minidiario scritto un po’ così delle cose recidive, ovvero perseverare nella pandemia: gennaio, il piacere del tampone, gli sveglioni di capodanno, il bianchino fatale

Buon anno nuovo. Sì? Alle otto e trenta ricevo il messaggio, Tiziocaio è positivo. Ah bene, ottimo. Ha appena fatto un tampone rapido, sta aspettando i risultati di quello completo. Io però l’ho visto poco, abbiamo mangiato insieme una fetta di pizza a pranzo in ufficio il 29 dicembre, venti minuti al massimo. Già. E quindi? Basta? No, non basta. Io avrei anche fatto un tampone il 22 dicembre, la cosa comincia a diventare ripetitiva. Trivigante, c’è poco da fare: altro tampone. Altrimenti, ti conosci, poi resti col pensiero e oggi devi portare le spese a casa delle persone, non si scappa. D’accordo, però: tampone rapido. Un po’ perché dovrebbe essere più che sufficiente, un po’ perché vorrei provare, un po’ perché domani è festa e ciao, poi. Rifletto, 8:37: cosa so, io, dei tamponi rapidi? 8:38: niente. Ho letto però che nelle regioni civilizzate – l’Emilia – li fanno gratuitamente nelle farmacie. Vado a chiedere nella farmacia sotto casa, suscitando peraltro un po’ di agitazione negli altri clienti, ma niente, non li fanno. E, mi dicono, forse c’è una farmacia in un comune limitrofo che li fa ma sa più di diceria e leggenda che di fatto dimostrato e, comunque, di sicuro in città no. 8:45: faccio una breve ricerca in rete, trovo un poliambulatorio, casualmente vicino a casa, che pare li faccia. Non prenoto, non telefono, vado. 8:51: passo all’isola ecologica, lo dovevo fare, sono uscito con i sacchi pieni di carta. Ore 9:02, entro nell’ambulatorio. Eeeeh, salve, lo so, non ho prenotato, vorrei fare un test rapidooo, ecco, mmm. Me lo fanno. Ma pizzicata-al-dito o tampone rapido, mi chiede la signora allo sportello? Non so, qual è il più affidabile e, insieme, il più piacevole? Tampone-dritto-nel-naso, va bene. 9:07: pago quaranta euro – Fontana, sappi che tengo i conti, ci vedremo alla fine – e non faccio in tempo a sedermi che vengo chiamato nella stanzetta. Ci credo, non c’è nessun altro. Mi siedo, solito stecchino ficcato nel cervello, due volte per simmetria, ore 9:09 sono in sala d’aspetto in attesa del responso. Ore 9:17: negativo.

Bravo, trivigante. Crisi risolta a tempo di record, isolamento evitato e, non ultimo, bravo perché anche stavolta, pare, non ti sei contagiato. E hai pure buttato i rifiuti in scioltezza, poi dicono degli uomini. Che poi, mi avrebbe dato più fastidio ammalarmi da Tiziocaio, che francamente sopporto poco, piuttosto che pigliarlo in sé. Anzi, mi avrebbe proprio scocciato, preferirei, se proprio, prendere il virus da persona simpatica e civile, piuttosto che da uno che non so dove sia stato o cosa abbia fatto. Metti che ha fatto il mona a capodanno in una festa abusiva, in barba alle regole, se poi infetta me mi girerebbero parecchio le balle. Quella festa sul lago di Garda, per esempio, a ballar da stronzi e credersi migliori e più furbi, pubblicando poi foto e video in rete, nonostante sul tavolo ci fosse un bel foglio grande che invitava, appunto, a non farlo. Svegli, proprio. O, metti, al bar. Due giorni fa entro timidamente in un bar per acquistare un caffè da asporto, apro la porta di una vetrina tutta appannata e dietro un tavolino, che serve a far barriera per gli avventori, almeno dieci ultrasettantenni, tutti chiaramente senza mascherina, impegnati in: compilazione della schedina del superenalotto; grattamento di ‘turista per dieci anni’ non vincente; sorseggiamento di bianchino di modesta qualità; partitina alle macchinette truccate; mano di briscola; tempo lieto di belle battute da bar. Giurerei anche di aver visto in un angolo, là in fondo, la Morte ghignante con la falce ma potrebbe essere una suggestione, in effetti. Tanto, anche se vincete danaro è inutile.

La barista, giovane, non si rende conto che sì, così sta incassando qualche misero euro in un momento difficile ma che sta, anche, sterminando la propria clientela futura, condannando così il bar al fallimento sicuro. Ma non basta: il marito della barista, lo so per certo, lavora in una residenza per anziani. Magnifico, e così il cerchio si chiude. Game-set-match. Resta da vedere da che parte prenderà fuoco la miccia, in questo caso. Andrà dal bar all’RSA o viceversa? O si scontreranno a metà, a casa della barista e dell’operatore? Magari si scambieranno due varianti diverse, facendo così doppio contagio e bingo su tutta la linea? Basta restare sintonizzati.


Le altre puntate del minidiario scritto un po’ così delle cose recidive:
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