“I drowned in moonlight, strangled by my own bra”

Come a molti, anche a me piace ricordare Carrie Fisher così (o anche col bazooka):

Mi ricordo anche una puntata matta di 30 Rock (04×02, Rosemary’s Baby) in cui Fisher interpretava una scrittrice completamente pazza e la cosa era particolarmente buffa. C’era un lato comico preponderante in lei, non sempre ben compreso (il titolo di questo post è un obituary che Fisher ha scherzosamente scritto per sé).

E poi sì, c’è anche tutto il resto.

Che peccato.
[Aggiornamento del 29/12: stroncata dalla perdita, due giorni dopo è morta anche la sua mamma, Debbie Reynolds. Per quanto uno resti indifferente, la cosa fa effetto].

farò quello che devo fare. Canterò

Venerdì scorso, il 18, è morta Sharon Jones.

228-120624-francoforte

Nel 2012, prima di un concerto dei Maxïmo Park a Francoforte, in un mezzo pomeriggio piovoso di giugno la sentii dal vivo per la prima volta. Una cosa intima, quasi, causa ora e tempo, noi zuppi sotto e lei sul palco, da leader della band, i Dap-Kings. Ho fatto delle foto.

219-120624-francoforte

Fu una rivelazione. Tanto per le mie orecchie e il mio spirito quanto per il mio culone (e non solo il mio): il funk-soul potentissimo di Sharon Jones lo costrinse ad agitarsi per un paio d’ore senza pause, come un matto. Fu irresistibile.

226-120624-francoforte

Non ero pronto, a dire il vero. Avevo sentito i suoi dischi, Dap Dippin’ with Sharon Jones and the Dap-Kings e 100 Days, 100 Nights più degli altri, ma non ero pronto a essere investito da tanta energia e musica, dal vivo era davvero un’altra cosa.

227-120624-francoforte

Avvicinata dalla critica a James Brown per la sua capacità di coinvolgimento sul palco e per la comune origine da Augusta, in Georgia, in effetti ci travolse e trasformò un anonimo pomeriggio tedesco in una festona ballerina pazzesca.

231-120624-francoforte

E sembrava davvero di essere negli anni Settanta, con lei. Bastava accennasse Tell me, e noi: tell me you love me, oppure I learned the hard way, strepitosa, con quel video matto in cui lei cerca di entrare da Blinky’s e poi finisce sulla spiaggia con la neve e l’ombrellone rosa, una meraviglia.

233-120624-francoforte

E poi Retreat!, che meraviglia quando canta Boy, you don’t know what I’m all about / I’ll chew you up and then I’ll spit you out / So if you know what’s good for you, o Stranger to my happiness, che se si guarda il video si capisce cosa stava già accadendo e si riceve una lezione su come si deve stare al mondo: non c’è un suo disco non riuscito, lei e la band erano talento puro. E volontà.

241-120624-francoforte

Nel 2015, al Toronto International Film Festival, fu presentato un documentario su di lei, Miss Sharon Jones!. In quell’occasione, disse: «Ho cominciato la chemioterapia ma continuerò a lottare», aveva spiegato al pubblico, «abbiamo ancora una lunga strada davanti a noi. Farò quello che devo fare. Canterò».

243-120624-francoforte

Poi la rividi a Milano, meno di un mese dopo, una sera di luglio. Fu ancora bellissimo e la serata diventò ballo, musica e scuotimento-di-culo, di nuovo, ed eravamo tutti gli amici insieme. A Francoforte, a un certo punto del concerto, si tolse le scarpe, lo faceva spesso, e tutto diventava ancora più ritmato e coinvolgente, quel modo di mescolare ritmo, salti, carisma, gioia e malinconia che solo il soul sa fare in questo modo.

245-120624-francoforte 246-120624-francoforte 240-120624-francoforte

Ci son rimasto proprio male. Lo sapevo o, meglio, lo temevo: ciò nonostante, ci son rimasto davvero male. Mi mancherà, ci mancherà: come dicevamo spesso con mr. L., lei è grande, lei può sedersi sulle nostre facce. Brindo a te, Sharon Jones. Grazie.

conversazioni per la maratona

Adam Cohen, il figlio di Leonard e musicista pure lui, racconta della sepoltura di suo padre: in terra, in una cassa di pino, come lui voleva. Una breve lettera, commovente.

161115-cohen

Mi unisco ai ringraziamenti, conta per me. E siccome non mi posso far scappare l’occasione di minchioneggiare, segnalo l’ottimo servizio di traduzione di post di Facebook (basta cliccare sotto su ‘visualizza traduzione’): «Io e mia sorella appena seppellito mio padre a Montreal. Solo con la famiglia e alcuni amici presenti, era calato in terra in una cassa di Pino disadorna, accanto a sua madre e suo padre. Esattamente come aveva chiesto. Mentre scrivo questo sto pensando di mio padre, miscela unica di auto-Flagellarti e la dignità, la sua avvicinabile eleganza, il suo carisma senza audacia, il suo vecchio-mondo signorilità e la torre forgiato a mano del suo lavoro. C’ è così tanto che vorrei poter ringraziare lui, solo per l’ultima volta. Vorrei ringraziarlo per il comfort ha sempre fornito, per la saggezza che dispensava, conversazioni per la maratona, per la sua folgorante arguto e spiritoso. Vorrei ringraziarlo per avermi dato, e per avermi insegnato ad amare a Montreal, e la Grecia. E vorrei ringraziarlo per la musica; prima per la sua musica che mi ha sedotto come un ragazzo, poi per il suo incoraggiamento della mia musica, e infine per il privilegio di essere in grado di fare musica con lui. Grazie per i vostri gentili messaggi, per la manifestazione di solidarietà e per il tuo amore di mio padre».

