aere perennius (telefonatemi, prima)

Da far imparare a memoria.
Chamath Palihapitiya, entrato in Facebook (nell’azienda, non nel social) nel 2007, ha contribuito allo sviluppo del sistema fino a diventarne vicepresidente. Ecco cosa va dicendo da un po’ di tempo:

“Abbiamo creato un sistema di gratificazione a breve termine di like e di feedback, guidato dalla dopamina, che sta distruggendo il modo normale in cui la società funziona: non sono cresciute né le discussioni, né la collaborazione. Ma solo la disinformazione e la mistificazione della realtà. E quello che dico non è un problema solo americano, non ha niente a che fare con i post della propaganda filorussa, ha a che fare con tutto il mondo”.

Qui l’intervento complessivo. Si dice ovviamente pentito e dice, insieme, che naturalmente ai suoi figli non è permesso usare Facebook. Bravo, alla buon’ora.

#metoo: dell’uso improprio (e stronzo) di giuste rivendicazioni

Mia Merrill, una giovane donna e non certo una beghina novantenne, ha promosso una petizione da rivolgere al MET per rimuovere o, magari, contrassegnare con un’etichetta particolare un quadro di Balthus, che lei trova offensivo e in aria di pedopornografia (è scioccata, altroché).

Poiché l’aria che tira è quella delle denunce contro molestie e abusi sessuali a cascata dal caso Weinstein, la petizione raggiunge in pochi giorni oltre diecimila firme, in nome della – supposta – indecenza del quadro di Balthus, che a questo punto ha senso vedere. L’accusa, pesantissima nonostante la forma non del tutto esplicita, è di apologia della pedofilia, peraltro da parte di un ente pubblico.

Il quadro incriminato è Thérèse dreaming del 1938, qui la scheda del MET.
La Merrill, prima di lanciare la petizione, ha inoltrato una richiesta al museo, il cui direttore – il signore della misura e del buon senso lo benedica – ha risposto giustamente picche.

La questione sta diventando molto difficile da gestire: la signorina costringe con argomenti mal posti a un ragionamento di retroguardia, nel senso che ci si trova, poi, a discutere se il quadro di Balthus rappresenti un soggetto morboso o no, e in caso se si tratti di una qualche forma di pedofilia o meno. Gli argomenti utilizzati da lei sono bastardelli, l’hashtag #metoo implica furbescamente che se si è d’accordo nella condanna di Weinstein e compagnia bella di molestatori allora non si può che esserlo anche in questo caso, e quella seconda frase («se siete sensibili alle implicazioni dell’arte nella vita reale») non vuole dire assolutamente niente ma spinge nella medesima, identica, direzione.

Il discorso, ovviamente, non è quello, quanto piuttosto si dovrebbe discutere sulle tendenze censorie della signorina e di molti come lei, abili ad annusare l’aria e sfruttare argomenti giusti in altri contesti. Il problema è che simili argomentazioni fanno presa: nel 2014 una mostra in Germania sulle polaroid di Balthus preferì chiudere per non incappare in eventuali conseguenze e una mostra su Schiele a Berlino in questi giorni ha preferito ritirare delle locandine promozionali con immagini (quadri dell’autore) ritenute sconvenienti da qualcuno.
Lei e chi come lei scrive due righe in un tweet e si aprono le cateratte: polemiche in ogni direzione con critici a sostegno del concetto stesso di arte e di libertà e professionisti dei social che, invece, dilagano in ogni dove dicendo le peggio cose possibili inframezzando il tutto con fotografie di se stessi al mare con i pargoli.

Quello che a me spiace di più, oltre ovviamente al fatto di utilizzare rivendicazioni giuste in contesti sbagliati con scopi censori, è che a fare questo sia proprio una donna, in nome di un femminismo di facciata che risulta essere del tutto controproducente a qualsiasi causa utile.

il genio politico degli ultimi dieci anni

Ieri sera, a sorpresa, ha dichiarato che non intende candidarsi alle prossime elezioni: «E non farò neanche il ministro ma lascio il Parlamento non la politica». Ma come?
Quattro legislature consecutive (XIV, XV, XVI, XVII) e poi, attenzione!, Ministro della giustizia dal 2008 al 2011 (governo Berlusconi) quando è costretto dagli eventi a prendersi una piccola pausa dal governo (infatti fa il segretario del Popolo della Libertà dal 2011 al 2013) e poi di nuovo: Ministro dell’interno dal 2013 al 2016 (governo Letta, riconfermato dal governo Renzi), dal 2016 a oggi Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale (governo Gentiloni). Ma non basta: vicepresidente del Consiglio dei ministri dal 2013 al 2014 (governo Letta).
Breve riassunto, quindi: Ministro (sempre di quelli pesanti, Giustizia, Interni ed Esteri) per nove anni negli ultimi undici attraversando cinque diversi governi e rappresentandone quattro, di cui tre consecutivi, sia di centrodestra che di centrosinistra (essendo un politico vero è stato a riposo con i tecnici), se questo non è genio politico io non so cosa altro sia.
Come chi? Angelino Alfano, savasansdir. Eh, aimsorri, ze uaind… Imbattibile, altroché.

gente cui non importa assolutamente nulla di niente

«A tarpare le ali di Alitalia non è stato l’avvento delle compagnie low cost, ma le scelte scellerate dei Capitani Coraggiosi chiamati da Silvio Berlusconi per salvare la compagnia di bandiera. Senza i danni causati dal Piano Fenice firmato da CAI – in base al quale l’ex Alitalia ha abbandonato il mercato infrauropeo, rinunciando volontariamente a un tesoro di circa 10 milioni di passeggeri per concentrarsi sul mercato domestico a tariffe non competitive – oggi l’Italia non sarebbe il Paese europeo col maggior tasso di penetrazione di vettori a basso costo».

