Dopo il successo interplanetario del primo disco, i Guns ‘n’ Roses uscirono l’anno dopo con un piccolo disco acustico, G N’ R Lies, che in realtà comprendeva un precedente EP e un paio di covers, oltre a tre pezzi originali suonati, come detto, con tre chitarre acustiche e scarne percussioni. Ora, non ha nessuna importanza cosa io o voi pensiate dei Guns ‘n’ Roses, né oggi né allora, il punto è che Patience è un pezzo clamoroso, in sé per scrittura e melodia, e fuori di sé per arrangiamento che risalta ancor più sorprendente sapendo le specialità del gruppo.
La canzone fu registrata in un’unica sessione, il gruppo era al massimo della forma, il video girato all’Hotel Ambassador, l’albergo di Los Angeles in cui fu ucciso Robert Kennedy, poi demolito, e mostra qualche curioso oggetto della fine degli Ottanta, per esempio il telefono col neon.
Buona primavera a tutti quelli che sono chiusi in casa.
Gli altri no, tornate a casa e stateci, rimbecilliti. Pochi minuti fa, chissà perché, mi sono svegliato con il desiderio di essere in un parco, all’aperto, magari a Milano, non per forza al Lambro, a sentire dal vivo la mela di Odessa degli Area. Uouououououo. Chissà perché. Anche un paese giallo di grano pieno di gente felice va benissimo.
Ordinanza del governo, oggi, che limita ancora un po’ lo spazio di azione individuale: infatti, pare ci sia un po’ troppa gente in giro con la scusa della corsetta o di qualsiasi altra cosa. Dal mio limitatissimo angolo di prospettiva, l’ho detto, non ho visto eccessi ma, in effetti, non vedo parchi o colline o isole ecologiche o qualsiasi luogo possa costituire attrazione di questi tempi. Se ne leggono di ogni, in effetti. Niente attività sportiva, dunque, se non in prossimità di casa, chiusura dei parchi e dei giardini, vietate attività ludiche all’aperto e ogni spostamento nei festivi e pre. I governatori leghisti avevano richiesto la chiusura dei supermercati nei fine settimana e questo è bastato a scatenare, di nuovo, l’assalto ai generi alimentari: bisognerebbe parlare molto molto meno. Per fortuna, mi ripeto, al governo il sale in zucca c’è e, a Cesare!, si stanno comportando bene, dando dimostrazione di serietà e prontezza. Nessuno, credo, possa dirsi abbandonato in questo momento. I casini più evidenti si riscontrano quando intervengono i governatori locali delle zone più colpite, Lombardia e Veneto, dunque leghisti entrambi, che premono per avere la propria visibilità e, quindi, impongono conferenze stampa in concorrenza con quelle ufficiali della protezione civile. Oppure quando i loro compari all’opposizione del governo, anche in questo caso alla ricerca di visibilità, bloccano l’approvazione veloce del decreto che destina aiuti a imprese e autonomi: ve la ricorderete questa cosa?
Il mio amico e collega M. ci racconta cos’è successo ai suoi genitori: hanno trovato nella cassetta della posta, e come loro tutte le persone della via, una busta anonima con il seguente messaggio: «Cari vicini, andrà tutto bene. Dio vi benedica. Forza Italia». Dentro, quattro mascherine. Il padre di M. è riuscito a vedere in lontananza l’autrice di questo gesto di grande umanità: la famiglia di cinesi che abita cento metri più avanti nella via. Nonostante – mi si perdoni la battuta – gli accenni a Dio e Berlusconi, trovo la storia commovente. Sono molti i gesti di umanità in questo periodo, minori e maggiori, dalla condivisione della spesa al sostegno tra persone vicine, per ogni imbecille fuori a esercitare la propria individualità ce ne sono parecchi che, invece, agiscono per il meglio e in modo collettivo. Oltre ai sanitari, ovviamente, e tutto ciò che ci gira attorno, si va dalle grandi aziende come la LVMH, gigantesco conglomerato di marchi del lusso come Dior e Loewe, che ha annunciato ieri di aver convertito l’intera linea di produzione di profumi in gel disinfettante per le mani, ai gesti dei volontari che consegnano in ogni quartiere spesa e farmaci, agli insegnanti che con sforzo notevole proseguono le lezioni online e a tutti coloro