l’invasione, giorno dieci: le onde corte

È deprimente. Le sanzoni non servono o servono a poco se non in determinate condizioni (qui uno studio approfondito di Ispi), i corridoi umanitari e la fuga dei civili nemmeno, vedi Siria o Groznyj, immagino vi sia un livello di diplomazia non visibile all’opinione pubblica e ai commentatori da bar come me, ma insomma: quali strumenti effettivamente abbiamo per far fronte a iniziative belliche come questa? Pochini, nessuno di per sé determinante, almeno al di fuori di una reazione armata. Così sembrerebbe.
Le notizie che ci arrivano sono influenzate in modo significativo dalla propaganda ucraina, intendo dalla comunicazione del governo e del popolo ucraino, organizzate o meno, per cui si susseguono le notizie di mezzi russi impantanati, di tempi più lunghi di quanto da Mosca avessero prospettato, di defezioni, di vittorie della resistenza popolare. Non dubito che in Russia sia l’esatto contrario, magari molti nemmeno sanno dell’invasione, chissà. Bisogna come sempre stare nel mezzo e ragionare sui fatti, ossia che da anni si prepara questa operazione, sia dal punto di vista militare che da quello finanziario, per cui non sarà certo in dieci giorni – questa si chiama speranza – che l’armata russa si arresterà, e che gli inconvenienti incontrati sulla propria strada non possano essere certo tali da frenarne l’avanzamento o, per lo meno, da essere inaspettati.

Il timore di molti è che con l’uscita dei civili attraverso corridoi umanitari, per esempio a Mariupol in queste ore, questo poi lasci mano libera all’intervento militare più aggressivo, inteso a radere al suolo ogni tipo di resistenza o contrasto. Peraltro, i bombardamenti russi non stanno diminuendo nemmeno durante questa tregua concordata, riporta il sindaco della città, per cui la cosa è ancor più difficile e l’evacuazione è stata sospesa in questi minuti. La zona è strategica per il congiungimento delle zone già russe sulla costa. Per quel che vedo da qui, due sere fa sono partiti molti caccia dalla base NATO, con regolarità, uno ogni dieci minuti, tutti con la stessa manovra, curvona ampia e direzione est.

Nel nostro piccoletto, partiti i primi carichi di medicinali e generi necessari. Lodevole sforzo di molti, cerco di appoggiare più che posso, adesso pensiamo al prossimo. Perché fare i primi sulla scorta dell’entusiasmo è facile, è durare che è difficile.
Basta qualche servizio alla tv in cui si parla dei generi alimentari che importiamo dall’Ucraina, il grano – ovvio, era il granaio d’Europa, si studiava a scuola – e l’olio di semi, ed ecco che al supermercato un quarto d’ora fa ho visto almeno cinque persone con carrelli strapieni di bottiglioni di olio e pacchi di pasta. Posso immaginare che una parte di questi ne faccia un calcolo meramente economico, li immagino ristoratori e friggitori, ma posso azzardare che vi sia anche un bel po’ di gente inquieta, in giro. E ansiosa.
Non che non ce ne sia motivo, ma direi che il primo non è l’olio di semi: dopo aver preso Chernobyl dopo giorni di assedio, dopo aver giocato al tiro a segno con la centrale atomica di Zaporizhzhia, adesso i russi sono a venti chilometri da Yuzhnoukrainsk, a sud, la seconda centrale nucleare più grande del paese.
In piena logica di guerra, a Mosca sono stati oscurati tutti i media indipendenti, non molti invero, e poi BBC, CNN, Bloomberg, Facebook, Twitter. La BBC è tornata a trasmettere anche sulle onde corte, una cosa che non si vedeva più da alcuni anni, il metodo più economico e rapido per arrivare comunque in Russia senza bisogno di infrastrutture nel paese. Mai dare nulla per scontato o acquisito.

