Ieri ho sentito un bravo astrofisico divulgatore che mi ha spiegato che siccome il punto della densità infinita della materia del big bang non è che risponda propriamente a ciò che ora sappiamo, un modello che è stato proposto di recente e che potrebbe spiegare quel punto e altri, forse, meglio è questo:
il nostro universo sarebbe dentro un buco nero dentro un altro universo.
Ecco, a questo punto io saluto e chiudo, grazie a tutti, scendo che sono arrivato.
L’ho raccontata qui sotto: il cattivone Ek padrone di Spozzifai decide di investire nel settore più redditizio di tutti, le armi, e io non sono contento visto che, caso raro, dò lui dei soldi. Allora esploro le opzioni, le scarto quasi tutte per ragioni analoghe alla Ek-questione o per ragioni diverse – catalogo non all’altezza, per esempio – e alla fine la scelta cade su Tidal, per ragioni di proprietà, catalogo, qualità audio, app e client, non ultimo costi e comincio il periodo di prova di un mese gratuito. Ricreo la mia famiglia che, sono contento di dirlo, si è spostata compatta con me condividendo il ragionamento e le posizioni, e partiamo per le zone più liete.
Non è, la mia, ovviamente una famiglia tradizionale come quella qui sopra, bleah, noi siamo tutti mostre e mostri bislacchi. Controindicazioni, finora? Nessuna, grossomodo. Avendo settato la qualità massima di riproduzione dei brani – e con Tidal arriva fino al flac, se c’è – anche sul telefono gira tutto bene senza pause, anche se, ammetto, con le cuffiette questa cosa della maggior qualità non è che si percepisca poi così fino in fondo*. La controindicazione più evidente, per qualcuno ma non per me, è che Tidal si occupa di musica e, dunque, non ha altro, per esempio podcasts.
La cosa più importante, ora: le compile. Sì, le pleiliste, come le chiamate? Playlist. Che per me sono importantine, qui l’ultima. Si possono portare da una parte all’altra? Ebbene sì, lo sto facendo proprio ora. Esistono molti servizi che lo fanno gratuitamente ma, giustamente, con dei limiti: numero di pleiliste, numero di canzoni per pleilista eccetera. Siccome io non sono dilettante, ho bisogno di un servizio professionalissimo e nel marasma ho scelto Soundiiz: scegliendo la fatturazione mensile e pagandone solo uno, cinque dolla, sto trasferendo tutto da uno, il vecchio, all’altro, il nuovo. E funziona bene, anche con certi miei gigantoni musicali, con report finale in caso di errori. Pochi, comunque, dovuti a questioni di diritti sui cataloghi, in quella più grande tredici su millecinque, eh, quasi millessei.
Soundiiz fa anche un sacco di altre cose, per esempio niente male tiene sincronizzate le pleiliste su servizi diversi, e sono decine, esporta, clona e così via. A me importa poco perché mollo uno per l’altro, non tengo piedi in più scarpe ma una guidina è una guidina, dico quel che c’è. A proposito, per chi avesse voglia di smanettare un po’ e farsi la cosa in casa e aggratise, il modo c’è: su github.
Bene, credo sia tutto, il dipartimento gestione compile di trivigante.it ha fatto del proprio meglio, spero serva a qualcuno. Per chi vorrà ci troveremo di là o da qualche parte dell’audiosfera, tra i buoni senza le armi. Sono sempre trivigante e tutto quel che c’è e ci sarà è pubblico.
Per chi non ha di queste questioni capitali, buon per voi, qui abbiamo a che fare con cose difficilissime, come si vede. Mancano solo un paio di cose importanti, ancora.
*Ho appena scoperto perché: trasmettendo al bluetooth i files vengono compressi.
Certo che come ci si diverte ad Anversa… Tra l’altro, una delle più belle stazioni di sempre, eclettica e clamorosa, un grande piacere arrivarci e starci, vale il viaggio, compresa la panchina da attesa più lunga del mondo.
Fifty-nine seconds of anything, whether or not it has any intrinsic meaning and something to immortalize. Preferably with the smallest means possible.
Per l’ennesima puntata di “59 secondi di…”, la rubrica più complementare della carreggiata, un altro episodio fatto di soli cinquantanove secondi di qualsiasi cosa venga in mente a me o a voi, che abbia o meno un qualche significato intrinseco e che abbiate voglia di immortalare. Preferibilmente con i mezzi più ridotti possibile.
Fa già la caldazza bestiale ed è appena finita la primavera, stagione, e con essa la mia compila primaverile, trentesima. Stavolta i ragazzi, io, sono stati in giro, quindi le canzoni sono solo quaranta e la durata un paio d’ore e rotti, esattamente quanto serve per andare da Partskhanakanevi a Kutaisi con uno skateboard senza saperlo usare.
