il Po di Segre

A un certo punto, alcuni mesi fa, mi son detto che era ora di andare a capire un po’ di più questa cosa del delta del Po, metterci dentro il naso, i piedi e se possibile la testa, anche. Di conseguenza, anche vedere di persona i luoghi dell’alluvione del Polesine, eran settant’anni a novembre, vedere per capire, dare un luogo e un contesto alle uovone di pasqua viste nei bar per anni che facevano sottoscrizione per gli alluvionati, appunto. Chissà dov’era, ’sto Polesine…
Per lo stesso motivo sono andato qualche sera fa a vedere Po di Andrea Segre.

È un documentario, come si intuisce fin dalla locandina, sull’alluvione del Polesine del ’51. Tra filmati Luce e filmati, se ho ben capito, della famiglia stessa del regista, si succedono i racconti di alcuni testimoni diretti della tragedia, oggi tutti attorno agli ottant’anni e allora ragazzini. I racconti sono per forza di cose per buona parte poco articolati, nel senso che sono ricordi di piccolini, immagini, racconti saputi dopo, vicende chiare ma frammentarie, il regista è bravissimo a farli scorrere con naturalezza, senza intervenire o interrompere o tagliare. Per dare un’idea della miseria scannata al tempo, uno di loro, estroso e leggero nonostante gli argomenti, racconta di quando il padrone delle terre attorno, un veterinario, uccise un vitello ammalato di difterite, orrenda malattia trasmissibile all’uomo, gli tagliò la testa e la fece gettare nel letamaio. La madre di chi racconta, poiché mancavano pochi giorni a pasqua, andò a riprendere la testa, la pulì, la gettò in un pentolone ed ecco il pranzo della festa. Ciascuno faccia i propri conti.
Ecco, a voler dire proprio qualcosa, l’intento è archivistico, raccoglie giustamente delle voci che spariranno, e il regista si eclissa dietro alla sequenza di racconti, senza imprimere una direzione al documentario o voler portare il ragionamento da qualche parte specifica. Il che è certamente un bene dal punto di vista della memoria, dall’altro Segre ha ormai le spalle larghe e potrebbe, forse, aggiungere del proprio con vantaggio di tutti. Belle le immagini e la fotografia, per noi innamorati del Po – siamo molti e sparsi, quando ci incontriamo ci riconosciamo – è un documentario da vedere.

Un racconto di un superstite che mi ha commosso, lo riporto a memoria. Dice: nel mio giardino, ora, ho una vasca; qualche tempo fa ci è cascato dentro un uccellino, affogando. Da allora, continua, lascio sempre un pezzettino di legno galleggiare, così che ci si possa aggrappare. Perché se i miei avessero avuto un pezzo di legno cui aggrapparsi, allora, sarebbero scampati.

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