spostamenti in modo sensato, sia per non compiere inutili giri (il vigile non lo capisce), sia perché c’è un posto che mi interessa visitare con una certa frequenza e dove non potrei andare secondo quelle che suppongo siano le norme attuali. Allora, ho cercato e trovato una signora bisognosa di spesa nei paraggi e vualà, il gioco è fatto e ho il lasciapassare. La signora si chiederà come mai ciclicamente io insista per andare ad acquistare qualcosa per lei.
Le persone recluse in casa percepiscono il non poter andare a fare la spesa come una riduzione della propria autonomia, prefigurazione del futuro, per cui tendono a innervosirsi (non tutti ma insomma, poi l’età non aiuta). Cerco di spiegare loro che le cose non hanno relazione, la pandemia e la loro mobilità, subiamo tutti una riduzione di autonomia ma, solitamente, non c’è verso. Alcuni provano vergogna e si scusano di continuo, e la cosa mi commuove mentre cerco di spiegare come la vergogna sia proprio un sentimento fuori luogo, in questo caso. E poi c’è il problema dei soldi: io anticipo la spesa, ovvio, e molti di loro vorrebbero rimborsarmi subito. Capisco ma non c’è modo, visto che non hanno la possibilità di reperire contanti e men che meno fare operazioni online. Tenete i conti, alla fine pagherete tutto, eheh.
Venendo al generale, la pandemia si sta diffondendo dappertutto, gli USA sono prontamente diventati il paese al mondo con il maggior numero di contagiati, Germania e Francia dopo gli sberleffi iniziali si sono adeguate al modello di contenimento italiano, la Gran Bretagna dopo un delirio iniziale dovuto a cultura e orgoglio (incredibile come le nazioni reagiscano come i singoli individui) ha chinato il capo e sta solo ora cercando di fare fronte, considerando che ha una sanità pietosa, a est Europa il contagio non pare progredire (il miracolo dell’informazione oltre cortina prosegue); l’unico paese controcorrente è la Svezia, che ha deciso che non è come l’Italia e, di conseguenza, non avrà problemi. Aspettiamo qualche giorno.
Qui da noi, oltre a contenere la malattia, ci si impegna a capire come mai la diffusione sia così ampia e come mai la percentuale di mortalità non sia in linea con gli altri paesi: per la prima domanda, essendo io in una delle zone più colpite, ho la convinzione – suffragata da una pur ridotta esperienza diretta – che sia dovuto al fatto che, attaccati alla lira e irresponsabili, molti non abbiano affatto smesso di lavorare né di frequentare parenti stretti; per la seconda questione alcuni avveduti stanno ipotizzando che stiamo facendo dei conti sbagliati, non tenendo conto della vera diffusione che sarebbe da cinque a dieci volte maggiore per volume.
Domani, qualche storia in tempo di pandemia.
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È stupefacente, già in tempi normali, constatare quanta disinformazione venga fatta sui canali social e, soprattutto, su whatsapp, figuriamoci ora col virus e la reclusione. C’è anche un discorso pratico: i boccaloni, quelli veri, e le persone prive degli strumenti per distinguere una bufala da una notizia plausibile usano tutti whatsapp. Non passa giorno in cui qualcuno non mi giri un video assurdo, complottista (ultimamente: Mazzucco, uno che ha portato tesi a favore della terra cava, voglio dire), per chiedermi se si possa fidare o meno. Io non ho strumenti particolari per giudicare, se non una grande dose di scetticismo dettata dall’esperienza e, di conseguenza, rispondo sempre di no, spiegando che se ci sarà mai una notizia importante non circolerà in quella maniera. Parrebbe chiusa qui e invece no: al prossimo video che nel titolo o nella descrizione presenta qualche elemento plausibile di verità desecretata, si replicherà.