l’invasione, giorno nove: ci mancava la centrale nucleare

Parlarne è l’unico modo per capire, confrontarsi l’unico per scambiarsi informazioni e dare un peso complessivo alla situazione. Con il rischio di fare geopolitica da salotto, sicuro, ovvero mettere sullo scacchiere complessivo forze, poteri, interessi, storia, volontà e giostrarli come se i meccanismi fossero lì da vedere. Non è così, se abbiamo il buongusto di non avventurarci in discussioni anatomiche o mediche – quasi, gli ultimi due anni hanno anche dimostrato il contrario – per manifesta ignoranza, tanto meno bisognerebbe avventurarsi per terreni così impervii come, appunto, la situazione globale, i cui fattori determinanti sono incalcolabili. Ma parlarne, come dicevo, è l’unico modo per affrontare un pericolo distante ma non tanto, non così da non avere conseguenze dirette. È anche il modo per misurare questo pericolo: non avendone esperienza diretta, visibile o tangibile, tendiamo a misurare il grado di rischio in base alla reazione delle persone di cui ci fidiamo, se sono spaventate ci preoccuperemo, se sono tranquille tireremo un respiro temporaneo di sollievo. Era accaduto anche all’inizio della pandemia, tra i nostri sistemi di valutazione, in assenza di componenti oggettive, la reazione del contesto è importante. Per questo, non tanto parlarne in assoluto quanto ha senso parlarne con le persone cui assegnamo un valore di giudizio e di comprensione dei fatti e degli eventi. E al momento, siamo tutti preoccupati.

In questo senso, ovvero per aggiungere elementi alla comprensione dello scenario, segnalo due articoli che vale la pena leggere, uno di Barbara Spinelli per il Fatto e uno di Tomaso Montanari per Micromega. Non c’è necessariamente da essere d’accordo, anzi, ma sono importanti le considerazioni, aggiungono elementi all’insieme. Spinelli racconta il percorso che dalla caduta dell’URSS ha portato la NATO a espandersi a est, e anche la UE, contraddicendo accordi presi in precedenza e andando a interferire con l’area di influenza di un paese che, è vero, abbiamo progressivamente considerato sempre meno rilevante. Il discorso è interessante e va preso per quello che è, una sintesi di trent’anni di evoluzione storico-politica dopo la fine della contrapposizione dei due blocchi, e vanno evitate quelle tentazioni che, soprattutto a sinistra, spingono a equilibrare con saccenza torti e ragioni da una parte e dall’altra per far morire il discorso e avere la sensazione di aver fatto la propria parte, seduti in salotto.

Più complesso il discorso di Montanari, che ragiona su una possibile terza via tra il sostegno all’oppressa Ucraina e all’aggressore Russia, in ottica pacifista. Il discorso è articolato e vale la pena leggerlo e pensarci, Montanari alla fine è uno dei pochi intellettuali odierni che prendono posizione e pongono alcune questioni sotto una luce diversa (grazie C.).

La Russia attualmente ha occupato 70.300 chilometri quadrati di territorio ucraino, circa l’undici per cento del totale, pari alla superficie dell’Irlanda. Con i territori occupati nel 2014, circa 45.200 chilometri quadrati, la percentuale supera il venti per cento, in totale. Cominciamo a capire, e le dichiarazioni di Putin in questo senso sono chiarissime, che siamo solo all’inizio e che una soluzione rapida, anche paradossale come quella che l’Ucraina si arrendesse immediatamente, è al momento fuori discussione. La Russia, oltre alla questione ucraina, ha da rivendicare al pianeta un peso, una forza e un’area di influenza cui non intende rinunciare, anzi. Oltre a obbiettivi che ancora non sono chiari e non lo saranno di certo a me. Occorre dunque pensare in tempi più lunghi, sia per il supporto materiale agli ucraini in Ucraina e fuori, sia per la propria sopravvivenza emotiva, necessario pensare anche a sé.

