minidiario scritto un po’ così di un paio di giorni in giro. Uno su quattro. Le emme: mobili, motori, musica.

Un’occasione di lavoro e via. Dico ‘occasione’ perché lo sono proprio, una trattativa veloce, dovremmo vederci, videoconferenza? non scherziamo: vengo da voi. Ovunque c’è possibilità di attaccarci qualcosa, luoghi, giri, panorami, io vado sempre anche se poi il lavoro non lo prendo. Un castelletto, una chiesuola, un palazzetto, un mare o montagna salta fuori sempre. Stavolta è Pesaro, mi ci butto al volo. A seconda delle generazioni, l’associazione immediata è a Rossini o, come capita a me, alla Scavolini. La cucina degli italiani, intendo, come diceva la soubrette sovranista. Belli gli anni della Scavolini Pesaro e qui intendo il basket, hanno un palazzetto da far invidia, oggi sovradimensionato. Dicono qui che il covid sia arrivato a Pesaro con la coppa Italia di basket del 2020, a febbraio. Partite, cene e via, molti ci hanno lasciato le penne, raccontano. La coppa Italia c’è anche ora, talmente il posto è strutturato, ma manca la squadra di casa, lontana dai fasti del tempo delle cucine, oggi è di un industriale del prosciutto. Andrò stasera, son qui, ci mancherebbe. Il covid c’è ancora ma almeno adesso lo sappiamo.

I tempi belli, qui, almeno tra quelli recenti, sono quelli dei mobili: Berloni, Febal, Scavolini, erano centinaia, moltissimi operai, fabbriche, vendite in tutto il mondo e fatturati colossali. Oggi ne son rimaste poche e, mi spiegano, lavorano per Ikea e Mondo convenienza secondo il modello globale: i grandi marchi ti ricoprono progressivamente di lavoro, così tu industriale molli le altre commesse, converti tutto per produrre per loro e solo allora i colossi dettano le condizioni, spesso capestro. Ma a quel punto c’è poco da fare, non sei più sul mercato. E la Benelli? Eccome, la Benelli, motori e corse, tradizione ormai secolare, passando per Morbidelli, padre e figlio, e Rossi, a pochi chilometri da qui. La fabbrica, la Benelli intendo, l’han tirata giù, stava tra la città e il mare, c’era pure l’anello di collaudo, mi dicono bellissimo. Han fatto il museo ma nella fabbrica avrebbero potuto fare grandi cose, un polo fieristico per riprendersi il predominio locale, ora saldamente in mano a Rimini. Ecco un punto. Sembra Romagna, l’accento è diverso ma non troppo, fanno la piadina, il mare ha quel colore, corrono uguale ma è un altro mondo, se uno guarda bene fino in fondo, e si scocciano se vengono confusi, giustamente: sono Marche, altra cosa, Malatesta, Montefeltro, il baricentro è altrove. Quanti parlano di Valentino Rossi pilota romagnolo, buonanotte.

Le colline arrivano al mare, e sono i primi rilievi da Trieste in qua, i villini liberty, quelli rimasti, rimandano a un’epoca in cui la villeggiatura contemplava pochi bagni e molti ombrellini, l’hotel Bristol anche, quando gli inglesi portarono da noi l’idea stessa della villeggiatura, perché qui al massimo si coltivava sopra e si pescava sotto, il diletto era una cosa sentita dire. È vero che la stagione musicale rossiniana ora dura sì e no una settimana concentrata, mentre una volta cinquanta giorni, e porta poco a sentire qualche oste, però ai tavolini del bar ci sono persone che discorrono di opera, molti hanno custodie di strumenti musicali, ogni cittadina ha un teatro molto più grande del Comune, i manifesti degli spettacoli sono ovunque, Eros Pagni con l’Enrico IV in questi giorni, si percepisce che sono cose che si respirano fin da piccoli. Sarà niente ai tempi nostri ma a me, poco abituato, pare ancora molto.

È proprio la città della musica

In un posto che si chiama proprio piadinificio mi portano una piadina, ovvio, con fare rituale e atteggiamento mistico, come mi stessero portando qualcosa di consacrato. Naturalmente non dico che a me piacciono i primi due morsi, poi godo meno, piglio e mangio zitto zitto. La casa di Rossini è poco più avanti, molti negozi hanno la ragione sociale presa da arie del maestro, pure le lavanderie richiamano il Barbiere. Figaro. D’altronde pure la Tebaldi era di qui, anche se quasi tutti la pensano di più su, di Forlani non parla nessuno, maledetta schiumetta agli angoli della bocca. Però i giardinetti pubblici intitolati a Bettino Craxi ci sono, devono avere avuto dei trascorsi politici movimentati, negli ultimi anni. I figli non han più la passione, mi dice il geometra dalla bella casa, e forse ha ragione, almeno riguardo a ciò cui sta pensando lui. O, almeno, non hanno le stesse passioni, meno tradizionali. Io ne ho ma mi riconosco, come figlio di cui parla, non le seguo in modo verticale. Lo lascio dubbioso e, probabilmente dandogli ragione, me ne vado al palazzetto, spensierato a metà.


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