Stamane il meteo promette ben più di trenta gradi e pare avere tutta l’intenzione di mantenere, è dunque la giornata perfetta per andare alla Magliana.
La Magliana è uno dei quartieroni enormi di Roma, talmente popolosi ed estesi che potrebbero avere anche un sindaco per sé e, infatti, ce l’hanno: si chiamano presidenti di Municipio e, sorpresa sorpresa, in questo caso specifico della Magliana è un presidente del PD. E già le mie preconoscenze vacillano, sono letteralmente sconvolto. Questi quartieroni, dicevo, si sono espansi a cerchi concentrici a partire dalle mura storiche dopo l’unità d’Italia, il cerchio della Magliana nuova è degli anni Settanta e tutti tutti i condomini sono identici e nella stessa circonferenza che si sia qui o ad Appio Claudio o a Portuense o a Primavalle è esattamente la stessa cosa. Uguale. Grazie, Marchini e compagni palazzinari.
Seguo quindi il nucleo storico, via della Magliana, che si distingue dalla Magliana nuova per qualche decina di metri, e ogni carrozziere, rottamaro, gommista, benzinaio a me pare un posto da canaro. E mi aggiro guardingo. Una bella storia, quella, da leggere la sera. Un tizio che gestiva un posto per la tualétt dei cani, er canaro appunto, su viale della Magliana, se la prese con un ex pugile che gli doveva aver fatto uno sgarbo di qualche tipo e, strafatto come una pigna, lo rinchiuse in negozio e gli inflisse tutte le peggiori torture cui una mente devastata e strafatta come una pigna può pensare. Lo so che state provando a immaginare, non ci siete nemmeno lontanamente. Perché siete sani, voi. Particolari della vicenda che mi fanno molto ridere: a un certo punto, er canaro interruppe ciò in cui era affaccendato per andare a prendere moglie e figlia e non fare tardi; poi, prima del processo lo rilasciarono perché ritenuto, dopo perizia, ‘non socialmente pericoloso’; infine, uscito dal carcere moglie e figlia se lo ripresero a casa come fosse uscito a prendere le sigarette. Nemmeno Sordi mi fa ridere così. Poi saltò fuori che le torture e mutilazioni mostruose che aveva descritto le inflisse al malcapitato dopo la morte e che prima aveva millantato, che sensibilone. Quasi come Fioravanti.
Comunque, io cerco di non fissare nessuno a lungo perché già vedo il mio corpo nel baule di una 127 e la testa in un catino davanti al posto del passeggero. E anche questa è una bella storia locale. E cammino verso la via che sto cercando, attraverso villa Bonelli e la trovo, la percorro fino al civico che cerco, l’otto, e osservo il piano terra, la discesa ai garage, la panoramica e le vie attorno. Cioè le caratteristiche che fecero propendere per questa e non un’altra.



Si chiamava Altobelli ed era ingegnere, l’acquirente. Fresco di matrimonio, serio ma qualunque, come la casa. Ma alla fine in questo appartamento all’interno uno non accadde nulla perché, si sa, il prigioniero lo portarono al ghetto, la geometrica potenza di fuoco non si spiegava, sulle scarpe c’era sabbia di Ostia, a Bologna furono i palestinesi, l’aereo ebbe un cedimento strutturale, nessuno diede ascolto alle sedute spiritiche, a Roma non c’è una via con quel nome. Le uniche certezze, qui, sono che il prigioniero aveva – i giovani di allora si tengano – sessantuno anni nonostante sembrasse vecchio e l’altra è che tutta la faccenda non servì a nessuno degli scopi dichiarati dei rapitori, servì anzi a scopi opposti, se proprio.
A questo punto, potrei mettere insieme qualche canaro di qua, qualche rozzo testaccino, un paio di fascisti di cui uno orbo, qualche eminente rappresentante della criminalità già organizzata, uno psichiatra nazista e formare una bella banda che gestisca con successo le attività del territorio. Gli infiltrati dei servizi, gli amici, arriveranno poi da soli. A quel punto, affitterei un bel deposito armi in una sede dislocata di un ministero dello stato e il gioco è fatto. Ah, e per il covo ho avuto un’idea geniale:

Non ci beccheranno mai! Due volte? Nessuno ci potrà mai arrivare.