Grazie a un’amica, stiamo utilizzando un canale aperto rapidamente da un’associazione ucraina per inviare medicinali e farmaci. Ieri sera è partito un TIR pieno, ne siamo contenti, man mano vedremo di cosa ci sia bisogno e quali saranno le richieste. Una precisa è già arrivata ed è di soldi per acquistare giubbotti antiproiettile. Sono onesto, la risposta è stata no. Le ragioni sono svariate: sia perché la preferenza è di non inviare danaro ma beni, sia perché a questo tipo di dotazioni dovrebbe, eventualmente, pensare qualcun altro, vedi il discutibile voto del parlamento italiano dell’altro giorno, cioè riteniamo serva un ragionamento complessivo al riguardo e valutazioni che non siamo in grado di fare. Ci occuperemo di cibo, vestiti, medicinali. Curioso il contrasto. Fuori con un amico a camminare e a ragionare del futuro, Ucraina ovviamente compresa, passiamo più volte attorno al TIR che viene caricato, osserviamo le operazioni. Di fianco, ormai è buio e siamo in una zona industriale, auto di grossa cilindrata truccate, smarmittate e illuminate con luci blu sul fondo, giocano a fare sgommate e accelerazioni gradasse. Non è una novità, da parecchio accade, lo sanno tutti: sono gli ucraini. E danno pure parecchio fastidio a chi, qui, ci abita. Ci sono vie dove non si può passare perché ti guardano male, non salutano, sembrano aggressivi, a volte esibiscono simboli fascisti. Eh sì, sono gli stessi, cioè sono ucraini tanto quanto, alcuni bravi e alcuni rompicoglioni, come ovunque. Ma dare una faccia a un’idea è sempre operazione interessante, caricare un camion di aiuti per persone che qui a fianco ti danno fastidio e con cui convivi a fatica è un processo non banale.
A proposito di tempi lunghi, stanno già arrivando molti profughi, con numeri che faranno impallidire qualsiasi numero legato all’immigrazione in tempi recenti, si parla di almeno centomila nella mia regione in tempi relativamente brevi. E serviranno case, vestiti, cibo, soldi, bisogna organizzarsi, per quanto mi riguarda stiamo verificando i canali affidabili aperti e strutturati, vedremo. Quelli intanto fan sempre le garette con le auto.

l’invasione, giorno quattro: raccogliere viveri e medicinali

Onestamente, una delle cose che mi angoscia e disturba di più di questa guerra e che è, in sostanza, in Europa. Inutile fingere non sia così. Ricordo la guerra in Jugoslavia e l’intervento in Kosovo, certo, e scesi in piazza a manifestare, e ricordo la preoccupazione di allora. Certo, il fatto che stavolta sia coinvolta direttamente la Russia, mentre allora stava defilata dietro la Serbia, è un fattore maggiore, per capacità militare e aggressività.
I problemi, come sempre, stanno anche a monte. Non solo la vicenda ucraina è chiarissima dal 2014 e il Donbass da almeno qualche anno, ho avuto la riconferma leggendo un numero di Internazionale dell’anno scorso e dice chiaramente ed esattamente ciò che si dice ora, invasione a parte. Uno dei problemi, dico io, è ancora più a monte, cioè aver lasciato che un uomo solo governasse un paese per più di vent’anni, cosa pessima per chiunque a qualsiasi latitudine. E che abbia avuto tutto il tempo di eliminare opposizione e critica. Ma son banalità, a questo punto. Le stesse questioni religiose sono sul piatto, tutto è complicato.