che, anche nello spazio di un pianerottolo o di un cortile, fanno la propria parte. A Jennifer Haller, donna di 43 anni di Seattle con due figlie adolescenti, che due giorni fa si è fatta iniettare la prima dose di “mRNA-1273”, dando il via ufficiale alla sperimentazione dei vaccini al Covid-19 sull’uomo. Meglio: sulla donna. Partiti gli USA, l’Europa annuncia i primi test a giugno, l’Italia è già un po’ più avanti ed è ai test pre-clinici sugli animali, oltre all’avanzata sperimentazione di farmaci già esistenti. In Cina sono alla soglia dei test umani. Insomma, ci si muove insieme. Ed è in quest’ottica che è arrivata in Italia. alcuni giorni fa, una delegazione di medici e industriali cinesi per portare l’esperienza diretta di quanto fatto con successo a Wuhan, oltre a un aereo pieno di aiuti materiali. Sono arrivati anche i medici cubani a sostenere lo sforzo dei nostri, in linea con uno scambio che da anni va avanti tra Italia e Cuba (noi gli mandiamo odontotecnici da decenni, per condividere le professionalità). Molti tra cui io non hanno potuto fare a meno di notare la coincidenza degli aiuti da paesi, almeno nominalmente, socialisti. Tra tutte le storture dell’applicazione della teoria, il sostegno e la solidarietà tra paesi è però parte fondante della cultura socialista, va riconosciuto e ne va merito.
È il confronto che, talvolta, va a nostro svantaggio, se mandiamo avanti i governatori leghisti e forzitalioti del nostro paese, purtroppo. Ieri, il signor Hua Hu, amministratore delegato di Cosco Shipping Lines Italy, ha donato alla Regione Liguria cinquantamila mascherine e Toti e i maggiorenti della Regione hanno ben pensato di farsi una foto con lui.
Dando visibile dimostrazione di beotismo, ignorando le minime funzionalità e il senso delle mascherine, la differenza è evidente. Uno, dico io, uno. Vabbè. È primavera.
Pulizie. Costretti a casa, alla maggior parte delle persone è venuto l’impulso di mettersi a pulire, sistemare, mettere a posto ciò che rimandavano da tempo. Comprensibilissimo, credo stia a pagina uno del Manuale per affrontare lunghi periodi di reclusione o sopportare tempi difficili. La cosa ha molteplici vantaggi, sia perché vista la prospettiva di abitare le nostre case in modo costante, cosa che non succede quasi mai, è meglio che siano pulite, sia perché è una pratica che tiene impegnati, soprattutto la testa. Ed è così che ieri a Crema hanno chiuso le isole ecologiche perché c’erano duecento persone in coda. A me no, questa pulsione non mi ha sfiorato proprio, per vari motivi che è inutile elencare qui. Ecco, il minimo indispensabile per me e per la casa. Alla fine di tutta ’sta faccenda, per favore, ricordatevi di me e avvisate qualcuno che mi venga a prendere tra i cumuli di rifiuti e il tg4 acceso sulla tv. Comunque, dopo più di dieci giorni posso considerare di assistere, per quel poco che posso vedere di mondo, a una flessione: mettere a posto e pulire è una rottura di balle anche in tempi di pandemia e, di conseguenza, mi pare che molti l’abbiano anche piantata lì. Che vuoi fare? Ripulire tutto di nuovo? E, allora, il dilemma per molti: che fare adesso? E ora? A me capita di avere così tante cose da fare che le giornate siano troppo brevi. Scrivere, leggere, zappare, lettera, testamento. Ovvero, esattamente come prima della pandemia, sebbene siano stati tolti i viaggi e le visite di qualsiasi tipo. Per cui, trovo curioso questo bombardamento in rete di suggerimenti di cose da vedere, serie tv, film, cose da leggere, libri, fumetti, articoli, cose da sentire, podcast, canzoni, radio, per far passare il tempo in questo periodo. E poi i balconi, l’inno alla radio, le dirette social e così via. Che poi, uno non comincerà a leggere ora, se non gradiva prima, e tendenzialmente non cambierà le proprie predilezioni proprio ora: usciremo da questo periodo e l’Italia sarà diventata una nazione di accaniti lettori? Giuro, questa non me la vorrei proprio perdere. (Qui sotto due esempi di «social distancing» di questi giorni, anche in preghiera).
