Questa foto è terribile.

Proprio in quel momento, la torre è quella sud. La foto è emersa da poco o, almeno, io l’ho vista per la prima volta pochi giorni fa. Mi ricorda certe immagini dell’Hindenburg.
Questa foto è terribile.
Proprio in quel momento, la torre è quella sud. La foto è emersa da poco o, almeno, io l’ho vista per la prima volta pochi giorni fa. Mi ricorda certe immagini dell’Hindenburg.
A Londra, sul muro della Corte di giustizia.
Formidabile la foto col parruccone vero che passa nel momento davanti al parruccone bidimensionale.
Vista così parrebbe un’indicazione generica, la magistratura che se la prende con chi manifesta dissenso, in realtà lo stencil arriva due giorno dopo il fermo di 890, ottocentonovanta!, persone in corteo che protestavano contro il provvedimento contro il gruppo Palestine Action. La solerzia delle forze dell’ordine quando si parla di Palestina è sempre sorprendente.
[Aggiornamento] Ovviamente il mural è già stato cancellato ma mica perché lo Stato inglese è repressivo, cioè lo è ma non per questo, bensì perché è una Corte di giustizia, “listed grade 1”, quindi nessuna scritta o manifesto è tollerato. Il che fa ovviamente parte dell’idea stessa di street art. Nemmeno a dirlo. Anche questa, nella foto, è una parte parecchio divertente del processo.
Stamane il meteo promette ben più di trenta gradi e pare avere tutta l’intenzione di mantenere, è dunque la giornata perfetta per andare alla Magliana.
La Magliana è uno dei quartieroni enormi di Roma, talmente popolosi ed estesi che potrebbero avere anche un sindaco per sé e, infatti, ce l’hanno: si chiamano presidenti di Municipio e, sorpresa sorpresa, in questo caso specifico della Magliana è un presidente del PD. E già le mie preconoscenze vacillano, sono letteralmente sconvolto. Questi quartieroni, dicevo, si sono espansi a cerchi concentrici a partire dalle mura storiche dopo l’unità d’Italia, il cerchio della Magliana nuova è degli anni Settanta e tutti tutti i condomini sono identici e nella stessa circonferenza che si sia qui o ad Appio Claudio o a Portuense o a Primavalle è esattamente la stessa cosa. Uguale. Grazie, Marchini e compagni palazzinari.
Seguo quindi il nucleo storico, via della Magliana, che si distingue dalla Magliana nuova per qualche decina di metri, e ogni carrozziere, rottamaro, gommista, benzinaio a me pare un posto da canaro. E mi aggiro guardingo. Una bella storia, quella, da leggere la sera. Un tizio che gestiva un posto per la tualétt dei cani, er canaro appunto, su viale della Magliana, se la prese con un ex pugile che gli doveva aver fatto uno sgarbo di qualche tipo e, strafatto come una pigna, lo rinchiuse in negozio e gli inflisse tutte le peggiori torture cui una mente devastata e strafatta come una pigna può pensare. Lo so che state provando a immaginare, non ci siete nemmeno lontanamente. Perché siete sani, voi. Particolari della vicenda che mi fanno molto ridere: a un certo punto, er canaro interruppe ciò in cui era affaccendato per andare a prendere moglie e figlia e non fare tardi; poi, prima del processo lo rilasciarono perché ritenuto, dopo perizia, ‘non socialmente pericoloso’; infine, uscito dal carcere moglie e figlia se lo ripresero a casa come fosse uscito a prendere le sigarette. Nemmeno Sordi mi fa ridere così. Poi saltò fuori che le torture e mutilazioni mostruose che aveva descritto le inflisse al malcapitato dopo la morte e che prima aveva millantato, che sensibilone. Quasi come Fioravanti.
Comunque, io cerco di non fissare nessuno a lungo perché già vedo il mio corpo nel baule di una 127 e la testa in un catino davanti al posto del passeggero. E anche questa è una bella storia locale. E cammino verso la via che sto cercando, attraverso villa Bonelli e la trovo, la percorro fino al civico che cerco, l’otto, e osservo il piano terra, la discesa ai garage, la panoramica e le vie attorno. Cioè le caratteristiche che fecero propendere per questa e non un’altra.
Si chiamava Altobelli ed era ingegnere, l’acquirente. Fresco di matrimonio, serio ma qualunque, come la casa. Ma alla fine in questo appartamento all’interno uno non accadde nulla perché, si sa, il prigioniero lo portarono al ghetto, la geometrica potenza di fuoco non si spiegava, sulle scarpe c’era sabbia di Ostia, a Bologna furono i palestinesi, l’aereo ebbe un cedimento strutturale, nessuno diede ascolto alle sedute spiritiche, a Roma non c’è una via con quel nome. Le uniche certezze, qui, sono che il prigioniero aveva – i giovani di allora si tengano – sessantuno anni nonostante sembrasse vecchio e l’altra è che tutta la faccenda non servì a nessuno degli scopi dichiarati dei rapitori, servì anzi a scopi opposti, se proprio.
