mi sa che pure dondola

Il signor Nock, Freddy Nock, svizzero, ha ben pensato per suo diletto di farsi una passeggiatina sui cavi della funivia della Zugspitze, in Baviera, in direzione della vetta più alta della Germania.

Edgar Müller, Getty Images

Spessore del cavo? Cinque centimetri, così: |———————————–|.
Pendenza? Non nota. Dondolamento? Nemmeno. Bilanciere? No. Grado di divertimento? Alto, immagino. Altrimenti non si spiega.

l’ultimo uomo sulla luna

Eugene ‘Gene’ Cernan, ultimo uomo a camminare sul suolo lunare, è morto ieri.

Nonostante la tuta, è proprio lui. Lasciò il nostro satellite il 14 dicembre 1972 ed è l’ultimo ad averlo fatto. Più niente dopo il 1972, nonostante sia ormai risaputo che c’è una base missilistica nazista nel lato oscuro della Luna che meriterebbe più sorveglianza.
Comunque, Cernan detiene alcuni primati, oltre a quello di lastmanonzemoon: una delle 12 persone che hanno camminato sulla Luna, una delle 3 che ha compiuto due volte il viaggio verso la Luna e ritorno (Apollo 10 e Apollo 17), uno dei 3 ad aver toccato la maggior velocità in volo mai toccata (11,08 km/s nel rientro dell’Apollo 10) e l’unico (1) a essere sceso con un LEM sulla Luna per ben due volte in due diverse occasioni. Ne scrisse anche un libro, The last man on the moon, appunto.

E ora, un po’ di uomini sulla Luna, per gradire:

John Watts Young, 1972

Edwin Eugene Aldrin, Jr., 1969

Astolfo, 1516

Georges Méliès, 1902

Torres vs. Green

Olympic Auditorium, Los Angeles, California, 5/22/1951

Charley ‘Devil‘ Green fu un pugile irregolare, sregolato, con gravi problemi di dipendenza, ma fu un buon pugile, anzi meglio: campione del mondo nei pesi piuma, fu per parecchio tempo tra i dieci migliori pugili nella sua categoria. Nel 1969 fu sconfitto da José Torres nella sfida per il titolo mondiale di categoria: dopo aver messo al tappeto Torres alla fine del primo round, fu contato per KO alla fine del secondo round, in un match piuttosto discusso.

Fu l’ultimo incontro di Torres e solitamente viene ricordato per un buffo fatto: l’incontro si tenne al Madison Square Garden (il 14 luglio 1969, pochi giorni prima della Luna) e, all’ultimo minuto, l’avversario di Torres si rifiutò di salire sul ring. Il manager di Charley Green, Gil Clancy, presente all’incontro, si rese conto della situazione e, guardandosi intorno, avvistò proprio il suo pugile tra il pubblico che mangiava un hot dog. «Metti giù quell’hot dog. Stasera combatti tu», Green accettò incarico e compenso senza discutere.
Nello spogliatoio, poco dopo, quando Clancy fece per fasciargli le mani, Green disse: «Niente fasce se non mi dai otto dollari». Clancy lo fissò: «E che diamine te ne fai? Verrai pagato per il lavoro». E Green, genio:

«Il biglietto mi è costato otto dollari. Col cazzo che pago per vedere un mio match».

icebridge

Come reagisce l’Antartide al riscaldamento globale?
Se l’è chiesto, giustamente, anche la NASA che ha allestito allo scopo un aereo per sorvolare in dettaglio il continente: in codice, operazione IceBridge. Qui una spiegazione più dettagliata della mia delle misure e delle rilevazioni effettuate.
Mario Tama di Getty Images è saltato sull’aereo e ha fatto molte foto. Eccone alcune:

Antarctica October 27 (Mario Tama/Getty Images)

Antarctica October 27 (Mario Tama/Getty Images)

Antarctica October 27 (Mario Tama/Getty Images)

Antarctica October 27 (Mario Tama/Getty Images)

Antarctica October 28 (Mario Tama/Getty Images)

Antarctica October 27 (Mario Tama/Getty Images)

Antarctica October 27 (Mario Tama/Getty Images)

Antarctica October 28 (Mario Tama/Getty Images)

Antarctica October 31 (Mario Tama/Getty Images)

freschetto, non trova?