Dopo i primi giorni, frenetici, di consultazione delle notizie e degli scambi continui di informazioni e pareri, mi sono accorto che, adesso, ho bisogno di un po’ di distacco. Un po’ perché rischio di soccombere alla mole di informazioni sul virus e contorno, ho smesso di accendere la radio la mattina appena sveglio e, piuttosto, provo a sentire musica che non ho mai sentito. Per dire, adesso, e non per fare sfoggio di coltezza ma perché mi son stati suggeriti, sto ascoltando i preludi di Debussy suonati da Krystian Zimerman e li sto trovando piuttosto noiosi. Ma va bene, meglio del virus per sedici ore al giorno. Poi, ho dovuto mettere un freno anche ai vari telegram, whatsapp, chat e compagnia bella, perché il profluvio di scambi, mi sono reso conto, mi stava travolgendo e mantenendo il mio umore perennemente basso: non posso convivere tutto il giorno con lo scemo a Treviso che è uscito col cane di pezza, con lo stordito che ieri ha bruciato la vecchia (tradizione) in cascina ed erano in ottanta, con la rintronata che fingeva di avere la spesa e in realtà se l’era portata da casa, con gli irresponsabili di ogni forma e colore. Ecco, non ce la faccio.
Non ce la faccio nemmeno a sopportare la moltitudine di meme, di battute (alcune anche davvero buone, sia chiaro), di spiritosaggini, di scherzi e di trovate che girano vorticose in rete: è un sovraccarico emotivo costante che non reggo, una distrazione forzosa che pregiudica l’andamento della mia giornata. Ne sono stato parte anch’io, all’inizio, ora basta. Quando ci sarà una notizia davvero utile, lo saprò. Sono giunto alla conclusione che sia sbagliato intrattenersi, in generale e soprattutto in questo periodo, intendo dire cercando svaghi per far passare il tempo, puntando ad arrivare a sera. È un errore in generale, perché distrarsi significa perdersi ore, giorni, mesi e anni di vita, e in particolare in questo periodo, perché non sarà breve – si è detto ma ora non breve comincia ad assumere una connotazione più precisa – e cercare distrazioni di continuo per far passare alcune ore porta solo, prima o poi, a scoppiare. Serve una strategia, serve impegnare questi giorni o settimane in modo duraturo, facendo se possibile qualcosa insieme di costruttivo e impegnativo, non troppo leggero e che abbia un inizio, un obbiettivo chiaro e una durata non breve, appunto. Bisogna imparare, è un allenamento che richiede pratica, conviene iniziare quanto prima, un pezzetto al giorno, per poi diventare cinture nere in un tempo ragionevole. Come diceva qualcuno, suddividere la giornata in unità di tempo (venti minuti, mezz’ora) e dedicarne in modo accurato alcune ad attività pianificate, anche in modo multiplo, aiuta. Pulire e Netflix non aiutano, da soli. Per fare, quindi, un esempio, questo minidiario è una cosa di questo tipo, serve a me. A ciascuno, dunque, il suo.
Parto dalle cose piacevoli: stasera la mia amica T., che abita di fronte a me e con cui in questi giorni ci parliamo alle finestre o al telefono, per quanto ridicolo sia, ha deciso di fare la carbonara. Da persona gentile qual è, ilsignorelabenedicamengloria, ha pensato di includermi nell’iniziativa alimentare. Benvolentieri, dico io, ci troviamo subito d’accordo sulla quantità: molta. T. mi preannuncia via messaggio quando sta per buttare la pasta e mi bussa alla porta dieci minuti dopo, sparendo alla vista come il fantasma dell’opera carbonara. Io apro la porta.