A questo punto, potrei mettere insieme qualche canaro di qua, qualche rozzo testaccino, un paio di fascisti di cui uno orbo, qualche eminente rappresentante della criminalità già organizzata, uno psichiatra nazista e formare una bella banda che gestisca con successo le attività del territorio. Gli infiltrati dei servizi, gli amici, arriveranno poi da soli. A quel punto, affitterei un bel deposito armi in una sede dislocata di un ministero dello stato e il gioco è fatto. Ah, e per il covo ho avuto un’idea geniale:
Non ci beccheranno mai! Due volte? Nessuno ci potrà mai arrivare.
Ma non a tutti, solo ai buoni, di spirito e di azione. Gli altri, per fortuna, la primavera se li porterà via, come l’altra volta. Magari non questa, spero la prossima.
Con la locuzione ‘Le Nuove’ a Torino si intende il carcere storico, quello in funzione dal 1869 al, per alcuni, 2003. Cinque minuti fa, quindi. E questa guida non avrà proprio niente di allegro perché non c’è niente di allegro da raccontare, stavolta. Però va raccontata, anche brevemente, questa storia e in forma di guida perché, magari, poi qualcuno deciderà di andarci. E sarebbe bene per molti motivi come è stato bene per me, pochi giorni fa.
Come dice Beccaria nel capitolo XLVII in conclusione: «perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi», gli Stati moderni cominciarono a dotarsi di carceri moderne, ‘nuove’ per l’appunto. Per carità, si veniva dall’assolutismo e dall’arbitrio, per cui l’approdo fu temperato, Beccaria ascoltato fino a un certo punto, a Torino il re c’era eccome, ancora, e l’idea terminale non era il recupero e il reinserimento delle persone ma la collocazione sicura dei reietti fuori dalle strade borghesi. Lombroso era già lì, di medici compiacenti disponibili a una firma per l’internamento di una donna ne è piena la letteratura e la realtà di allora. Il carcere moderno, dunque, era comunque alla maniera di una fortezza, dentro per il fuori e dentro per il dentro, con torrette per le guardie, celle anguste con bocche di lupo rivolte solo verso il cielo, servizi igienici sommari, nessuno spazio di socialità né, tantomeno, di lavoro o di recupero. Lo Špilberk in struttura, ancora, quel che diceva Beccaria si atteneva al giudizio, la formulazione e l’applicazione della legge.
E lì ci finivano donne in ogni condizione, preferibilmente prostitute – da cui però poi quasi tutti andavano -, sole con figli illegittimi, vittime di violenza, di quel malaffare comodo per ogni stagione, come l’insano per le abitazioni, bastava aver rovesciato un banco del mercato per fame, come nel 1919, e criminali di ogni sorta, dal pluriomicida all’accattone. Una voragine in cui si entrava per, spesso, non uscirne più. Il diritto alle cure sanitarie, al lavoro, all’ora d’aria arrivarono poi, gradatamente e con moderazione. Se di per sé già l’idea del carcere è perversa, la concezione di uno spazio circolare per l’ora d’aria con al centro una torretta di guardia, muri alti tre metri e spicchi al massimo larghi ottanta centrimetri alla circonferenza esterna, quindi singoli, è ben oltre la perversione. Il modello qui sotto è quello successivo, liberato degli spicchietti singoli e ampliati per un minimo di socialità durante quel poco tempo all’aperto.
Piano piano arrivarono piccole concessioni, i bagni, alcuni spazi per detenute madri e per i piccoli, qualche finestra, qualche cucina, qualche angusto spazio di lavoro, qualche diritto in più, forse, qualche tortura in meno. Piano, eh, che il letto di contenzione fu dismesso solo nel 1978, otto minuti fa, quindi con i piedi di piombo, letteralmente. E il carcere affidato alle Figlie della Carità, suore, incaricate di ogni servizio tranne quello di guardia, con il bene e il male. La voragine riaprì le sue fauci durante il fascismo, gli oppositori, anche blandi, sparivano nelle celle, bastava poco, tornava l’arbitrio. Dal 1943, poi, divenne un buco nero, un intero braccio in cui si parlava solo tedesco e in cui finivano tutti coloro che venivano interrogati e torturati all’albergo Nazionale in via Roma e poi portati qui la notte. Ci restavano poco, qui, qualche giorno, perché poi o era deportazione o fucilazione, finendo quindi l’ultima notte al piano di sotto, nelle celle dei condannati.
Come Ignazio Vian, Emanuele Artom, Duccio Galimberti, Giuseppe Girotti per dirne quattro. Le scritte sui muri, qualcuna con il sangue, qualche bigliettino, una pagnotta incisa è ciò che ci resta di centinaia di persone coraggiose che si ribellarono, ciascuna a proprio modo.
Dopo la Liberazione, e con essa venne la Repubblica, le condizioni carcerarie non migliorarono di pari passo, subirono anzi battute d’arresto soprattutto negli anni Settanta e Ottanta, con la stagione del terrorismo, di cui Torino fu senz’altro un epicentro. Per lo più donne, le detenute comuni non potevano stare con le politiche e le politiche stesse non tra loro per l’evidente questione per cui erano lì, la militanza da parti opposte. Vennero le gabbie di contenzione e le reti contro i suicidi, insieme alle porte con le sbarre, finalmente non solo chiuse.