Problemi: come ho già detto, nell’arco di due settimane il mio lavoro – consulenze in formato partita IVA ridotta – è bell’e che svanito, evaporato, puf. Perché, ovviamente, le aziende sono chiuse e quelle che non lo sono cercano di stare a galla tralasciando qualunque forma di investimento. Comprensibile. A questo, man mano che passa il tempo, si va progressivamente sovrapponendo il problema dei costi: se non ci sono entrate, diventa difficile sostenere i costi fissi. Ve ne sono alcuni irrinunciabili, almeno al momento, che sono i contributi e gli stipendi dei dipendenti, altri vengono posposti man mano dai decreti del governo. Ve ne sono poi altri, spesso legati ai privati ma non solo, che non sono attualmente normati e che stanno cominciando a creare problemi: sto pensando, per fare un esempio concreto, agli affitti. Gli inquilini, privati o aziende che siano, a fronte di mancate entrate stanno cominciando a discutere i termini di pagamento degli affitti; al momento si tratta di posporre i termini di pagamento verso ipotesi più in là (che so? riapertura dei negozi, ripresa della vita normale), immagino che più si andrà avanti e più si porranno problemi di mancati pagamenti punto. Quindi: chi non guadagna cerca di porre un freno alle spese e chi, dall’altra parte, non guadagna non riceve le entrate sulle quali poteva contare, il circolo è più che vizioso. Io il mio affitto l’ho pagato subito, senza pensarci, però non sto ricevendo quello che – in assenza di entrate lavorative – mi permette di pagare il primo. E diventa un qualche tipo di problema che aspetta solo di ingigantirsi nelle prossime settimane. La rivalsa a cascata non è cosa buona.
Oggi sono andato al supermercato per il rifornimento delle persone che contano su di me e il mio giro di rifocillazione e la novità, oltre alle entrate contingentate, le mascherine, i guanti, gli orari ridotti dei giorni scorsi, è che provano la temperatura all’entrata. Con un pistoletto che puntano alla fronte e che dà subito la rilevazione della temperatura. Ecco, a me oggi il signore all’entrata ha puntato il coso, poi ha guardato perplesso, me l’ha rifatto (e io, a quel punto, ovviamente penso che ci sia un problema), ha guardato ancora perplesso, e me l’ha ripuntato la terza volta. Ahia, mi dico, e mi prefiguro un futuro a breve di reclusione e di diagnosi fatali. Il signore comprende il mio sguardo interrogativo e gira verso di me il pistoletto: lei ha trentaquattro. 34. Perfetto, o sto defungendo o direi che lo strumento altamente tecnologico ci garantisce una vera sicurezza, dentro il supermercato. Essendo sotto la fatidica soglia dei 37,5°, quella del panico, mi fa entrare.
Ecco, questo fa parte di una serie di gesti e comportamenti, vedi le mascherine dei comuni mortali, che non sono in sé utili o importanti, sono semplicemente positivi perché rassicurano chi li fa, chi li riceve e le persone in generale. Ora, a questo punto nessuno si chiede se le mascherine servano sul serio ma chi non la indossa è additato e guardato in tralice. Lo stesso la precisione della rilevazione della temperatura: non importa, ma dà l’impressione che tutto sia monitorato e sotto controllo.
Quindi, va bene.
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Ennemilionesima autocertificazione, tocca andare alla stampante, perché oltre che compilata deve essere pure autocertificazione cartacea. Ma la stampante sta dove deve stare, in ufficio. Quindi, uscire di casa con modello antiquato di autocertificazione, recarsi in ufficio senza una comprovata necessità lavorativa – il paradosso si involve – scaricare l’apposito modulo, compilarlo nella parte anagrafica, stamparne diverse copie per ogni evenienza, mettere nel pacco di carta usata tutte le autocertificazioni precedenti. Lo faccio. Una volta fatta, sono in regola. Ma fino a quando? Forse domani, se va benissimo dopodomani, ma magari già ora potrei non esserlo, in una spirale kafkiana senza uscita in cui la burocrazia deforma la realtà.