Non ne ha fatta molta, ne ha fatta per un battaglione. Un battaglione di due persone che – ce lo siamo confessati poi – ha mangiato tutta la pasta, rigorosamente ciascuno nella propria casermetta, come se non ne avesse mai vista in tutta la vita. Piano, santoddio, piano. Io ho fornito il vino, una bottiglia di rosso a lei e una di bianco a me (il vino è il genere alimentare più consumato in questo periodo di quarantena, non solo da noi, faremo i conti alla fine) e vualà, serata fatta. Io poi mi ero tenuto da parte l’ultima puntata di Ray Donovan (ultima vuol dire ultima, ultima della settima stagione, poi mai mai mai più Ray Donovan) quindi posso dire: en plein. Grazie T., iniziativa molto apprezzata, hai reso speciale una serata. Poi tocca tornare alla realtà, davvero un po’ più cruda: i casi crescono, anche se in maniera disomogenea, i morti pure, di fatto stiamo osservando il passato, ovvero chi si scopre contagiato oggi è perché, presumibilmente, ha contratto l’infezione quattordici giorni fa, prima della chiusura della regione, o giù di lì. Il calcolo è ovviamente sommario e va preso in modo elastico. Niente stupore, specie da parte dei medici, ma la situazione è davvero grama: vedere i camion dell’esercito in fila indiana che portano via le bare da Bergamo perché non ce la fanno più a cremarli fa davvero davvero davvero impressione. E tristezza. Chi l’avrebbe immaginato, due settimane fa? Ovvio. I sindaci da molte parti chiedono di inasprire le norme di comportamento per ridurre le possibilità di contagio, leggo infatti che molti non avrebbero capito – e non stento a crederlo – la gravità della situazione. Lo immagino, anche se per quanto posso vedere io quando vado a fare la spesa non c’è in giro nessuno e quei pochi sono molto disciplinati. Probabilmente non vado nei posti giusti. Sicuramente, noto una disparità, parlando con gli amici, tra città e provincia (dove un amico mi diceva tranquillamente di essere andato a cena dai suoi) e tra parti diverse della regione (nel milanese la quarantena è molto molto più blanda ed è avvertita in modo meno serio, ancora molti vanno in ufficio e frequentano persone con imperdonabile leggerezza). Non parliamo delle parti diverse del paese, un abisso, che verrà sicuramente colmato nelle prossime settimane ma a che prezzo? Tra le stesse persone della mia città vedo comportamenti disuguali, irragionevoli anche tra coloro che si comportano civilmente e seguono le regole, di solito, si informano e cercano di capire. Perché? Immagino c’entri la volontà di non rendere reale ciò che accade, immagino anche per non cedere i propri ridotti spazi di autonomia, immagino oltre a tutto per una certa poca elasticità nell’adeguarsi alle situazioni tipica dell’età avanzata. Un insieme di ragioni, immagino, che porta a prendere rischi davvero inutili. E bisogna pure discuterci aspramente, va’ a capire. Molti, invece, hanno capito subito. La maggioranza. Spero sinceramente non inaspriscano le regole di comportamento, perché l’esercito che distribuisce il cibo è davvero a due passi da qui e io, se posso, preferirei non finire in quella situazione, con tutto ciò che ne consegue. Se quindici giorni fa mi avessero detto che sarebbe stato chiuso il Paese e che ci saremmo rintanati tutti in casa non lo avrei, mai, ritenuto possibile.
Oh, stronzoni che siete in giro a Milano e provincia, vedete di andare e stare a casa, che qui nel resto della Lombardia noi ci stiamo facendo un culetto così da dieci giorni e non abbiamo nessuna voglia che le nostre possibilità vengano ulteriormente ristrette. Chiaro?
Oggi spesa. Frutta e verdura, non supermercato, perché vivaddio non è possibile credere alle notizie che la vitamina C guarisce dal virus e non avere le arance. Parto con lo zaino da trenta litri, due borse giganti della coop, un bauletto, pronto al trasporto perché ho da rifornire almeno cinque persone/nuclei familiari, il che fa un sacco ma un sacco di frutta e verdura. Perché l’imperativo del periodo non è solo andare a fare la spesa uno per tanti ma è anche prendere un po’ di roba in modo da andarci il meno possibile. Il segno di come il messaggio sia stato ben compreso è una telefonata che arriva al mio amico fruttarolo appena entro: una persona anziana che richiede consegna a domicilio, salveee, vorreeeeei una mela… un pomodorooo… una testa d’aglio. Può venire subito? Il fanculo è sospeso nell’aria ma è palpabile, se ne sente il profumo. Ovviamente il signore chiama tutti i giorni per lo stesso tenore di ordine e come lui sono frotte, legioni, stormi, greggi sterminate. Ma verrà, mioddio, un virus che colpisce tutti tranne le persone anziane e dovranno andare loro a fare le cose? Accadrà? Guarda giù, o signore. Vorrei però vedere la scena, perché il fruttarolo resterebbe lo stesso, almeno fino al momento del plateale suicidio. Serve anche in questo caso raziocinio e pianificazione: pare, per fare un esempio, che tra un po’ di tempo possano arrivare meno arance, sembra ci sia un problema con la raccolta, troppo vicini l’uno all’altro. Posso capire, immagino ci possa essere anche una soluzione agevole, nel dubbio prendo quaranta arance (se paiono tante ricordo che agisco per cinque nuclei oltre a me) e siccome io e i fruttaroli siamo amici, mi avviseranno per tempo e me ne terranno via qualcuna. Sì, privilegi, esatto! Come la parte migliore del macellaio di Moretti, esattamente. Ma me lo sono guadagnato a colpi di arance, non provo rimorso.
