2008-2016

Fare il Presidente degli Stati Uniti è davvero un lavoro logorante. Altro chi il potere non ce l’ha. Nel 2009 l’ex presidente era un ragazzone:

che piaceva davvero a tutti. Due anni dopo era già ingrigito, dimagrito e nel 2016 è così, come lo ricordiamo ora:

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Ancora affascinante, per carità, in questi otto anni io sono peggiorato più di lui, ma lo sforzo subìto si vede. Buona pensione, signore.

«me lo state uccidendo!»

Un diario, un racconto giorno per giorno dal primo agosto 2013 («Rigetta nel resto il ricorso del Berlusconi, nei cui confronti dichiara, ai sensi dell’articolo 624, comma 2, codice…»), il giorno della condanna, ai primi di ottobre, due mesi dopo, l’affidamento ai servizi sociali.

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Come sempre accade, rileggere di fila tutti gli avvenimenti di un periodo fa molto più effetto: erano giorni schizofrenici, deliranti, faticosissimi, stupidi; plotoni di subumani a pretendere l’«agibilità politica» un giorno e la santificazione quello dopo, minacciando dimissioni di massa e la caduta del governo Letta a piè sospinto. Che poi cadrà, sì, ma da sinistra, peggio. E i subumani a defilarsi appena possibile, qualcuno al governo, qualcuno sotto le pietre in attesa di un nuovo padrone.
C’erano i deputati PDL che, per dirne una, si riunirono a Montecitorio per i saluti prima delle ferie estive (perché sì, è stato condannato: ma vogliamo saltare le ferie?) e un simpaticissimo deputato, Simone Baldelli, pensò bene di presentarsi vestito da donna per fare una ridicolissima imitazione della presidente Boldrini: si può vedere. Il clima e il periodo era quello, da piangere. E Baldelli, bravo lui, oggi è ben impegnato: vicepresidente della Camera.

Rileggendo e, quindi, ripensandoci, mi viene un pensiero, più che altro: mille, mille, mille e mille (e ancora mille) volte meglio questo governo, questo clima, questo dibattito politico, quest’aria. Che potrà non piacere Renzi, per carità, si potrà essere contro il referendum, e ci mancherebbe, ma quelli erano tempi davvero schifosi, con il paese sull’orlo dell’isteria continua, un piagnisteo e una sceneggiata continua. Grazie a dio oggi è passata. E chi dice il contrario non ricorda o non lo sa.

finalmente

È oggi, ci siamo finalmente: questi due anni di campagna elettorale mi hanno davvero prostrato, tra caucus, dibattiti in Utah, frasi sessiste e tasse non pagate.

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Ma oggi ci siamo, possiamo davvero rilassarci per almeno un-sei-mesi, quando vedremo Clinton alle prese con la Siria e i problemi veri.

Aggiornamento del 9/11: Clinton=Trump. Come analista politico valgo pochissimo.
Ma siamo in tanti.

il vasino di Hitler

La notizia ha alcuni giorni: l’amministrazione comunale di Braunau am Inn, paese natale di Hitler, dopo svarianti tentativi di acquisto andati a vuoto, ha deciso di espropriare la casa natale del führer per poi abbatterla, così da non lasciare luoghi utili agli appassionati e nostalgici per le loro riunioni commemorative.

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Superata la prima sorpresa per un qualsiasi austriaco che intraprende un’iniziativa antinazista (non sono sarcastico: l’anima austriaca all’interno del nazismo è sempre stata potentissima, da Hitler a Kaltenbrunner passando per una quasi entusiastica adesione all’Anschluss, per approdare poi a Kurt Waldheim), mi sono fermato a pensare: in fin dei conti la casa natale dovrebbe avere un’importanza relativa, visto che nessuna delle gesta che hanno reso Hitler quello che è stato si è compiuta lì (a parte delle energiche colazioni, ma forse nemmeno, vista la costituzione); piuttosto, gli edifici a Monaco, a Berlino, il nido d’aquila, che so che altro, insomma i luoghi di azione effettiva. E invece no – o meglio non solo – la casa natale per-noi-genere-umano riveste sempre grandissima importanza, perché tutto lì è cominciato e si è formato.
Ora non voglio sfociare nella psicologia da minimarket, per carità, mi colpisce solo l’importanza che diamo ai luoghi natii, rispetto ai luoghi dove poi, effettivamente, sono accadute le cose.

il sound della giovane America

I Temptations, i Miracles, Stevie Wonder, Martha & the Vandellas e le Supremes tutti insieme? Sì, è stato possibile. E non erano nemmeno tutti. Si potrebbero aggiungere, per dire, The Jackson 5, Marvin Gaye, The Commodores, Tammi Terrell, Dusty Springfield, Gladys Knight & the Pips, The Isley Brothers, The Marvelettes. Un bel gruppone, isn’tit?

I Temptations, i Miracles, Stevie Wonder, Martha & the Vandellas e le Supremes alla EMI Records nel marzo 1965 per il lancio dell'etichetta Tamla-Motown in Gran Bretagna, nel libro Motown. Il sound della giovane America di Adam White e Barney Ales (Ippocampo)

I Temptations, i Miracles, Stevie Wonder, Martha & the Vandellas e le Supremes alla EMI Records nel marzo 1965

Il tutto ha un nome solo: Motown (o Motown records se volete fare la figura di quelli che la sanno lunga). E un posto solo: Detroit. C’è un sito fatto molto bene sulla Motown (quella classica, quella di Gordy, non la odierna), questo: la sezione ‘playlist‘ offre delle ottime listone di cose da sentire già belle pronte, bravissimi (di mezzo c’è Spotify che a me rompe moltissimo, ma qui non è il caso di parlarne oltre). È poi appena uscito un bel librone, Motown – Il sound della giovane America di Adam White & Barney Ales, quattrocento succulente paginone illustrate per i devoti del genere.

Gli artisti Motown negli anni Sessanta

Gli artisti Motown negli anni Sessanta

Poi c’era Gordy, sì, e le cose che non andavano. Vabbè, qui si celebra, un’altra volta.