Mi guardo intorno: l’ufficio è stato abbandonato abbastanza in fretta, chi prima e chi dopo ma tutto sommato abbastanza rapidamente. Ci sono parecchi computer accesi perché il telelavoro (lavoro agile, smart working ormai) organizzato al volo richiede di poter usare le risorse del pc principale con quello, secondario, di casa. Chissà gli alimentatori per quanto dovranno reggere, bella domanda. E poi? Poi il riscaldamento, perdio, per fortuna qualcuno me lo ricorda via messaggio: spegnere. Giusto, cambia la stagione e poi anche quello chissà per quanto sarebbe rimasto acceso. Le piante, oddio le piante. Le trovo boccheggianti, nessuno ci ha pensato e, comunque, non c’era modo. Se sull’autocertificazione scrivessi ‘innaffiare le piante in ufficio’ come motivazione di necessità come la prenderebbero? Eppure…
C’è un sacco di gente al lavoro nei negozi di fronte e negli uffici a fianco. Tutto questo non torna, nessuno è strategico e buona parte di essi, lavorando nel settore dei servizi informatici, potrebbero benissimo stare a casa a lavorare. Non parliamo del negozio di fronte, che vende, mmm, barbecue. Essenziale? Qualcuno ovviamente direbbe di sì ma c’è sempre qualcuno che direbbe qualcosa. Che poi… chi va a comprare un barbecue in questo periodo? Salve, signor poliziotto, guardi, sono in regola, è una necessità, sto andando a vedere i barbecue per quest’estate. Oh, beh, certo, vada pure.
Questo microscopico spaccato di vita esterna mi conferma due cose: la prima, che c’è un sacco di gente che non sta in casa; la seconda, che c’è un sacco di gente che, pur non potendo, continua a lavorare. Poiché siamo nella provincia più colpita dai contagi la cosa assume una certa rilevanza. Ma pur di guadagnare due lire e, ovviamente, fregandosene di tutto il contesto, molti non chiudono, rallentando quindi tutto il processo di contenimento del contagio. Cosa che, oltre a fare incazzare me, farà perdere anche più soldi a loro stessi ma, evidentemente, non è l’unica cosa che non capiscono. Subire direttamente le conseguenze dei comportamenti altrui è davvero difficile. Accade anche in tempi normali ma, adesso, è davvero evidente.
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Bertolaso, al secondo giorno di lavoro, si è ammalato. Nella migliore tradizione del raccomandato appena ottenuto il posto fisso. Lo so, potevo non dirla ma non sono riuscito a trattenermi. E non ho detto nulla sulle massaggiatrici. Anche il principe Carlo è positivo: te ne pensa se muore prima della vecchia, che smacco! Erede per tre secoli e poi tàc, un maledetto virus che si chiama pure corona non guarda sulle teste altrui. Vabbè, amenità nel vasto panorama del disastro.
Mi colpisce notare che in questo momento la mia visuale sulla situazione è davvero minima, molto ma molto più ridotta del solito, in condizioni normali, quando è già ridotta di per sé. Le fonti informative sono alla fine poche e le stesse per tutti, poi ci si confronta, magari, ci si scambia qualche idea in più, ma il giro del fumo è sempre lo stesso. E ciò che noto, al momento, è che regna una certa confusione: i dati altalenano, non paiono aver preso una direzione decisa, nessuno esprime idee su cosa accadrà poi, su come far ripartire le aziende, le fabbriche, i negozi, le persone stesse, perché è sì prematuro ma anche perché nessuno ha realmente idea di cosa e come succederà. Il Governo, per stare a oggi, promulga un altro decreto, l’ennesimo, e nell’arco di ventiquattro ore ci sono seicento aziende che chiedono di cambiare codice ATECO, evidentemente per restare aperte. E già il decreto era dalle maglie molto larghe, per non scontentare Confindustria.
Ora, io non so quale sia la linea migliore da seguire, se la quarantena e l’isolamento o altro, ma so che se si sceglie di prendere una strada poi bisogna seguirla con decisione, non ondivagando. Altrimenti ogni progresso è perduto e la meta resta sempre lontana. Se tutti noi siamo chiusi in casa da quasi tre settimane e, poi, ci sono ogni giorno più di un milione e mezzo di persone, solo in Lombardia, che si muovono per andare a lavorare, io resto un poco perplesso. E ancor di più se a ogni decisione c’è una massa di irresponsabili che si dedica a trovare la scappatoia: per uscire, per non chiudere, per partire, per scappare, per vedere la nonna. Una massa, per fortuna, molto minoritaria, secondo gli Interni, ma pur sempre presente e visibile.