Poi il giro della consegna, breve ed efficace. Molta polizia, carabinieri, vigilanza in giro ma non ho ancora visto fermare quasi nessuno, in effetti i comportamenti in città mi paiono disciplinati e attenti, tendenzialmente. Chiaro che se una persona anziana gira in auto dà nell’occhio, se poi ha su un’altra persona e sono entrambe sedute davanti senza mascherina, allora la fermata è assicurata. A proposito: come noto, serve l’autocertificazione per uscire di casa (lo sto rispiegando al me del futuro che non ricorderà) e poiché a me serve, raramente, per a) fare le spese per me e congiunti vari, b) andare occasionalmente in ufficio a prendere qualcosa che mi serve per lavorare a casa, c) andare in farmacia e quasi null’altro, allora ho diligentemente compilato tre certificazioni già pronte, cui mancano solo data e firme, e una generica compilata con la parte anagrafica. Ne ho stampate varie copie – andando appunto in ufficio, non essendo io dotato di stampante a casa – e così mi sono premunito. Quando il governo l’ha modificata, io ho rifatto tutta la pappardella, ristampando il tutto. Oggi siamo alla terza versione, quindi dovrei uscire di nuovo, andare in ufficio, stampare le quattro versioni in alcune copie. Lo farò, per carità, e come me molti altri. Siamo sicuri sia una buona idea ogni volta? Siamo sicuri che resti quella? Se no aspetto direttamente la quarta versione, per fare economia. Comunque, ieri sono state denunciate ottomila persone uscite di casa senza un valido motivo, in aumento rispetto al giorno prima. C’è in giro parecchia gente che non ha capito con cosa abbiamo a che fare. Ma non solo stolti, anche avveduti. Non stavolta, però. Ne parliamo domani, magari.
Oggi c’è più movimento per strada. Devo fare i calcoli o controllare: certo, è lunedì. Giorno lavorativo, comprensibile ci sia più gente in movimento. Che poi, lavorativo… Io ci ho messo poco a organizzarmi per lavorare a casa, documenti, pc, connessione, vpn, cose così, alla fine abbiamo chiuso l’ufficio ormai quasi due settimane fa e tutti a casa, a lavorare. Il problema è che la prima settimana sono saltati tutti gli appuntamenti – consulenze, incontri per lavori nuovi, preventivi eccetera – e la seconda il lavoro è proprio svanito. Puf. Nel senso che non è entrato assolutamente nulla di nuovo. Ovvio, tutto chiuso, nessuno investe o promuove alcunché. Occhei, di buzzo buono esaurisco gli arretrati, aggiungo qualche cadò non richiesto, sistemo cose che son lì da sistemare da un bel po’ e, mmm, niente. Non entra niente. Che è un bel paradosso, a pensarci: in ospedale e in tutto il settore sanitario non sanno da che parte girarsi, porelli, fanno turni massacranti, travolti dalla marea di ricoverati, lavorano bardati che nemmeno i cosmonauti, e io – come molti altri, direi – sono costretto a casa a domandarmi se guardare una serie tv o sbrinare il freezer. E noi agli arresti domiciliari siamo la maggioranza (in questi giorni silenziosa, sì). Che poi, pensando alle persone investite da superlavoro o da lavoro esposto al contagio in questo periodo, ci sono anche i signori delle consegne di alimentari a domicilio, i dipendenti dei supermercati, i farmacisti, gli addetti alle pulizie stradali (a proposito: sì, adesso sanificano anche le strade ma non è perché il virus si attacca all’asfalto, non si sa bene nemmeno se serva ma le persone sono più tranquille se vedono l’operazione), i negozi di alimentari in generale, le edicole, i tabaccai, tutta la logistica della grande e media distribuzione alimentare, i produttori di mascherine e il signor Amuchina, insomma eccetera. Un sacco di gente. E noi a casa, a trascinarci dal divano alla sedia con una bottiglia di vino in mano, senza ormai nemmeno sapere che giorno sia. Esagero ma non poi tanto. In questo momento, il ministro ha annunciato che da ora basterà la laurea in medicina per essere abilitati, così dovrebbero esserci diecimila medici in più a breve. Bene, fatto bene. Poi a buriana passata ne riparliamo con calma, che il chirurgo che mi opererà vorrei avesse fatto tutto per bene.
