Che dispiacere quando luoghi di onesto peccato diventano posti di perdizione rituale e settaria.

Peccato.
Che dispiacere quando luoghi di onesto peccato diventano posti di perdizione rituale e settaria.
Peccato.
Molto amato, anche attraverso Alice, per cose come “segnali di vita nei cortili e nelle case all’imbrunire”, quando faceva scalo a Grado e per quel magnifico periodo da ultrà del Catania con la cresta. E per quella scrittura automatica dei testi che non eri mai sicuro di aver capito cosa dicesse il testo e scoprivi poi anni dopo di aver sempre cantato “c’è un concentro di gravità permanente”. Ciao, Franco Battiato. E grazie di tutto.
Se n’è andato Marvin Hagler, uno di quelli forti davvero che era un piacere vedere. E infatti era chiamato ‘The Marvellous’, con la ‘M’ maiuscola dei nomi, come ‘Marvellous’ sarebbe poi diventato. Uno che per arrivare a un match mondiale dovette aspettare sei anni e combattere oltre quaranta incontri, roba impensabile per i pivelli di oggi. Ed era Marvellous perché gestiva le guardie di destro o di sinistro con la stessa, eccellente, tecnica impareggiabile.
Ce ne sono molti di combattimenti belli, tra i suoi, si potrebbero citare Duran, i settanta punti in viso di Antuofermo (e peggio ancora fu il secondo incontro), ovviamente Hearns, alcuni direbbero anche Leonard, comunque il suo fu un dominio assoluto per sei anni, difendendo tutti i titoli dei medi unificati.
Fu un signore, rifiutò un sacco di soldi per improvvidi rientri e rivincite improvvisate, non era un chiacchierone e non aveva certo la verve e la consapevolezza di Ali, ma fu lo stesso un gran pugile, immenso per tecnica e bravura, onesto e retto nella condotta e nei comportamenti: «Se mi aprissero questa testa rasata, troverebbero un guantone da boxe. È tutto quello che sono. È la mia vita». O, ancor meglio: «Sono un pugile, sempre. Mentre cammino, parlo, penso. Solo che cerco di non farmene accorgere». Ciao, Marvellous, ce ne siamo accorti e va bene così.
Amo le persone che si impegnano. Nel fare ciò che preferiscono, certo, ma anche nei confronti delle altre persone e delle valide cause.
Enrico Greppi, «Erriquez», era certamente una di queste e io, come tanti, ho cantato in gruppo se mi rilasso collasso e ne ho sempre apprezzato coerenza ed energia. «Se tutti facessero pochissimo sarebbe già un’enormità», aveva detto di recente, ed è una cosa vera, specie se detta da lui che non si tirava mai indietro se c’era da sostenere una causa o da fare qualcosa di concreto per chi aveva bisogno. Mancherà.
Da ieri la Gran Bretagna è fuori dall’Europa. Male, molto male. Da quando, a sorpresa, i remain persero il referendum del 2016 è stato un susseguirsi di rimandi, di accordi non conclusi, di tentennamenti. E io, in cuor mio, speravo non si concludesse la frattura e ci fosse, chi sa?, un ripensamento. E invece no, ingenuo. Da ieri serve il passaporto per andare in Inghilterra, il visto per restare, il roaming dei telefoni non è più in vigore, insomma si è tornati alle lungaggini del passato. Un vero peccato.
Fa impressione vedere, invece, gli entusiastici titoli di giornale quando, il primo gennaio 1973, la Gran Bretagna entrò nel Mercato Comune Europeo, prodromo dell’Unione europea (la Greater Europe).
A tutti gli effetti, questo è un lutto. E come tale io, noi, lo vivo. Per cui, alla prima fase di dispiacere è seguita poi la fase di risentimento, fanculo Cameron, fanculo inglesi che hanno votato per l’uscita, fanculo inglesi tutti. La pagheranno cara, perché ora si renderanno conto dei vantaggi dell’appartenere all’Unione europea (siete mai stati a Sheffield negli anni Ottanta? Un disastro), si renderanno conto di quanti fondi le zone depresse (e in Inghilterra sono moltissime) abbiano ricevuto in questi decenni, quanto l’isolamento sarà deleterio per lo sviluppo del paese.
Le zone più povere dell’Europa settentrionale sono quasi tutte in Inghilterra e, guarda te!, sono anche le zone che hanno ricevuto più aiuti dall’UE e sono anche, anche!, le zone più decise nel sostenere la Brexit.
Bene, allora. Andate e godetevela. Fanculo.
«Parlare, però, è ridare la vita a chi non c’è più», disse Nedo Fiano, scrittore, sopravvissuto all’olocausto e alla deportazione ad Auschwitz e Buchenwald e uno dei testimoni più instancabili di ciò che accadde durante il fascismo e la guerra, in particolare a coloro che furono deportati.
Per chi abita a Milano o in Lombardia, o chi lo ascoltava a Radio Popolare o nelle aule delle scuole, Fiano è stata una presenza costante nei decenni, sempre garbato e deciso, sempre senza arretrare di un passo anche nei momenti difficili, miserabili e umilianti, quando per esempio fu profanata la scritta all’entrata di Auschwitz. Mai una volta si è tirato indietro.
Oggi Nedo Fiano è morto, uno degli ultimi sopravvissuti.
La memoria che ci ha lasciato resta, è qui, è presente e documentata. La responsabilità di quella memoria è ora nostra, mia e vostra, guai a chi farà finta di nulla. «Colui che dimentica diventa complice», diceva spesso. Bisogna pensare a questa frase, bisogna capirla. Tra i figli, lascia Emanuele, persona intelligente che per fortuna sua e nostra molto ha preso dal suo babbo.
Lo conoscevo poco ma ricordo alcune cose dette da lui come approfondite, condivisibili, sensibili, significative. Lo ricordo anche per questi, i 16 animali, direttamente dai miei ricordi di pischello:
Ma persino io riconosco la mano del gigante, nelle sue cose.
Mai stato un vanhalenista ma la bravura non è mai stata in discussione, se n’è andato Eddie Van Halen.
Perché sì, nella scena del duello con i coltelli, l’assolo è suo, con i caratteristici tapping. Mica paglia.
(Il riff, invece, era suonato da Steve Lukather, quello dei Toto, e qui c’è un altro rimando tra i due che gli appassionati di vicende tra chitarristi conoscono).
Ricordo un’intervista in cui disse che la sua vignetta preferita, tra le proprie, era La Guernica.
Beh, come dargli torto?
Per celebrare Quino e per ricordarlo, pubblicherò una vignetta al giorno per un po’, ringraziandolo in cuor mio per tutto ciò che si è inventato negli anni.
Quino è stato grande.
Fantasioso, delicato, spiritoso, stralunato e spietato con il regime, a volte cattivissimo, con Mundo Quino cambiò le regole del fumetto e con Mafalda regalò parola e fantasia alle bambine di tutto il mondo.
Ma anche Felipe diede tanta soddisfazione a molti di noi.
Un gigante, toccò vette che solo i migliori tra i migliori possono sognare di raggiungere. Io ne porto con me grandi ricordi e grandi risate. Grazie.