Oggi me la prendo con Veltroni per un articolo appena pubblicato sul Corriere.
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Non posso certo dire che si sia rimbecillito, non avendo mai raggiunto grandi risultati di pensiero prima, quindi direi prosegua nel solco. Se esordisce con la premessa a tutto il discorso, «Due italiani che hanno dimostrato come le virtù nazionali, quelle che ci hanno fatto grandi nel mondo, non siano smarrite», e già qui bisognerebbe capire quali siano queste doti, Veltroni lo dice subito: «Noi italiani siamo capaci di creare, da sempre, e siamo capaci di migliorarci, di applicare a quello che facciamo tanta determinazione e tanta abnegazione». Doti che non solo gli altri non hanno, ma che tutto il resto del mondo ci riconosce ampiamente: chi dirà mai “determinato come un tedesco o giapponese”? Nessuno, ma come un italiano sì. Ah, l’abnegazione italiana, scolpita nella mente di chiunque là fuori. E chi crea meglio di noi? Nessuno, è ovvio, cosa conta se il nostro – ehm, sì – momento d’oro è stato tra sette e cinque secoli fa e poi pochino?
Prosegue, e dev’essere andato all’EUR domenica scorsa: «Siamo stati sempre emigranti e artisti, artigiani e inventori, pittori, architetti e imprenditori, piccoli e geniali». Dimentica peraltro i poeti, gli eroi, i santi, i pensatori, gli scienziati, i navigatori e soprattutto i trasmigratori, ma insomma si capisce, l’importante è fare il riferimento gradito a destra e alla vulgata. «Abbiamo, per tutta la nostra storia nazionale, immaginato e faticato», il che, considerando i centosessant’anni di storia nazionale non è che sia un granché, in effetti, meno solo la Germania. «Tanti italiani lavorano duramente, cercano, creano» nonostante «una politica frivola e zuzzurellona e da uno Stato arcaico e goffo» – e qui come non ricordare l’indimenticabile “il principale esponente dello schieramento a noi avverso”, chi l’avrà detto? – certo Veltroni, certo, siamo molti qua fuori, senza che però queste siano «le qualità che ci caratterizzano e che ci hanno fatto grandi nel mondo». Quali? Lavorare duramente? Creare? Cercare? Che retorica balorda.
Poi prosegue celebrando il film di Cortellesi e le recenti vittorie di Sinner nei due paragrafi successivi, uno ciascuno, entrambi senz’altro meritevoli perché lei ha fatto un film importante, ben scritto e ben girato, e lui ha colto alcune vittorie di alto livello, peraltro poi facendo ritorno nella sua casa di Monaco, senza però che si capisca quale sia la relazione tra questi due fatti e lo spirito del paese, della nazione direi meglio, ammesso che ve ne sia uno reale e non immaginario. «In quel misto di talento, fatica, onestà siano rintracciabili le doti migliori di questo Paese oggi smarrito e emotivo», scrive sempre Veltroni, e queste sono le doti migliori di chiunque e di qualsiasi paese, non del nostro in particolare né, tantomeno, degli italiani. Qualsiasi cosa indichi questa espressione, ‘italiani’.
Poi conclude con la tiratina retorica, banale e paternalistica: «L’Italia però è piena di Paole e di Jannik, per questo ne parliamo senza cognomi. Loro due appaiono davanti a noi, e ne siamo orgogliosi. Gli altri, come ciò che è essenziale, sono lì, al loro posto di lavoro, ogni giorno, “invisibili agli occhi”», il che non ha proprio nulla a che vedere con il discorso delle «qualità che ci caratterizzano e che ci hanno fatto grandi nel mondo», discorso sciocco, melenso e privo di qualsiasi fondamento.
Ma, d’altra parte, è Veltroni. Come diceva Cossiga, «si intende di cinema e Africa. Non costringiamolo a capire anche questa cosa», potendosi qui riferire a tutto ciò che non è cinema e non è Africa.