Oggi è formalmente il giorno nove dalla chiusura della Lombardia, dò per scontato che i primi giorni non siano stati del tutto utili, ma insomma se da ignorante conto quattordici giorni di incubazione del virus posso immaginare che, diciamo, tra una settimana o giù di lì la reclusione qualche risultato, seppur minimo, dovrebbe darlo. Per ora no, anzi, ieri c’è stato il più alto numero di morti in assoluto dall’inizio dell’emergenza, e un numero di contagiati in calo (complessivamente, qui invece è un disastro, aumentano vertiginosamente). Che vuol dire? Niente, per il momento, significa che i dati sono ancora altalenanti e non sono interpretabili come una tendenza. Occhio a non farsi prendere dalla fretta.
Tornando alla questione lavoro evaporato, è uscito oggi il testo del decreto con le misure economiche di sostegno durante la crisi dovuta al virus, si chiama ‘Cura italia‘, che buffoncelli. E io, ancora una volta, ringrazio il cielo che tutto ciò non sia accaduto un anno fa, con quel governo, quella ministra della salute, e quello là, oltre a tutto. Oggi avremmo l’esercito in strada con proiettili di gomma e idranti. Ancora lavoro: da oggi nella farmacia di fianco a casa mia non si entra nemmeno più: si sta sulla porta o allo sportellino per le notturne e si grida ciò che si desidera acquistare, da dentro fanno le cose e consegnano a distanza. La coda è sulla strada. Noto che le persone, in generale, sono più tranquille se indossiamo tutti la mascherina. Non importa se serva o no, anche in questo caso, sono più tranquille. D’accordo.
E poi è primavera, dura stare in casa. Si vede che scalpitiamo, sono anche ottimi giorni di sole e a parte mattina e notte fa un caldino sempre più interessante.
Ho appena scoperto che la macchina fotografica del mio telefono va in tilt fotografando fiori colorati, come il giallo qui sopra. Una macchia di colore. Ah, ma i cinesi mi sentiranno anche per questo, una volta libero! Una notizia molto interessante: in una sola settimana l’acqua dei canali di Venezia è tornata limpida. Cioè si vede il fondo. E i pesciolini. E i cd di Rondò Veneziano gettati via. E i mantelli di Casanova. Lo so, roba da non credere. E tutta la situazione inquinamento, satellite testimoniante (abl. ass.), è migliorata di molto. Che bello sarebbe se imparassimo davvero qualcosa da tutto ciò.
Otto giorni fa ero fuori a cena. Dio, era bellissimo, in pratica funzionava così: c’erano dei posti in cui le persone, chiunque, poteva andare a mangiare. No, senza portarsi le cose da casa, le cucinavano loro, meglio di solito di come si fanno a casa, potevi addirittura scegliere tra diverse opzioni e poi mangiavi lì. Avevano anche dei vini e dei dolci buoni, di solito. Aspetta, aspetta: e si stava in compagnia. Con le altre persone, al tavolo, di solito a quaranta centimetri l’uno dall’altro, a volte meno. E ci si poteva toccare, sfiorare, baciare alla fine. Eh, lo so, ma era così ed era bello, perché si mangiava insieme e si stava bene. E lo potevi fare tutte le volte che volevi. Sì, anche a mezzogiorno. Sì, soprattutto il sabato e la domenica. Poi pagavi e andavi a casa. E la volta dopo cambiavi posto, a volte anche in altre province o, tieniti forte, regioni. O stati. Pazzesco, eh? Lo so, stento a crederlo pur’io.
