
Aiuto: non è una questione geografica.

Aiuto: non è una questione geografica.
Cheppalle. Sempre troppo pochi che si prendano la briga di capire prima di parlare. Non importa chi sia, importa il concetto: Demi Lovato dice di sentirsi una persona non binaria e chiede di riferirsi a lei, d’ora in poi, con il pronome ‘they/them’ (“Demi Lovato identifies as non-binary and changes pronouns to they/them“). A questo punto, Demi Lovato la si può chiamare o no, who cares?, ma la richiesta resta valida.
Meno validi (euf.) i titoli giornalistici da noi (Demi Lovato: “Sono una persona non binaria, datemi del ‘loro’”, Deejay.it, Repubblica e un milione di altre testate) e i commenti conseguenti, tutti giù a ridere per quel ‘loro’ plurale. Peccato che non sia così, la traduzione è del tutto impropria, è un singolare neutro, il ‘singular they’, non potendosi utilizzare l”it’, riferito a cose o animali. Tutto qui ma in rete (giornali prima e social poi), intanto, infuriano le cretinate.





Cattivo giornalismo, cattivi lettori.
E questi sono i democratici e progressisti, vero Mentana?, che le cose le capiscono (avrei potuto citare decine di testate). Non che a destra sia meglio, ma guarda te il Giornale che combina:

Hanno provato a capire. Loro.

Perché non vorrei certo lasciare al male l’ultima parola.
Oddio, è forte, non potrei resistere se fosse davvero così: far sparire Mario Biondi ascoltando Radio Cremona International. Tralasciando i toni da protezionismo destroide di ciò che è nazionale, a prescindere, il concetto espresso da Biondi, peraltro soggetto coinvolto, presuppone un fatto: che la musica italiana sia buona e che la crisi che sta vivendo dipenda dal basso numero di passaggi in radio. Peccato non sia così.

La crisi è del sistema musica, i sottosistemi periferici ne risentono di più, e se poi, come è, la musica italiana è perlopiù molto, molto scadente, mal prodotta, priva di idee, ripetitiva e provinciale, allora davvero l’unico modo per tenerla in vita sarebbe ordinare l’autarchia musicale per legge. Libera nos domine.
Caro Biondi, la mia musica è quella di Capossela come quella di Gardel, di Lauzi come degli Who, di Guccini come dei Metric, di De Gregori come di Mozart, di sicuro la mia musica non è la sola italiana o, peggio, la tua perché siamo entrambi italiani. Fattene una ragione, fatevene una ragione e cominciate a pensare a musica migliore.
Quella è la via.
L’anno scorso, in piena pandemia, quel trombone del ministro dei Beni Culturali e del Turismo Franceschini aveva annunciato un’ideona, ovvero di creare «una sorta di Netflix della cultura», intendendo una piattaforma digitale per «offrire a tutto il mondo la cultura italiana a pagamento». La piattaforma sarebbe stata utile «in fase di emergenza», cioè in lockdown con le persone rinchiuse in casa, ma anche dopo. Questo in primavera. Poi Franceschini s’è distratto e boh.
A gennaio, il 12, si è svegliato e ha annunciato il lancio della piattaforma. Lo sbocco naturale sarebbe stata la RAI, che con RAIPlay ha già un’infrastruttura di questo genere ma, ovviamente, il ministro ha detto che avrebbero lavorato con Cassa Depositi e Prestiti e Chili (di Parisi, ex centrodestra milanese). Vabbè, comunque la «Netflix della cultura» ha un nome: ITsART (da “Italy is Art”). Che, complimenti, fa veramente schifo, esattamente come il logo e come il piano tutto.

Il logo, se riesco a smettere di ridere, ha questa descrizione: «con una linea dinamica e moderna, evoca l’italianità con un richiamo al tricolore. Il punto davanti a IT, che ricorda l’estensione .it, indica la proiezione italiana sul web, sottolineando la visione digitale del progetto» e non c’è un concetto che non sia discutibile. Naturalmente non si sono premurati prima di verificare i dominii e il .com è occupato, di conseguenza hanno comprato il .tv. Ma non basta. Ecco cosa dovrebbe essere, secondo il lancio del ministro: «ITsART è il nuovo palcoscenico virtuale per teatro, musica, cinema, danza e ogni forma d’arte, live e on-demand, con contenuti disponibili in Italia e all’estero: una piattaforma che attraversa città d’arte e borghi, quinte e musei per celebrare e raccontare il patrimonio culturale italiano in tutte le sue forme e offrirlo al pubblico di tutto il mondo». Ma che bello (sarcasmo), e da quando? «Fine febbraio, inizio marzo». Infatti.