Non lo dico io, anche se lo pensavo fin da allora senza essere esperto di nulla, lo dice il dossier elaborato dal Dipartimento di Scienze Economico aziendali (Di.Sea.De) dell’Università Statale di Milano Bicocca, «Alitalia e il mercato del trasporto aereo». Che prosegue:

«Dati alla mano, la verità oggi innegabile è che gli oltre 10 miliardi di oneri derivanti da Alitalia si creano quasi tutti del periodo post IRI e oltre la metà di questi è imputabile alla scelta del 2008. Una bella medaglia per il Cavaliere».

Bene, avanti così. Si sapeva, si è detto ma, ovviamente, non importa.
Come sempre. E adesso votatelo di nuovo, dai.
(Qui l’articolo completo, ricco di informazioni irritanti).

ve lo dico con grande onestà: affanculo gli olandesi

Ma chi cazzo sono ’sti olandesi?
Nella partita per l’attribuzione della sede dell’EMA, l’Agenzia europea del farmaco in fuga Londra dopo la Brexit, eravamo certi – noi italiani, milanesi, lombardi tutti – di vincere. Perché siamo meglio di questi olandesici amsterdamici, andiamo. Così diceva Maroni, governatore della Regione:

“Spero che nella decisione prevalga la consistenza del dossier e non la geopolitica. Se sarà così, Milano vincerà”.

Ovvio, perché se si sta ai fatti, chiaro che si vince. Sala, sindaco di Milano, sfoggia onestà:

“Ve lo dico con grande onestà, il dossier Milano è decisamente il migliore e Milano è anche la destinazione migliore delle persone che lavorano in Ema”

E invece no: EMA ad Amsterdam. Com’è possibile? Sfiga, ovvio, visto che si è proceduto a sorteggio, se si fosse rimasti ai contenuti avremmo stravinto. Anche Gentiloni, presidente del consiglio, lo dice chiaramente:

“C’è grande delusione ma anche la consapevolezza che si è fatto tutto quello che si poteva per avere un dossier di candidatura molto competitivo, lo si è visto nelle prime due votazioni”.

Accidenti. E invece no.
Perché, stando a quanto racconta Lucarelli sul Fatto quotidiano di ieri, il nostro dossier non era mica meglio, anzi: pare «la bozza della ricerca scolastica sulle conquiste di Alessandro Magno fatta da mio figlio in seconda media». Apperò.
Vediamo: «Partiamo dal sommario (…). Scritto fitto utilizzando un font tipo Verdana, parte da pagina 1 per poi passare direttamente alla 3 (…). Le pagina 19 e 20 sono curiosamente bianche», cominciamo bene. «A pagina 25 c’è la prima carta topografica con la mappatura degli ospedali che è su per giù uno screenshot di Google Map (…). A pagina 26 si specifica che “the City of Milano has a record of protecting and promoting the rights of LGBTQI people”. Già. Peccato che il Pirellone che doveva ospitare l’Agenzia, sia quello su cui comparve la scritta Family Day appena un anno fa». Vero. Prosegue: «Poi c’è una cartina sull’aspettativa di vita media in Europa, ma è totalmente sfocata (…). A pagina 35, a sorpresa, altra pagina vuota (…). A pagina 38, nel paragrafo “eating and drinking”, si aspira a conquistare voti decisivi ricordando che qui l’aperitivo è composto da “drinks and nibbles”, bevute e stuzzichini (…). A pagina 39 si scopre che le squadre della città sono Inter e AC Milano (con la o). La mappa cittadina, a pagina 36, è suddivisa per aree e numeri dall’1 al 9 tipo distretti di Hunger Games, senza nomi di quartieri o indicazioni geografiche». Mmm.
In generale: «mappe divise a metà tra una pagina e l’altra, niente margini né interlinea, tabelle come se piovesse, lettere con timbro e firma di Federalberghi che fa giurin giurello sul fatto che manterrà invariati i prezzi delle camere, e tutto quel che potete immaginare nel compitino didascalico di uno stagista psicotico».
Sì, ma il dossier olandese? Com’è? «Grafica accattivante, foto da brochure di viaggi, tabelle chiare e leggibili, pagine colorate, loghi per indicizzare, planimetrie degli uffici e informazioni complete su 84 pagine». Vualà.

Oh, tranquilli: se stiamo ai contenuti, stravinciamo.
Qui sotto l’articolo integrale (non me ne voglia il Fatto), basta cliccarci sopra.

Ed ecco per comoda consultazione:
il dossier italiano in tutto il suo splendore proprio
il dossier olandesico che lo battiamo quando vogliamo
la versione promozionale di quello italiano che, tutto sommato, non è nemmeno male (ma non ha contenuti, ovviamente)

cittadino lombardo-veneto, oggi non andare a votare

Maroni e Zaia si fanno la loro campagna elettorale alle nostre spalle, lo sai vero?
Lo sai che questo referendum non ha alcun valore, vero?
Lo sai che non c’entra nulla lo ‘statuto speciale’, vero?
Lo sai che secondo la Costituzione non serve un referendum per contrattare maggiore autonomia con lo Stato, vero?
Lo sai che Maroni e Zaia, quando erano ministri del governo, non si sono adoperati minimamente per le autonomie delle loro regioni, vero?

Certo, così come è posta la faccenda è come chiedere a uno di cinque anni se vuole bene alla mamma. E così andrà. Però che cazzo.