Sintonizzare la frequenza su un qualche FM, meglio se attorno ai 97 che era più bello, e lasciar andare. Già Fugue state di Vulfpeck alla terza mi dà un certo ritmo divertito, a me le compile servono quando sono in giro a zonzo per i paesi e le regioni o quando sto pulendo o potando, che allora le cose mi diventan più leggere. Eccole qua, tutte le compile: dicevo, son trenta, la cosa impressionante è che ciascuna son tre mesi, quindi il calcolo complesso mi dice che i brani sono finora 2.351 più i quaranta di ora 2.391, e i mesi novanta, novanta la paura!, per una quantità significativa di giorni si arriva a una media di quasi quasi un brano al giorno. Non malaccio, va’. Più meritevole la continuità che la mole, in questi tempi bulimici e incostanti.
Se la primavera 2025 nella moda si è caratterizzata per i look decostruiti, giacche con maniche fatte di stivali e corsetti fatti di giacche legate in vita, colletti al contrario e maniche-foulard, la primavera politico-social-economica del mondo non è stata un granché, a dire la verità (euf.) e, direi, nemmeno quella musicale. Per questo, occorre ripescare qua e là dai tempi migliori, magari New Order, Human League, Roberto Wyatt, Bronski Beat, Pixies, Richard & Linda Thompson e così via, quando poi invece i tempi migliori non tornano da sé, Beth Gibbons per esempio. Ho messo anche un remix inascoltabile, lo ammetto, chissà che avevo in testa quel giorno. Mah, mica si è inteligenti sempre, quel giorno mooolto meno. Ancora bella invece la dylaniana Epilogue di Cat Ridgeway e formidabili gli Ocean Colour Scene.
La stagione dei concerti è stata ridotta ma non modesta, i Wombats a Leeds e Badly drawn boy a Nottingham in un uno-due di fila niente male, i belli perché intimi e di gran valore Angela Baraldi e Meganoidi a Milano, due cose diverse non un solo concerto, non meno piacevoli. A breve si apre la stagione all’aperto con Offlaga Disco Pax e Bloody Beetrots e io, come si cambia invecchiando eh?, stavolta vado quasi più per il secondo che i primi, con rispetto parlando. Da adesso parte la compila dell’estate, uno, due, via.
Alle 04:42 ora italiana, che sono le 02:42 del Tempo Coordinato Universale che è quando andiamo a dormire o facciamo merenda tutti insieme alla stessa ora, è giunta per decreto presidenziale l’estate.
Facili previsioni: sarà l’estate più calda di sempre, e non c’è un cavolo da ridere; Garlasco non ce la toglieremo dai piedi di sicuro per tutta la durata di essa; i disastri proseguiranno, alimentati dagli sfrontati criminali e dalla noia accaldata del resto del pianeta boreale. A me l’estate non è che mi entusiasmi, non capisco quest’aria diffusa da spiaggia rintronata per cui si riproduce la riviera in città e la città in riviera, per fare le stesse cose di qua e di là ma in ciabatte e sentendo i Matia Bazar o Giuni Russo, proprio non capisco. Gli stessi che si lamentavano del freddo poco tempo fa desiderando il caldo, ora si lamentano del caldo. Sarà che l’estate amplifica le doti italiane famose nel mondo e per cui io li odio, questi italiani veri, proprio non li posso vedere. Anche col freddo, in effetti. Per cui proseguirò a circondarmi di persone notevoli e buone, a fare i miei viaggi dove le persone non vanno, a visitare i posti nei giorni e nelle ore strane, a fare le mie cose in modo non convenzionale. Dai che mancano solo tre mesi alla stagione più bella di tutte.
Come le palle di Mozart – che comunque se n’era andato – a Salisburgo, il testone di Beethoven a Bonn, idem, trovato la gloria altrove, il Dante a Firenze cacciato in esilio, la faccenda delle glorie locali è interessante da osservare, più di frequente un vero spasso. Non è raro che una celebrità se ne sia andata dalla città natale sbattendo la porta – nemo propheta, d’altronde – e abbia trovato la gloria altrove, spesso parlando anche piuttosto male nei bar malfamati del proprio luogo di provenienza. Ma non importa, a celebrità deceduta tutto è bello, tutto va bene, avanti con le celebrazioni e il merchandise, chi se ne impippa? A Wittenberg le glorie locali sono numerose ma alcune davvero poco spendibili: i Cranach, piccolo e grande, figuriamoci; Melantone chi era costui? Il principe illuminato di Sassonia non mi pare proprio; Lutero sì, lui sì, puntiamo su quello. E il bello della gloria locale è che con la sua gloria, infusa come luce che si spande, illumina tutto quanto, qualsiasi angolo, qualsiasi prodotto. Perché quindi non promuovere i famosi coltelli di Lutero, tra cui l’imperdibile multifunzione copia di quelli svizzeri?