I paesi europei, molti, chiudono gli spazi aerei ai voli russi e non solo, come da immagine qui sotto, si vede un volo Aeroflot costretto a virare e tornare indietro su distanza intercontinentale. Ed è bene. La stessa Svizzera pare orientata ad aderire ad alcune sanzioni economiche, ventiduemila persone sono scese in piazza persino lì. Si moltiplicano gli aiuti e il sostegno, circolano alcune fotografie della stazione dei treni di Bucarest in cui volontari accolgono e riforniscono i rifugiati in arrivo, anche qui si raccolgono cibo e medicinali da inviare al più presto, informatevi. In attesa dei colloqui di domani tra Ucraina e Russia, difficile ne venga fuori qualcosa ora, da segnalare la richiesta di Zelenskyy di far entrare l’Ucraina nell’UE, al momento poco più di una provocazione.

Da quanto leggo, la Russia sarebbe sul punto di creare un corridoio tra Crimea e Donbass, ovvero tra due delle zone occupate, uno degli obbiettivi dell’invasione. Qualcuno suggerisce, a questo punto, di ipotizzare concessioni di qualche tipo alla Russia così da lasciare aperta una via onorevole al ritiro, il che al di là di sapere quanto sia plausibile è di certo un buon modo per intavolare delle trattative. Prematuro, comunque, immagino. Non si mette in piedi tutto ciò per chiudere poi dopo cinque giorni. Credo.

A ieri almeno centomila ucraini sono entrati in Polonia e quest’ultima, nonostante il nazionalismo destrorso che contraddistingue il governo del paese, sta facendo la propria parte. L’odio antirusso è evidentemente ancora forte, come ho constatato ogni volta che ci sono andato. Più di diciottomila fucili e armi distribuite alla popolazione civile, le immagini di non so quale città ucraina in cui decine di persone si sono messe pacificamente in mezzo alla strada bloccando una colonna di tank sono commoventi. Come le foto di chi ce l’ha fatta a varcare il confine. Un confine.

Ma la mamma è rimasta a casa, il dramma è difficile persino da immaginare.

l’invasione giorno due: andrà tutto bene

Per carità, tutto serve: la Polonia che rifiuta di giocare contro la Russia il mese prossimo, PornHub che chiude gli accessi dalla Russia mostrando un messaggio pro-Ucraina, la torre Eiffel e il Colosseo illuminati di giallo e di blu, le sanzioni di cui si discute al momento, gas e Swift code, probabilmente arriveranno anche le bandiere dai balconi, per ora sono in calendario molte manifestazioni per la pace, certamente serve anche il sostegno di tutta la comunità.

I fatti sono, però, che nessuno interviene direttamente. E che gli strumenti di cui ci siamo dotati dopo la seconda guerra mondiale non sono efficaci o, almeno, non bastano per evitare invasioni come questa o a fermarle immediatamente. La Russia andrà avanti finché otterrà ciò che vuole – la caduta di Zelenskyy? La presa delle regioni desiderate? – e allora anche le sanzioni, gradualmente, cadranno. E il risultato russo ottenuto.
Le discussioni attuali vertono sull’individuazione delle sanzoni più efficaci e, al momento, le conclusioni sono abbastanza desolanti, a fronte della dipendenza energetica dalla Russia, del coinvolgimento finanziario, della mancata presa di posizione della Cina, della decisione, almeno fino a ora, degli Stati Uniti di non intervenire.
Tra i fatti significativi, ovvero utili concretamente: la Moldavia, paese in grande pericolo, che apre le frontiere ai profughi ucraini; i giovani russi che nonostante il divieto e la certezza di ripercussioni scendono in piazza per protestare. Si parla di forniture di armi e di viveri da parte di Francia e altri paesi europei, per carità bene, ma è pur sempre un modo per dire: vedetevela voi.