I closed the book on us, at least a hundred times

È morto Leonard Cohen, proprio mentre io prendevo il suo nuovo – e ultimo – disco, You want it darker. Non che tra le due cose ci sia una relazione, è solo per dire che ha lavorato fino all’ultimo, sia perché senza dubbio gli piaceva, sia perché aveva ancora delle cose da dire, sia per una storia recente di soldi e di furti.
Alcuni mesi fa aveva dichiarato al New Yorker di essere pronto per la morte: i suoi ottantadue anni, la testa meravigliosa che aveva, complessa e profonda, una certa consuetudine con la malinconia e le riflessioni sulle vicende tristi dell’esistenza, la vita monacale trascorsa per quindici anni, lo hanno di certo reso preparato più di molti altri. E poi il passare del tempo, che alcuni mesi fa, appunto, si era portato via Marianne, sua ma non più sua.

Ho amato parecchi suoi dischi, tutti sostanzialmente nella prima parte della sua carriera: la meravigliosa triade 1967: Songs of Leonard Cohen, 1969: Songs from a Room, 1971: Songs of Love and Hate, tutti strepitosi (cito, tra le tante: Suzanne, Sisters of Mercy, So Long, Marianne, Bird on the Wire, Famous Blue Raincoat, Love calls you by your name, ma sarebbero da citare quasi tutti e tre i dischi, senza scordare The Partisan), che così tanto hanno influenzato i cantautori italiani dotati di fiuto e me.

Ma il disco che ho amato di più, che ho consumato, è stato senza dubbio New Skin for the Old Ceremony, del 1974.

161111-new_skin_for_the_old_ceremony

Ironico, amaro e dolce, spiritoso e colto («You were the father of modern medicine, I was Mr. Clean / You where the whore and the beast of Babylon, I was Rin Tin Tin / And is this what you wanted / to live in a house that is haunted / by the ghost of you and me?»), malinconico e allegro, è per me il suo disco più bello e il suo lascito più memorabile. L’ho veramente ascoltato tanto.

Cinque canzoni da questo disco che secondo me valgono in assoluto, in ordine di pubblicazione:

  1. Is this what you wanted: in apertura del disco, malinconica e divertente allo stesso tempo, esattamente come doveva essere Cohen;
  2. Chelsea Hotel #2: di una bellezza lancinante, due vite e un incontro in una canzone meravigliosa, «that was New York, We were running for the money and the flesh / (…) I need you / I dont’ need you / And all of that jiving around»;
  3. Field Commander Cohen: forse la mia preferita, la canzone in cui usò per primo parole che nessuno avrebbe mai usato in una canzone («Field Commander Cohen, he was our most important spy. / Wounded in the line of duty, / Parachuting acid into diplomatic cocktail parties, / Urging Fidel Castro to abandon fields and castles»), a parte il neopremio Nobel, chiaro, lenta e dondolante;
  4. Why Don’t You Try: bellissima quando al verso «Why don’t your try to forget him?» attacca una chitarrina tanto bella quanto beffarda, per spiegare che c’è tanta vita là fuori: «Just open up your dainty little hand. / You know this life is filled with many sweet companions, / many satisfying one-night stands» e il clarinetto in fondo dà un tocco di meraviglia;
  5. I Tried to Leave You: forse una delle più poetiche, con quel verso bellissimo, «I closed the book on us, at least a hundred times» e il piano tutto stonato alla fine, da locale alla chiusura;
  6. Who by fire: quasi tutta cantata in doppia voce, una femminile bellissima che controcanta rendendo meraviglioso quando dicono: «and who shall I say…».

Ecco, sono sei e non cinque, non ce l’ho fatta a sceglierne così poche. Ma avrebbero dovuto essere undici, almeno almeno, per rendere giustizia a questo disco.
Grazie, signor Cohen.

accidenti (Dario Fo)

161013-dario-fo-milano-citta-stato

Che dire? Mi mancherà, come a molti. Che contentezza che provai quando vinse il Nobel, e poi che lo sapesse in quel modo, in auto, con una compagnia così improbabile. Lo vidi a teatro a Milano alla fine degli anni Ottanta ed ebbi modo di parlarci qualche minuto (di ringraziarlo, in realtà), perché il suo camerino era sempre aperto. Ecco, mi mancherà anche quel modo di fare, aperto e disponibile verso le persone, le parole e le occasioni, che oggi vien così poco praticato.