O il set da cucina con i manici colorati. Che avrà pur mangiato tra la sessantaduesima e la settantesima tesi, no? A proposito di quello, ecco l’immancabile Playmobil – ricordo che siamo in Germania – con le fattezze dell’eroe. Oddio, a essere sinceri potrebbe essere un qualsiasi governatore dei Paesi Bassi tra Cinque e Seicento o un estensore della prima costituzione americana o un poeta inglese tipo Milton, se non fosse per l’Antico Testamento che ha in mano e sul quale ce l’hanno dovuto proprio scrivere perché si capisse.
Il sospetto che Playmobil abbia in questo caso risparmiato, optando per il modello versatile, viene. Così non è per il pane con miele di Lutero, proprio quello che lui mangiava cinquecento anni fa per tenersi in forma e affrontare la temibile Chiesa Cattolica Romana e batterla sul suo terreno. Certo, aveva anche le carte con le tesi, proprio lì a destra. E lì a fianco la borraccia, un pallino una tesi.
Le glorie locali postume sono un argomento di mio gran gusto, ancor più quelle alla Girolamo Savonarola a Firenze, per esempio, che prima l’hanno bruciato sul rogo, manifestando un certo astio a parer mio, e ora ci sono le statue, qualche pupazzetto, magari una pizza e la cosa pare risolta, credo il Comune si sia scusato. Certo, comodo dopo, vallo a dire a uno arso vivo.
Ultimamente mi interesso di nuove forme dell’abitare, quindi sulla mia mappetta delle cose da vedere avevo fatto una bella crocetta su Lößnig, un quartiere a sud di Lipsia. Perché lì c’è il Rundling, chiamato anche scioccamente Nibelungensiedlung, un’area residenziale circolare in cui tre cerchi concentrici di edifici costituiscono il nucleo abitativo. Neolitico, direi, una Stonehenge catastalmente residenziale, in stile Bauhaus o, a essere più preciso, Nuova Oggettività, ovvero tra il 1929 e il 1930.
Da dentro si fa fatica a percepire gli anelli, solo al centro a Siegfriedplatz si riesce, e ridagli con Wagner, fissati. Anche le aree rettilinee attorno sono nello stesso stile e, devo dire, a me non spiace nemmeno, nel senso che la disposizione e le proporzioni sono pensate per favorire l’aggregazione strutturata tra le persone.
Ecco, forse qualche pianta in più. Sarà edilizia convenzionata o, magari, case popolari assegnate dallo stato? Aggregano meno i palazzoni epoca-DDR lungo le direttrici principali, dei corvialoni pazzeschi che hanno in comune con molta edilizia italiana la matrice ideologica, purtroppo di sinistra, almeno nominalmente.
La cosa stupefacente è che, spesso e come nel mio caso ora, basta svoltolare un angolo e tra due quartieri ad alta densità, magari, c’è un parco a bosco e, chissà, un laghetto. Mi dirigo verso il cimitero sud di Lipsia e attraverso un vero e proprio bosco in cui, a un certo punto, incontro Bambi.
Lo so, lo so, dà fastidio anche a me che questi, che poi votano AfD, abbiano il parco urbano con i cerbiatti che esci di casa e in due minuti sei in un altrove per davvero. Arrivando al cimitero, il Südfriedhof, che è noto per le celebrità qui sepolte e del lungo elenco io non ne conosco nemmeno una di sfuggita, leggo dalla bacheca di fatti incresciosi, quali i ripetuti atti vandalici alle tombe monumentali. Ecco l’antisemitismo o il neonazismo, mi dico, e invece no: furto di rame, bronzo e metalli vari. Brutto segno, significa banalmente che una fetta non trascurabile della popolazione fa davvero fatica, questo un po’ si lega, o io penso lo faccia, con le considerazioni di ieri sulla crescita di AfD e le disparità con la Germania che sta a ovest. Mi sto facendo un’idea, non sono così convinto c’entri strettamente l’ideologia, Weidel è pur sempre una lesbica che sta con una donna singalese e con due bambine adottate. Penso sia determinante l’elemento economico e il senso di abbandono e sfruttamento da parte della Germania dell’ovest che si tramuta, banalmente, come ovunque in risentimento contro gli immigrati e chiunque sia ritenuto direttamente o lateralmente responsabile di qualunque sottrazione di risorse. Come poi Weidel possa guidare un partito contrario ai matrimoni omosessuali resta per me un vero mistero.