Le persone arrestate in Russia per proteste tra il 24 e il 25 febbraio 2022

Non sto con queste poche righe incoraggiando un intervento militare, no, esprimo solo la mia frustrazione per la compassione – in senso etimologico – che provo per gli ucraini, lasciati soli in sostanza, e per i progressi, mancati, che pensavo avessimo fatto allo scopo di impedire soprusi militari come questo, che tanto ricorda altre situazioni terribili del passato. Invece no, tanto parlare di sanzioni e di convenienze, iniziative di nessuna rilevanza ma tanto facili da fare e ricche di ritorno d’immagine e, al momento, la situazione è questa: tanto affetto, tanto appoggio, per carità quel che vi serve ma gli affari sono vostri. Resistete.
Zelenskyy l’ha ripetuto più volte: se volete davvero fare qualcosa per noi e ve la sentite, venite a combattere al nostro fianco. Ecco, la mia frustrazione e angoscia, che di certo le luci sui monumenti non sopiscono per nulla. Anzi. Perché i missili sono veri.

l’invasione

Ecco, ci siamo.

Ho, abbiamo sperato in molti, che non accadesse. Un’amica in Ucraina sentita stamattina mi ha parlato dei bombardamenti a tutti gli aeroporti del paese ed era lei a tranquillizzare noi, dicendo che sta bene. E poi, terrificante sentirlo, mi ha detto che non sa per quanto avranno ancora la rete, per poter comunicare. Un’altra, moldava, mi racconta che il figlio non può più uscire dal paese e, in effetti, lo spazio aereo è chiuso da stamane. Che fare? Prevale l’angoscia e il pensiero per ciò che è e per ciò che può diventare. Almeno, mi sono detto, non c’è Trump. Ma, ovviamente, non basta. Una parte di me continua imperterrita a dirsi che finirà a breve, si prenderà l’Ucraina mettendo su un fantoccio e occupando qualche parte del paese e finirà. Una parte di me, quella che si ricorda di più, si ripete che è proprio così che cominciano le cose.

Ma perché vivere così?

laccanzone del giorno: Procol Harum, ‘A Whiter Shade of Pale’

Che dire? Una canzone meravigliosa, chiaramente ispirata a Bach e Percy Sledge, evocativa, malinconica e progressiva insieme. Spiace dirlo oggi, dopo la notizia della scomparsa di Gary Brooker, ovvero uno degli autori, voce e tastiera della canzone, praticamente quasi tutto.

A me ricorda il grande freddo, questione anagrafica, ma se avessi avuto la possibilità di sentirla nel 1967 mi avrebbe colpito, eccome. Un singolo fenomenale, ancora non invecchiato per nulla e distinguibile da mille e mille altri per qualità, suono e melodia. Tra i pochi inarrivabili.

Trostfar, gentilmente, raccoglie tutte leccanzoni in una pleilista comoda comoda su spozzifai, per chi desidera. Grazie.

la sora Ceciarelli

Ciao, Monica Vitti. Mi ci ero affezionato, quel lato comico irresistibile che dalla ragazza con la pistola in poi fu buona parte di lei:

Vedi tu Nello me piaci perché sei moderno, personale, fresco, non romano e, come tale, hai un ideale nella vita, eh! Tu Oreste c’hai l’attrazione dell’omo fatto, sei generoso, morto riccio, forte. ‘Nsomma me piaci. Ma tutte e due c’avete diversi rovesci d’a medaglia.

E poi il tantino poco igienico, sublime sulla cima di monte Testaccio:

Tu sei geloso, materiale, arzi subito le mani come tu’ moje d’altronde, vizio de famija… e sei pure un tantino poco igienico. Quella vorta a Frascati, te ricordi? Facesti pure un rumore.

Ma era tante cose, ottima attrice drammatica, ottima doppiatrice, quante parti ha salvato, persona simpatica e gentile, donna bellissima e affascinante. Mancava già da tempo, ora di più.

Adelaide: Oddio! Me moro…
Nello: Adelaide…
Adelaide [rivolta a Nello]: Te perdono…
Nello: Non sono stato io. È stato lui!
Adelaide [rivolta a Oreste]: Te? Te pozzino ammazzatte!
Oreste: Ma come a lui “te perdono” e a me “te pozzino… ammazzatte”…
Adelaide [ultime parole]: A te te amo de più! [muore]

cheddiceilDanci?

