lo Sphere

Beh, è fichissimo.

È il nuovo palazzetto di Las Vegas, esattamente lo Sphere at The Venetian Resort. Centocinquanta metri di diametro, ventunmila posti dentro per sport o concerti o altro, fuori centosessantaquattromila altoparlanti e, ovviamente visto che è la caratteristica più visibile, è tutto ricoperto di pixel.

Quindi ci si proietta, mmm trasmette?, qualsiasi cosa si voglia, a seconda.

Uno degli effetti più belli è quando si proietta quel che sta dietro.

Bellissimo. Sta qui. Un secondo, o seconda, è in progetto a Londra. Quello americano sarà inaugurato il 29 settembre con un concerto degli, mah, U2. Infatti immagini dell’interno finito non se ne trovano, al momento.
È più la gente che va a vederlo fuori che dentro, notevole.

aspettavo questo momento dal 1987

Tardi io, tardi lei, noivoiessi, finalmente Suzanne Vega dal vivo.
Anche se tardivo, così posso non includerla nei miei concerti mancati.

In realtà, nemmeno tanto tardivo, anzi: un concerto molto bello e per nulla nostalgico o dall’aria ripetitiva. Lei è decisamente una ragazza vivace di sessant’anni che fa quel che le piace, convintamente, e si percepisce da disco e decisamente dal vivo. Io che ne sono innamorato dal 1987, ovviamente Luka anche se non ne intuivo granché il senso, oggi anche di più, per bravura e fascino.
Accompagnata da Gerry Leonard, il chitarrista degli ultimi anni di Bowie, che con l’elettrica dà spessore all’acustica di Vega, reinterpreta e riarrangia in maniera brillante un sacco di suoi pezzi (spiritosa, alla terza una cosa del tipo: “e ora una vecchia canzone, così non staremo a chiederci ansiosi quando suonerà le vecchie”), qui una Tom’s diner abbastanza simile, per capirsi. E poi balla, si diverte, esattamente come me, noi. Non mancano i momenti più seri, Last train from Mariupol, apprezzo anche un paio di incursioni nei dischi che prediligo, 99.9F°, Nine Objects of Desire, i suoi testi sono sempre interessanti, musicali e ben scritti. D’altronde, si vede chi viene dalla letteratura.
Ben fatto me, ben fatto lei, noivoiessi, ottima occasione, ne son contento. Certo che a New York nel 1993…

schiavo son dei vezzi tuoi

Serata d’opera all’Arena di Verona per il Rigoletto.

La cosa particolare è la messa in scena, che il regista – Antonio Albanese, guarda te, e io tutta la sera a pensare a Frengostop forse ma forse – ha voluto nel Polesine degli anni Cinquanta. «Omaggio al cinema neorealista del Dopoguerra», dicono, è che comunque è tutto un “Conte” e “Duca”, a me non pare aggiunga nulla di utile. La musica comunque è notevolissima, non lo scopro io, molte arie che conoscevo le risento, finalmente collocandole, grandi interpreti. Ammetto che alla terza ora di struggimento amoroso perdo la concentrazione e vedo uno col cappotto che vuole qualcosa da uno senza cappotto, davanti a una donna che non credo di aver mai visto prima, finché non muoiono pressoché tutti.

30 album di cui 1 con Quiet World, 6 con Genesis, 1 con GTR, 1 con Gordian Knot, 1 con Squackett. E 18 live

Una sera a sentire Steve Hackett. Sette anni nei Genesis e quarantacinque fuori e tutti ti ricordano come “quello dei Genesis”, sono cose da tenere in conto nel bilancio di una vita. È pur vero che la maggior parte delle volte quei sette anni particolari non capitano proprio, quindi tutto sommato bilancio positivo.
Età media coerente, quell’aria in generale da va bene fai pure i tuoi pezzi ma poi però suoni quelli belli, vero? Ed è così, la distanza è ancora notevolissima. Anche perché poi quel prog/hard rock è evoluto in una specie di fusion tutta con gli stessi suoni che fanno, per esempio, anche i Deep Purple oggi, in non so quale Mark.
Alla voce si fa accompagnare da uno alto alto con i capelli alla Beetlejuice che sembra un Ronnie James Dio alto e con una lampadina dentro e che ci crede per davvero, enfatizza. Ma va bene così.
In tema, una bella conferenza di Zuffanti sul progressive italiano: interessante anche per capire come mai il genere abbia avuto così successo da noi, con una produzione davvero notevole ed estesa, e non a caso anche i Genesis ebbero folto pubblico qui. E c’entra pure Rita Pavone, pare, non fintamente come coi pinfloi.