Oggi ho visto l’autostrada più trafficata d’Europa nel tratto più trafficato dell’autostrada più trafficata d’Europa.
Ora: tutte quelle belle volte in cui mi sono detto aspetta aspetta senti che silenzio… Già, ma non era il silenzio, il supersilenzio di questi giorni, era un silenzio con il rumore di una macchina di fondo, qualche voce, un aereo, una sirena, un cacchio di coso che facesse qualche tipo di rumore. Adesso no. Stamattina, poi, non c’era davvero anima viva in giro e il silenzio era totale. Ecco, quando è così io ho un po’ paura. Forse paura no, sono inquieto. Perché un conto è stare da solo quando sei in mezzo alla folla, giusto, sacrosanto, e un conto è stare da solo perché sei da solo. Tutta un’altra cosa. Prima erano tutti dei rompimaroni e ora – è bastata una sola settimana di arresti domiciliari – mi mancano. E poi ti odio e poi ti amo. E poi ti odio.
Mi sono fatto la giustifica, dicendo nient’altro che la verità, e sono andato a lavorare in giardino. Ho scavato, ho tagliato, ho potato, ho strappato, ho divelto, ho ostiato, ho cesoiato, solo chi non ha mai lavorato davvero in giardino pensa che la natura sia una nostra graziosa compagna: la natura va stroncata, altroché. Il giardino con le rose in natura non esiste, non esiste l’erba, non esistono i fiori, in natura esistono gli infestanti, i rampicanti, le erbacce, i cosi che crescono come degli indemoniati appena mi giro un momento. Questa è la natura. Altro che Leopardi. Anzi no, ovviamente lui aveva ragione ma volando un pelo più basso si comprende di più l’atteggiamento dell’agricoltore professionista: se non pulisci con la scopa l’aia tutti i giorni, entro otto mesi troverai tutto coperto di terra ed erbacce. E in cinquant’anni le città diventano città sepolte e poi Machu picchu. Una delle mie letture preferite a questo proposito è Gardenia, una rivista in cui delle signore che hanno sposato un erede Medici vivono in residenze secolari, hanno stuoli di paesaggisti, architetti del verde e giardinieri al loro servizio e dicono: adoooro l’odore della terra (tevva) sulle mani. Certo.
Ho un’amica ucraina che quasi quotidianamente mi gira degli audio che le hanno a sua volta girato su (indovina?) esatto: whatsapp. L’altro giorno era la vitamina C, una roba tipo: mangiate arance, perché ancora non lo sa nessuno tranne noi cinesi ma il virus muore con la vitamina C. Ed è andata anche bene che erano arance e non, che so?, pezzi di sterco. Oggi invece è l’asfalto e il virus che, tenace, resiste per nove giorni incollato alla strada. Complimenti. Ovviamente smentisco il tutto e la mia amica è sollevata perché, effettivamente, non riesce a capire cosa sia reale e cosa no, causa la lingua complicata. Mi sfugge il divertimento di mettere in giro delle bufale di questo tipo, davvero non capisco. Fosse: per sconfiggere il virus dovete spogliarvi, vestirvi da arcieri nottinghamiani ma solo dalla vita in su, spalmarvi la testa di mostarda, imparare a memoria il discorso di fondazione dell’Udeur e gettare dalla finestra il mobile più pesante della casa, ecco così capirei. Se no non ne vale la pena.
Oggi è una settimana che siamo chiusi in casa, o quasi. Stare all’aperto oggi mi è servito, l’umore è migliorato, si vede dal diarietto. Bisogna farne un pezzetto alla volta, imparare passo passo a convivere con questa cosa per un po’. Sarà lunga? Eeeeeh, saperlo.
Questo sito utilizza dei cookies, anche di terze parti, ma non traccia niente di nessuno. Continuando la navigazione accetti la policy sui cookies. In caso contrario, è meglio se lasciamo perdere e ci vediamo nella vita reale. OccheiRifiutaCookies e privacy policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.