Il 31 dicembre, alle otto di mattina, tra Bologna e Firenze, il monitor di Italo comunicava la seguente temperatura esterna:

Naturalmente alla bella notizia di avere finalmente superato il limite fisico dello zero assoluto il vagone è scoppiato in un tripudio festoso. Un’altra dimostrazione del fatto che esistono zone in Italia che non sottostanno alle leggi della termodinamica e alle leggi dell’universo in generale.

Howard Bingham in dieci fotografie (nove sue e una no)

Il 15 dicembre scorso è morto Howard Bingham. C’è una foto, tra tutte, che spiega molte cose riguardo chi fosse.

Un autoscatto (non esattamente, ma insomma il concetto è quello) che risale a qualche giorno prima del combattimento tra Ali e Foreman nel Rumble in the jungle. In Zaire, quindi, e presumibilmente nell’ottobre del 1974.
Fotografo ma, soprattutto, amico di una vita di Muhammad Ali, era uno dei pochi dell’entourage di Ali a essergli legato per sole ragioni di amicizia (oltre che a mantenersi da solo, cosa rara nel circo che circondava il campione).
Bingham scattò decine, forse centinaia di migliaia di fotografie ad Ali tra il 1962, anno in cui si conobbero, e il 2016, anno che li ha visti scomparire entrambi. Eccone alcune:

Ali nel 1978, forse negli incontri contro Spinks

L’incontro Ali-Liston II nel 1965

A Louisville nel 1963

Sitting on a million dollar, 1963

Zaire, 1974

Ma non solo: Bingham fu fotografo per Life, Look, Time, Newsweek, Sports Illustrated, People e altri importanti magazines; fu uno dei primi fotografi neri della International Cinematographers Guild e, proprio per il fatto di essere afroamericano, ebbe anche accesso ad ambienti complicati, in quegli anni, quali per esempio le Pantere nere e le proteste del movimento.

Black panthers, 1968

Black panthers, gun control protest, 1968

Questa seconda foto si riferisce a una protesta relativa alle armi: se in una prima fase le Black panthers furono contrarie all’uso delle armi, in un’ottica di protesta nonviolenta, poi cominciarono a praticare il “patrolling“, ovvero seguire con le armi in bella vista le azioni della polizia, in modo da impedire abusi nei confronti dei fermati di volta in volta.

Bingham è stato un grande fotografo, ha documentato la società americana nell’arco di cinquant’anni con decisione, grazia, ironia e coscienza politica, è stato senza dubbio il migliore amico di Ali, di cui ha fotografato tutta la carriera standogli vicino e consigliandolo in ogni occasione, ed è stato senza dubbio una persona che ha reso il posto dove viviamo in qualche modo migliore.

Autoscatto, 2008

Sports illustrated, 1998

a 2146 parsec da noi

Prima, una nota importante: il Signore della Scienza abbia pietà di me per quanto dirò da qui in poi. Son profano.

Il 30 dicembre 1924, Edwin Hubble, astronomo e astrofisico, dopo due anni di osservazioni con il telescopio Hooker da 100 pollici, allora il più potente del mondo, nell’osservatorio di Mount Wilson a Pasadena, annunciò che la stella V1, nella Galassia di Andromeda, non apparteneva alla nostra galassia. Infatti, ne aveva determinato la distanza con sufficiente precisione per poter dire con certezza che le cosiddette nebulose a spirale erano molto più lontane di quanto si credesse. Più lontane di quanto credesse il suo nemico scientifico (scherzo) Harlow Shapley che sosteneva invece la tesi avversa.
Non paia una sciocchezza: questa osservazione spostava – e di molto – i limiti di osservabilità dell’universo e le sue dimensioni, aprendo – letteralmente – spazi sconfinati attorno a noi.