Svoltolo ancora, so dove sto andando, e sbatto contro il Völkerschlachtdenkmal, il monumento della battaglia delle Nazioni, ancora. Entro da dietro e salgo novemila gradini senza incontrare nessuno per andare a vedere dalla cima la piana, quando un pur gentile nibelungo mi chiede il biglietto e io non ho mica visto indicazioni salendo e lui punta il dito novemila gradini più in basso verso un edificino che dovrebbe vendere i biglietti. E secondo te, nibelungo, io faccio novemila e novemila e novemila gradini ancora per vedere all’interno questo panacchione ultranazionalista? Adios, amigo, ci vediamo. Così mi basta, leggo qualcosa sulla battaglia, una delle due scoppolone di Napoleone che ancora a Sant’Elena sosteneva di aver vinto, significativa perché fu la battaglia più ampia per uomini e armamenti della storia fino alla prima guerra mondiale. Delle ‘Nazioni’ perché c’erano proprio tutti. Ed è questo il motivo per cui da Mosca decisero di tenere il monumentone panettone, perché la vittoria era anche loro. A questo punto una mostrofoto devo metterla:
Novanta metri, ripeto. È davvero ora di andare a Wittenberg. Lutherstadt Wittenberg a voler essere corretti che, appunto, significa la città di Lutero. Il quale nacque poco distante da qui, predicò a Wittenberg, teologizzò, appese le famose tesi alla porta della chiesa del castello, diede inizio alla riforma protestante. Non da solo, ovviamente, non unico e forse il gesto delle tesi non accadde mai in questi termini ma la sostanza è così. Il miracolo è che a Wittenberg in contemporanea c’erano Filippo Melantone, Lucas Cranach e il principe di Sassonia Augusto, che tese tutto ciò possibile. E tutti abitavano sulla stessa via principale e quel che Lutero e Melantone facevano all’università e in chiesa poi Cranach, i Cranach, rendevano visibile e comprensibile a tutti. Per fare un paragone delle stesse dimensioni per concentrazione, direi Mantova sotto i Gonzaga con Giulio Romano, Mantegna e Baldassarre Castiglione nel raggio di pochi metri nel Cinquecento. Oggi è buffo percorrere Collegienstraße e vedere quanto abitassero vicino. Ovvio, era lo stesso Augusto che fornì loro abitazioni comode e a tiro, tenendoli a sé senza cedere alle lusinghe delle altre corti del Sacro Romano Impero. Per cui la città è un gioiellino, piccolo ricco e curato, cui non manca vicino lo straordinario fiume tedesco, l’Elba.
Melantone, il più formidabile grecista tedesco e latinista secondo solo a Erasmo da Rotterdam, sposò a un certo punto le tesi di Lutero per la riforma protestante, se ne fece latore poderoso ed ebbe la fortuna, a differenza di Lutero, di essere ancora vivo alla Dieta di Augusta del 1555 che sancì il principio del “cuius regio, eius religio”, ovvero la permissione delle confessioni religiose cattolica e protestante, un trionfo. La sua casa è qui, ancora integra, anche se durante la DDR sarà andata facilmente in rovina. Un raffronto, la casa dei Cranach nel 1990, alla caduta del muro:
E com’è oggi:
Mi immagino dentro. È quel maquillage, ovviamente spesso necessario, cui mi riferivo ieri, la cancellazione di un periodo culturale e architettonico che, certo, non ha brillato per leggerezza né costituisce attrattiva per la gente d’oggi che vuole le esperienze genuine. E, allora, doppio carpiato all’indietro saltando secoli in nome della genuinità. Tutti contenti.
Qualcuno si fa fotografare sulla tomba di Lutero, sulla quale, a differenza di quella di Melantone, c’è qualche fiore fresco. Evidentemente è ancora apprezzato e le variazioni delle confessioni protestanti sono tante e tali che un cattolico romano di formazione stenta a racapezzarcisi. La famosa porta delle tesi, dando per buono il gesto, non esiste più, come la chiesa, distrutte entrambe durante la guerra dei sette anni. Adesso c’è una chiesa neogotica di fine Ottocento e una porta di bronzo sulla quale sono scolpite le tesi. Più interessante la chiesa della città, la chiesa madre del luteranesimo, soprattutto perché è tappezzata di Cranach, tra cui una notevole pala d’altare richiudibile. A questo punto, dopo l’indigestione di Cranach giovani e vecchi, sarei pronto a raccattare le mie pezze e tornare a casa. Prima, una lunga camminata sull’Elba, un pasto del giusto, un ultimo sguardo e un saluto. E non senza non aver mangiato un dolce tipico di queste pianure sabbiose tra Sassonia, appunto, e Brandeburgo, che per la sua combinazione di elementi del tutto insensati dice più della Germania di tante guidine improvvisate: una panna cotta agli asparagi con l’aggiunta di Baileys e composta di fragole (Spargel-Baileys panna cotta mit Erdbeerragout). Alla prossima, grazie a chi ha seguito.
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