Anche se sembra una canzone di James Taylor, just yesterday mornin’, they let me know you were gone, la cosa è, ahah, più seria: si rischia il kaboom.

I’ve seen sunny days that I thought would never end. Specie se fumi sulla benza.
Anche se sembra una canzone di James Taylor, just yesterday mornin’, they let me know you were gone, la cosa è, ahah, più seria: si rischia il kaboom.

I’ve seen sunny days that I thought would never end. Specie se fumi sulla benza.
Quando la mia città incontra la cultura di solito qualcuno si fa male.
La cultura, di solito.
Mi parlano di un festival di arte urbana, il LINK – nuove strategie culturali per le periferie, organizzato da un’associazione culturale che si occupa della «valorizzazione visiva di architetture pubbliche e private attraverso progetti mirati legati al mondo della street art», non che mi aspetti Banksy ma vado a vedere.
Ecco cosa vedo:


Ahah, vi prego, basta. Mi arrendo, esco con le mani alzate e fate di me ciò che volete.
Ed è tutto un bellissimo, bellissimo, geniale e provocatorio. Io qui dovrei fare una salace battuta per chiudere ma non mi viene, devo prima andare a ritrovare la mia gioiadivivere e certe mie parti molli.
Biniam Girmay, ciclista eritreo di ventidue anni, vince alla grande la tappa di oggi al Giro. In volata.

Poi, al momento di festeggiare, si spara il tappo dello spumantone in un occhio. E si deve ritirare. È esperienza anche quella, il ragazzo si farà.
Alcune settimane fa sono andato a Venezia. Booking, premurosa, fa sì che al mio viaggio non manchi alcuna comodità.

Chi sono io per non farlo? Noleggio.
Poi non è che sia andata benissimo.

Devo proprio andare a vederlo, ’sto Macciupicciu.
Accazzo, quindi si aggira per il bosco un gatto o un criceto zombi?

Meglio accelerare il passo. Sento dello zampettare…

Salinger sarebbe contento, eccome. Buona colazione.
San Francisco si compra in rotoloni e poi si stende.

Facile.
Medici appassionati di altro. Se il medico Jean-Philippe Postel nel suo Il mistero Arnolfini aveva di certo sollevato considerazioni interessanti sul “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di van Eyck, ne parlavo qui qualche anno fa, l’altrettanto medico Carlo Gaudio pubblica L’urlo di Moro (Rubbettino) nel quale sostiene di aver decifrato degli anagrammi all’interno delle lettere di Moro – il periodo è buono, fino al 9 maggio, per ogni tesi – che avrebbero indicato il luogo della detenzione. Nella lettera a Cossiga recapitata il 29 marzo 1978 la frase: “Che io mi trovo sotto un dominio pieno ed incontrollato” anagrammata darebbe (non mi son preso la briga): “E io so che mi trovo dentro il p.o uno di Montalcini n.o otto”; nella lettera alla moglie Eleonora del 5 aprile Moro scrive: “Io poso gli occhi dove tu sai e vorrei che non dovesse mai finire” e il medico ci legge: “O forse che io dovevo essere chiuso prigione di via Montalcini”. Inoltre, secondo lui Moro avrebbe dato un segnale per indicare le frasi contenenti informazioni importanti, cominciandole con il pronome personale “Io”.
Ora. Una persona dotata di malanimo che non avesse letto il libro e che volesse per forza di cose cercare il pelo nell’uovo, potrebbe obiettare che circa il novantatre per cento delle frasi nelle lettere di Moro comincia o ha in iniziale il pronome personale “Io”, pover’uomo, vista la condizione in cui si trovava. Tale persona, se esistesse, potrebbe inoltre obiettare che si stia dando per scontato che Moro conoscesse l’indirizzo della propria prigione, assunzione tutta da dimostrare e, data la dinamica del rapimento, del tutto improbabile. Inoltre, sempre quella brutta persona spinta certamente dall’invidia potrebbe sostenere che qualsiasi frase sufficientemente lunga se anagrammata potrebbe contenere qualsiasi significato, specie se stirato alle proprie esigenze (“p.o uno”, “n.o otto”) e piegata la grammatica dove serve (“essere chiuso prigione”) mentre altrove fila perfettamente ricca di preposizioni. Ma sarebbero cattiverie, forse dettate dall’invidia.
Io, che nulla ho a che spartire con quella persona malanimosa, vorrei ricordare quell’episodio in cui uno scienziato, dico Carl Sagan ma non ne ricordo il nome, potrebbe, uscì con un metro e cominciò a prendere le misure dell’edicola sotto casa, riuscendo a trovare innumerevoli sezioni auree, relazioni proporzionali identiche a quelle delle stelle di Orione, ripetizioni misteriose e numeri infiniti, volendo dimostrare che i misteri delle piramidi di Giza si possono trovare, volendo, ovunque, se dotati di sufficiente pazienza. Sto insinuando che anche in qualunque frase abbastanza lunga si possa trovare il messaggio che si cerca? Io? Ma per nulla, non mi permetterei.
Mi limito a citare, dall’articolo di Repubblica, che un po’ sta sul dubitativo, “Il gioco di Carlo Gaudio”, “La teoria di Carlo Gaudio in un libro”, poi si spinge un po’ in là, “A risolvere il puzzle provvede adesso un libro”, e poi sbraca alla grandissima: “Eppure nessuno seppe – o volle – decrittare le sue lettere”. Eddai, ecco servito il retroscena col complotto, che alla fine è la storia del sequestro Moro da sempre. Che poi Moro fu rapito da Moretti su incarico di Cossiga e tenuto al ghetto, lo sanno tutti.