Secondo i sondaggi, sondaggi?, rispetto a sette giorni fa la Lega è in calo dello 0,5% e scende al 26.5%. Viceversa i democratici guadagano quasi mezzo punto, passando dal 22,5% della scorsa settimana all’attuale 22,9%. Non c’è che dire: prendi Zingaretti, chiudilo in casa con un virus brutto, riducilo al silenzio e il partito guardagna.
I giorni cominciano a essere un po’ tutti uguali, tutti brevi per me che non riesco a fare tutto ciò che vorrei, è tornato un po’ anche il freddo, dopo alcuni giorni di primavera inebriante. Le piante sono fiorite, il cielo è stranamente azzurro e non bianchiccio, più si va avanti e più sarà difficile dire alle persone di stare a casa.
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Oggi è lunedì, vado al supermercato e mi chiedo se troverò più coda di ieri essendo lunedì. Sì, la risposta è sì. Evidentemente ancora distinguiamo se sia un giorno o un altro anche se, almeno nel mio caso, non fa alcuna differenza. Solita coda fuori, così formata: carrello, persona, due metri, carrello, persona, due metri eccetera. Di conseguenza, se ci sono, che so?, trenta persone in coda diventa una fila di circa ottanta metri che si snoda attorno al perimetro del supermercato. A vederla fa più impressione che a farne parte, più o meno si sbriga in un tempo accettabile e poi, mmm, che ho da fare? Certo, qualunque cosa meglio ma inutile affrontare anche queste incombenze con l’animo di sempre, altrimenti si soccombe.
Come da settimane ormai, tutto ciò che può diventare disinfettante, i guanti, non dico le mascherine, tutto esaurito. Mi pare chiaro che ci sarà gente con il garage pieno di guanti usa e getta e chi andrà in giro con i guanti per i piatti, un vero classico della nostra specie, furba e vorace. Tra le persone per cui faccio la spesa, c’è chi si è ben reso conto della situazione e chiede acquisti durevoli per il lungo periodo e ingredienti con i quali poi prepararsi cose e c’è chi invece non ha del tutto compreso la situazione complessiva, e chiede la spesa normale di tutti i giorni: gastronomie, sfizi, cose che durano il giro di poco e occupano molto spazio nella borsa.
Fare la spesa per qualcun altro mi costringe a cercare prodotti sconosciuti e, di conseguenza, andare in corsie del supermercato che non avevo mai frequentato. Quello delle farine e delle fecole, per esempio, manco avevo idea non solo di dove fosse ma che ci fosse proprio. Che esistessero così tante tipologie di tè l’avevo letto nella narrativa inglese ma non pensavo fosse vero. Che qualcuno presti attenzione al dentifricio che acquista e che, anzi, ne voglia una marca specifica e un modello specifico a un aroma specifico questa per me è una vera novità. Io di solito li faccio girare per non dare soddisfazione a nessuno: una volta colgate, una volta mentadent, una volta pastadelcapitano. Che esistessero patatine allo zenzero è una cosa che ignoravo e che avrei continuato a. Comunque, questa cosa mi costringe a esplorare categorie di prodotti che non conosco e, quindi, a stare alcuni minuti di fronte a degli scaffali che non so interpretare cercando con gli occhi un prodotto che è scritto nel mio elenco ma che non so nemmeno che colore o aspetto abbia. Sembra una sciocchezza ma non è facile: a un certo punto ammetto di aver cristonato di fronte al settore grissini perché dopo un tempo interminabile non riuscivo a trovare i grissini panealba nostrani. Ovviamente di chiedere a un commesso manco a pensarci, di questi tempi ci si schiva tutti e loro sono anche piuttosto nervosetti e stufi delle intemperanze dei clienti. Probabilmente non sono nemmeno molto contenti di essere obbligati al lavoro, azzardo.