Ma la perversione del sistema ebbe la meglio ancora per molto, ancora l’ha adesso al di fuori di un pugno di carceri d’eccellenza, Bollate, Opera, Verziano, nella sovrappopolazione delle strutture, nel disinteresse, nell’esercizio di leggi inutilmente punitive verso chi non ha i mezzi per dilazionare la difesa, il caso mostruoso di Canton Mombello a Brescia. Anch’esso in fortezza ottocentesca. Quando le detenute trovarono il modo di comunicare all’esterno con le compagne salite sui cumuli di macerie all’esterno, la direzione rese cieche le finestre, con una certa confusione tra i sensi, oserei notare.
Solo negli anni Novanta fu costruito un nuovo carcere all’altezza dei tempi nuovamente moderni, Le Vallette, che pure pensò di bruciare dopo poco prolungando la permanenza dei detenuti qui fino al 2003.
Sia chiaro, è un viaggio all’inferno, doloroso ma breve. Fa un freddo spaventoso, lì dentro, molto più freddo che fuori, come posso immaginare faccia molto più caldo d’estate. Anche questa era insensatezza. Per fortuna, nel carcere c’è un’associazione di volontari che conduce visite guidate una volta al giorno, due ore, perché serve tempo e comprensione e concentrazione per attraversare le vicende che ho appena accennato. Serve rispetto, in fondo. Si prenota qui ed è una cosa che consiglio davvero di fare. Per molti motivi, tanti si sono intuiti, capire qualcosa di più della realtà carceraria storica e contemporanea e, non ultimo, per quello che disse Calamandrei: «Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dov’è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i Partigiani. Nelle carceri dove furono imprigionati. Nei campi dove furono impiccati». Ecco.
Le altre guide: adda | amburgo | berlino | bernina express | bevagna | budapest (gerbeaud) | ferrara (le prigioni esclusive del castello estense) | libarna | mantova (la favorita) | milano (cimitero monumentale) | milano (sala reale FS) | milano (tre abbazie) | monaco di baviera | monza e teodolinda | tre giorni in nederlandia | oslo | pont du gard | roma (attorno a termini) | roma (barberini) | roma (mucri) | roma (repubblica) | roma (termini) | da solferino a san martino (indipendenza) | torino (le nuove) | velleia | vicenza
Anche il 28. Il compagno Stjepan Filipović pochi istanti prima della sua esecuzione a Valjevo da parte dei nazisti il 22 maggio 1942 mentre gridava: «Morte al fascismo, libertà per il popolo!», «Smrt fašizmu, sloboda narodu!».
Non sfugga quella che sembrerebbe a tutti gli effetti una corda da pianoforte. Maledetti nazisti, anche questa.
Ovvero, ottant’anni fa l’Armata Rossa liberò Auschwitz.
Ma il senso, ovviamente, non è quello. Come non c’entra con gli ebrei, non nello specifico.
Qui, se ce la facciamo, ricordiamo anche tutto il resto dell’anno.
Il primo senza Licia Pinelli. Chiare le parole di Mattarella, per chi ha voglia di capire: «Fu anzitutto l’unità in difesa dei valori costituzionali a sconfiggere gli eversori e a consentire la ripresa del cammino di crescita civile e sociale. Milano fu baluardo e tutto il Paese seppe unirsi», «Seguirono tentativi di depistaggio e di offuscamento della realtà. L’impronta neofascista della strage del ’69 è emersa con evidenza nel percorso giudiziario, anche se deviazioni e colpevoli ritardi hanno impedito che i responsabili venissero chiamati a rispondere dei loro misfatti», «Verità e democrazia hanno un legame etico inscindibile». Ecco, ovviamente il dibattito oggi sarà sull’aggettivo incriminato, come sempre, quel «neofascista» che la destra di governo si rifiuterà di pronunciare, vedere la dichiarazione di Piantedosi, ministro titolato alla dichiarazione odierna, «un attacco vile e sanguinario al cuore della nostra democrazia ebbe inizio una lunga stagione terroristica a cui il nostro Paese» eccetera, ovvio, credo manchi anche un pronome relativo. Quante cose mancano a questo paese.
Anche quest’anno il cinque dicembre morì Mozart.
Animo libero, spirito progressista, vero primo professionista indipendente nella musica, demente a tratti, infantile e geniale insieme, come non apprezzarlo sia come persona che, ovvio, come musicista? Per questo lo ricordo il cinque. «Della salvezza della mia anima non preoccupatevi», disse saggiamente, fu genio e deficiente insieme, innovatore, progressista, libero pensatore e libero professionista in un’epoca in cui accasarsi a corte era l’unica via, innovò magistralmente, ne ebbe meriti e ne pagò le conseguenze. Un uomo profondamente libero, di quelli che piacciono a me.