Cinque anni più tardi, Hubble notò che la frequenza della luce osservata da alcune stelle era più bassa rispetto a quando la luce era stata emessa dalle stelle stesse. Ciò tipicamente accade quando l’osservatore si allontana dalla sorgente di luce (il cosiddetto effetto redshift). Hubble comprese, inoltre, che esisteva una relazione lineare tra il redshift della luce emessa dalle galassie e la loro distanza: più il primo aumenta e più la distanza cresce. La conseguenza di questo? Una roba forte: le galassie si allontanano da noi. E noi da loro. E l’universo si espande. Bum!
Dopo lo sconcerto, ecco la Legge di Hubble. Ma era un Bum! davvero grosso, che apriva enormi, nuove sconvolgenti frontiere della cosmologia, della fisica e della filosofia. Due conseguenze derivanti dalle osservazioni di Hubble? Bum! uno: esse postulavano l’esistenza del Big Bang. Bum! Bum! doppio e appropriato. Bum! due: anche noi ci allontaniamo e, attenzione che scoppia la testa, non siamo affatto in una posizione privilegiata nel cosmo, siamo – anzi! – in una semi-sperduta periferia. La banlieue dello spazio.

Quando negli anni Settanta si fece largo l’idea di piazzare un telescopione nello spazio – ottima idea, per evitare inquinamenti vari anche di tipo luminoso – venne del tutto naturale intitolarlo a Edwin Hubble. L’HST, lanciato nel 1990 nell’orbita bassa dell’atmosfera a 560 km di altezza, è un cannolone di due metri e mezzo di diametro, tredici metri di lunghezza e undici tonnellate di tenerezza che galleggiano nello spazio, e in ventisei anni di onoratissima carriera ha scattato circa ottocentomila fotografie ad altissima risoluzione. Più o meno le foto che io ho scattato a New York l’ultima volta.
Grazie a Hubble, per dirne una, è stata fotografata la galassia più lontana attualmente conosciuta, la Z8 GND 5296, alla distanza ipercalifragisiderale di 13,1 miliardi di anni luce dalla Terra. Se conoscete qualche numero relativo al Big Bang, la distanza vi avrà fatto sobbalzare.

Ed eccomi, finalmente, allo scopo di questo post: la NASA pubblica con grande bravura e generosità molte delle fotografie scattate da Hubble, almeno le più comprensibili al grande pubblico-me. Eccole. La delizia è che sono ad alta risoluzione per davvero, nel senso che se desiderate una bella TIFF da stampare per appendere in salotto una bella composizione tre-metri-per-due, allora basta cliccare qui, per esempio (occhio che son 66 megabombi).
Tra le foto strepitose, una che mi colpisce molto – non sono il solo – è una guglia stellare nella nebulosa dell’Aquila, questo pippiulone qui sotto:

La Colonna V ripresa dall’Hubble

La foto è disponibile anche qui, un altro bel sito di immagini di Hubble. A settemila anni luce di distanza da noi, questa è la colonna V, soprannominata “la Guglia” (The Spire), che si trova a nordest rispetto ai cosiddetti “Pilastri della Creazione”: questi sono delle colonne di gas interstellare e polveri con una massa totale stimata pari a 200 masse solari, cioè quattrocento quintilioni di chilogrammi che-faccio-lascio?, che uno pensa subito ai bastioni di Orione e alle porte di Tannhäuser.
Una roba così.

Ora, siamo onesti: starsene a casa propria, seduti davanti al pc come voi ora e me prima, al caldino, e guardarsi le fotografie vere-vere che un occhione spaziale ha scattato e sta scattando per noi là fuori, nello spazio un po’ profondo, non è una tra le cose più emozionanti del nostro tempo? Io penso di sì. Galilei o Brahe avrebbero probabilmente ucciso per vedere anche solo una delle fotografie tra quelle che possiamo vedere noi, non appena gli avessimo spiegato cosa sia una fotografia.
Per cui, detto questo, fatte le somme e sottratti gli svantaggi, io sono contento di avere questa favolosa opportunità.