Caro Celati,
il suo Guizzardi resta uno dei libri più divertenti che abbia letto, i giri scompisciati di un avventuriero senza famiglia scemo e scoordinato che più di trent’anni fa hanno colpito la mia immaginazione per non lasciarla più, in ottima compagnia dei personaggi di Pulci, di Ariosto, ovviamente di Rabelais, della famiglia di Durrell, degli sbalestrati cittadini di Quiriny, insomma di quella parte della vita un po’ irregolare in ombra che prediligo e di cui ambisco far parte.
Eran giusto venti giorni fa che, proprio nei dintorni di Comacchio, rileggevo i suoi racconti girovaghi della Foce, con la maiuscola, e mi dicevo che lei è proprio bravo, sia a scrivere che a raccontare che ad andare a piedi, mentre io ero lì con l’auto e con la scrittura ciao. E i posti eran proprio quelli, quelli suoi e dei suoi narratori, cioè ho guardato anche stavolta la realtà con lo sguardo un po’ stralunato e vagabondo che ho appreso, in buona parte, anche da lei.

Certo, poi lei ha fatto cose ben più serie, l’Ulisse io l’ho letto tradotto grazie a lei, mica paglia, ma resto in sostanza guizzardiano e dalle parti dell’estuario e della pianura.
Ora, caro Celati, lei è partito per un viaggio che spero sia fino in fondo uno dei suoi e io non posso che augurarle, di cuore, di camminare molto e con soddisfazione, di incontrare benzinai e baristi, di sedersi ogni tanto sul ciglio della strada a contemplare la pianura. Grazie, Celati, grazie di cuore. Faccia buon viaggio.

Coraggio

Un punto di riferimento. L. era questo per me, oltre a tante altre cose.
Non un punto di riferimento confessionale, non era la persona cui andassi a chieder consiglio per i miei patimenti, non sono io il tipo, tantomeno lei. Figuriamoci. Un punto di riferimento vero, capace di far sintesi, di andare al punto senza far venire meno la comprensione e tralasciare la considerazione, e di tracciare una direzione, alzando il livello del discorso, puntando più in alto. Non le si dovevano nemmeno spiegare le cose, bastavano poche parole che aveva capito. Che cosa rara.
Un modello, ecco cos’era per me. Tra le altre cose. Lo sguardo era molto più ampio, irraggiungibile, anche se tutto diventava chiaro come il sole quando lo condivideva, allora sì che era facile arrivarci, gli obbiettivi e l’impegno da metterci più significativi, più generali e più utili, senza perdersi nelle cose piccole o attardarsi con gli sciocchi. Era sufficiente per me ascoltare, farmi trascinare, bisognava aver pazienza perché talvolta tracimava ma ciò che imparavo anche in quelle occasioni era di grano spesso, più di quanto avrei raccolto da solo in molto tempo. Non si usciva mai da casa sua a mani vuote.

Perché scrivo queste righe, che sarebbero un po’ fatti miei, e semmai suoi, ma non certo di queste pagine? Cosa che infatti non faccio mai, o quasi. Perché devo andare avanti, scrivere la mia prossima cretinata e un punto tra ciò che è stato in questi giorni e quello che sarà nei prossimi lo devo pur mettere. Una separazione, una paratia per far sì che le mie sciocchezze, qui, non scivolino oltre, di là dove stanno i miei affetti privati, non si mescolino alle cose delle quali non parlo qui.

«Coraggio», mi hai detto quel giorno tremendo per me e così ho fatto, sono andato avanti senza lasciare nulla indietro. E così farò adesso, visto che mi diresti anche oggi, alla tua maniera, «Coraggio, cìcio». D’accordo, piglio il coraggio e vado, accolgo tutto quanto, moltissimi anni belli e la sofferenza e poi l’assenza che sarà, d’accordo, prendo la vita intera con quel che riserva e la porto con me ma L., porcocane, che dolore mi hai dato.