Quattro milioni stanziati dal ministero più i soldi del Fondo Unico per lo Spettacolo ma attenzione: non è previsto che ITsART produca contenuti originali, cosa che peraltro RAI fa, ma sarà semplicemente un «canale di distribuzione digitale». Che però al momento è nulla.
Ce ne sarebbe di che essere sconsolati ma fare esercizio di memoria potrebbe riservare ancora qualche soddisfazione: nel 2007 lo stesso ministero aveva lanciato con spreco colossale il sito italia.it e la presentazione di Rutelli in un inglese inesistente fa ancora accapponare la pelle e oggi il sito si presenta così:

Morto. Ma non basta, nel 2015, sempre Franceschini, presentò quella schifezza leggendaria, a partire dal nome, di verybello.it, qualcuno ricorda? Era un portalone per promuovere nel mondo e nei mercati specializzati nel turismo gli eventi culturali organizzati durante Expo, investimento sontuoso ed ecco il sito oggi:

In vendita. E ora la domanda: che fine farà ITsART, sempre ammesso che abbia anche un inizio? La risposta è facile, al netto del solito spreco del ministero della cultura e di Franceschini in particolare, visto che della piattaforma non convincono né l’idea, né il progetto (troppa sovrapposizione con la RAI e mancanza di un’idea originale) né il business plan, tant’è che pare che sia i partner tecnologici che quelli di contenuti che gli investitori si siano tirati indietro o non abbiano manifestato interesse nell’iniziativa. Bene, sempre molto bene. Un altro fiore all’occhiello, mettiamo a memoria. E continuiamo a mettere al ministero dei beni culturali dei fanfaroni, ignoranti, scalzacani e spreconi.
Secondo il ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) Matteo Villa, aver vaccinato così poche persone con più di settant’anni fa sì che la curva dei decessi continui a salire. Stando ai dati dell’Ispi, se l’Italia avesse vaccinato la popolazione più a rischio oggi la letalità si sarebbe abbattuta del 54 per cento, mentre con numeri così esigui la diminuzione è del 21 per cento. Purtroppo, questa differenza del 33 per cento si traduce in migliaia di morti che potevano essere evitate, in particolare tra i più fragili.
Naturalmente non ne risponderà nessuno.
Un interessante articolo di Francesca Coin per Internazionale sulle disuguaglianze del piano vaccinale.
Secondo Nino Cartabellotta della fondazione Gimbe, coloro che hanno ricevuto il vaccino senza averne diritto sono circa il 16 per cento del totale, più di un milione di somministrazioni.
Non ho parole.
Con la musica leggerissima: basta, abbiate pietà.
Tutti i dischi di platino che volete, sulla fiducia. Ma basta.
Cioè: possibile che si vada tutti sulla stessa cosa in questo modo? E che sia solo quella per un tot? E che poi scompaia tanto velocemente quanto è apparsa? Io non sono così e non ne posso più.
E da domani la Lombardia e un sacco di altre regioni cambiano colore in peggio.


Il formigometro.
Poi basta. Magari. Un giro delle figurine dei migliori sottosegretari di questo governo che mi pare abbia interesse per alcune cose e completo disinteresse per tutte le altre.
Grazie a AQTR.
Dunque. Franceschini è ministro per i beni e le attività culturali dal 2014, con una breve interruzione durante il Conte I. Di conseguenza, è il ministro della cultura che è rimasto in carica più tempo nella storia della Repubblica. E io dico: dev’essere bravissimo. Se no, mica si spiega. Sì, lo so che a me pare che sia a dir poco pessimo come ministro della cultura e che sia tutto impegnato a tessere trame tutte sue per la carriera ma di certo sbaglio. Sì, lo so che alcuni giorni fa alla sua ennesima riconferma le facce degli addetti ai lavori erano esterrefatte ma di certo sbagliano anche loro e le loro facce.
Da oggi ritorna alla carica di sottosegretaria di stato al Ministero per i beni e le attività culturali Lucia Borgonzoni, che lo era già stata nel Conte I, quando mancava Franceschini. Nota, oltre che per aver perso le regionali in Emilia l’anno scorso, per aver sostenuto che il Trentino confina con l’Emilia e per essersi data alla macchia appena perse le elezioni (zero presenze in consiglio, nonostante avesse giurato il contrario). Ah e per aver affermato che l’ultimo libro letto risale a tre anni fa. Ottimo, dritta alla cultura, senza indugi.
Negli anni Settanta e Ottanta alla cultura si mandavano i minchioni, tipo Gullotti, Vernola, Vizzini, Pedini, Ripamonti e così via. Oddio, anche nei Novanta e successivi, con Fisichella, lo dico? Lo dico: Veltroni, Melandri, Urbani, Buttiglione, Bondi, Galan e bon. Poche le eccezioni, era uno dei ministeri che si usavano per distribuire le cariche secondo Cencelli e far contenti tutti. Ecco, volevo indignarmi per la conferma del pessimo Franceschini e il ritorno della sciagurata Borgonzoni quand’ecco che mi sono accorto che no, ecco, è proprio la norma: avanti con i minchioni alla cultura. Tanto che vuoi che conti, in Italia? Il governo dei migliori, proprio.