Anche il volume stesso della spesa ha la sua importanza, perché io, come sempre, ci vado in motorino e, dunque, non essendo indiano ho una capacità di trasporto limitata, su due ruote. Gli è che, però, ricevo ordini da persone abituate a fare la spesa in macchina, spesso monovolume, e nonostante le mie rassicurazioni – vado spesso, giuro – arrivano incarichi per metri cubi. Vabbè. È che mi ostino ad andare in motoscurreggia sia perché mi piace di più, sia perché è più comodo, anche se adesso i parcheggi non sono più un problema, sia perché non ho voglia di essere fermato, anche se ho la giustifica per essere in giro. Sono sempre incerto quando ho a che fare con la polizia. Retaggio culturale, lo so, ma non mi fido. Ho questa (falsa, ho il sospetto) convinzione che un motorino dia meno nell’occhio del vigile, carabiniere, poliziotto, militare (da oggi) incaricato di individuare al volo il colpevole in giro per lazzo, che apparire una figura modesta a cavallo di un mezzo che farebbe di certo fatica a scavallare i confini comunali mi garantisca l’invisibilità completa o parziale di fronte ai posti di blocco. Anche per un moto di orgoglio dei tutori dell’ordine, via, che non credo vogliano arrivare a sera e riassumere così la propria giornata: oggi ho fermato motorini. Giusto, perdio, belle berline, auto sportive, minivan superoccupati, furgoni sospetti ma non motorini. Eddai.
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Sveglio presto, in preda a una certa agitazione da non-uscirò-mai-più-di-casa, invece esco e mi dedico al movimento da criceto: dopo dieci giri dell’isolato attorno a casa sento che va meglio, sono più calmo. D’accordo, ragioniamo. Giorno 15, i dati dicono di una timida diminuzione ma allo stato attuale non significa e non deve significare assolutamente nulla, sangue freddo e proseguire con la testa bassa. Altrimenti, è un attimo che il messaggio passa e si trasforma in un liberi tutti.
Ieri ho fatto un riferimento ai cinesi e c’è una cosa che non dimentico: alle prime avvisaglie di coronavirus, lo ricordiamo tutti ma io qui parlo al me del futuro, che sarò scordarello, in modo un po’ idiota e un po’ pericoloso si diffuse un certo timore nei confronti dei cinesi residenti in Italia, i loro ristoranti si svuotarono, i negozi pure, qualche furbone cominciò ad apostrofarli per strada e qualche fascista, forza nuova, nella città in cui abito affisse cartelli sulle loro serrande denunciando il loro essere cinesi e portatori di malattie. È evidente come tutto ciò sia di una deficienza criminale e i fatti poi, anche stavolta, lo hanno dimostrato. Comunque, tra il primo caso in Italia, il famoso tizio mezzomaratoneta di Codogno, italiano, il 20 febbraio, e l’inizio di marzo, l’atteggiamento verso gli orientali in generale – complimenti, anche qui – prese una piega peggiore: molti si misero la mascherina, quando nessun italiano l’aveva, per dare l’idea di non diffondere il contagio e, molto peggio, chiusero molti dei propri esercizi, dopo aver cercato di spiegare che risiedevano in Italia e che la loro merce sempre da qui proveniva. Non chiusero solo per mancanza di clientela ma, ricordo i cartelli, per difendere la propria incolumità. Paura. Alcuni sindaci ragionevoli si recarono presso i rappresentanti delle comunità e si fecero fare fotografie insieme, per rassicurare gli animi bollenti, ma solo la chiusura pose un qualche tipo di fine a questo clima assurdo. Bisognerà vedere cosa resterà di tutto ciò, perché qualcosa nei confronti dei cinesi e degli orientali in generale, putroppo, resterà nella testa dell’italiano semimedio. Facile a dimenticare le proprie malefatte ma di gran memoria sui propri pregiudizi.
Eh no, tesorino, non funziona così. Anche se poi, visto che bisogna assistere pure i bisognosi, e qui di bisogno ce n’è eccome, ti vaccineremo lo stesso, anche se poi romperai le palle e creerai un sacco di problemi.
Oggi è il 22 marzo e se fosse il 1848, forse sarei fuori a finire le Cinque giornate contro gli austriaci. Non so, forse no, chissà, è che la prospettiva attualmente mi pare desiderabile rispetto allo stare chiuso in casa. Ma son solo scemenze di chi ha del tempo da spendere. Godiamoci l’incertezza del futuro, invece, come suggerisce il sempre ottimo Altan. Poi, viene il vento e torna un po’ di freddo. Meglio, starò in casa.
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