In giro per colline finisco in un paesello di quelli che me li immagino tutti leghisti che non si molla mai la ceppa e d’orgoglio d’accatto e poi invece vedo questo proprio sulla facciata della vecchia cooperativa di lavoratori e allora sì che mi rincuoro e per fortuna sbagliavo.
Tutto questo stare in casa e prendermela con i lombardi mi ha fatto male, devo riequilibrare.
Il 25 aprile, la Liberazione, il nostro natale laico, la festa più bella di tutte, è ovunque, comunque, ordunque. Quindi non importa non essere in piazza per il secondo anno consecutivo – anche se, ovviamente, non c’è paragone -, non importa se saremo in casa, o in un parco, o a camminare o a osservare le foglie nuove, da soli o in due, è lo spirito della Festa che conta. E, di più, lottare tutto il resto dell’anno contro i nefandi.
Buona festa ai buoni, dunque, e niente ai fasciomentecatti, sovranisti, leghisti, omofobi e tutta la risma schifosa. E niente anche agli indifferenti, quelli che reggo meno.
Alcuni interrogativi non sono risolti e non avranno mai risposta, come diceva lui nemmeno chi decide conosce le ragioni della propria, ultima, decisione. Ciò che importa, ora, è che manca, e l’unica cosa è ricordarlo e, soprattutto, leggerlo. Lo dico ancora una volta: fatevi un regalo, un regalo vero e grande, leggetelo. Non solo ‘Se questo è un uomo’, anche tutto il resto, cominciando magari da ‘La chiave a stella’ o dai racconti. Perché vi assicuro che non è quello che vi hanno imposto a scuola, è molto molto di più. Mi ripeto, ancora: una fortuna, averlo avuto.
Tre giorni fa era l’anniversario dell’attacco di via Rasella. Giovani partigiani ventenni contro una colonna di SS durante l’occupazione tedesca di Roma, per mettere qualche punto certo.
Ne ho parlato più volte, qui, qui e qui. Magari, quest’anno, si potrebbe fare un riepilogo dell’intera vicenda. E chi meglio, ovvio, di Barbero? Per chi volesse, qui.
Eh, il giorno della memoria. Bisogna scrivere qualcosa, bisogna dire qualcosa, e ce ne sarebbe, eccome. Per esempio, riguardo quella riflessione comune alle persone sensibili per cui il giorno della memoria andrebbe legato, in questi nostri anni, alla questione dei profughi e dei rifugiati che percorrono proprio l’Europa, i campi di permanenza forzata, le marce per le montagne oltre i confini, le similitudini sono molte. Mi occupo spesso di memoria, sia per conto mio, con le persone che riesco a raggiungere, sia su queste paginette. Lo faccio tutto l’anno, se non altro. Di profughi no, non molto, la questione mi ferisce e mi strazia, mi umilia, e mi rendo conto che spesso ne sto volutamente alla larga per, egoisticamente, non soffrire. Dono, offro, sostengo se posso ma non molto di più. Dovrei, lo so, più che altro delego. Non ne so molto, non so bene nemmeno come affrontare la cosa, mi trovo privo di strumenti e di comprensione. Mi sento in colpa, per questo, ci sono ma vorrei, onestamente, che se ne occupassero altri. Perché la memoria la so trattare, le persone che fuggono molto meno, ogni persona è troppo per me. Lo trovo difficile. Cercherò di fare meglio.
Un secolo esatto dalla scissione di Livorno e dal congresso che portò alla nascita del Partito comunista d’Italia.
Stasera, in onore dei moltissimi compagni passati e presenti, di molte lotte e molte conquiste, di una grande irripetibile storia, di molte feste, di innumerevoli riunioni, delle bandiere rosse e delle manifestazioni oceaniche, dei pugni chiusi, un bicchiere di rosso, un sigaro cubano e, naturalmente, salamella di bambino. Salute!
Scrivono Renzi, Bonetti, Bellanova e Scalfarotto al presidente Conte: «Se non c’è bisogno delle nostre idee e della nostra passione, se la nostra collaborazione, il nostro contributo non servono, la cosa più giusta da fare è restituire il nostro mandato». Rispondo io: no, non servono. E, cordialmente, vaffanculo.
Abbiamo passato i cinquant’anni, ora il Ministero per i beni culturali acquisisce l’archivio e la biblioteca di Pino Rauti perché interessante dal punto di vista storico (parlando di uno «Statista», tra l’altro). Oggi, per dire quanto i «valori di libertà e giustizia» debbano ancora essere attuali, Cucchi, Regeni, Aldrovandi e molti molti altri.
Oggi, otto dicembre, sono quarant’anni dall’assassinio di John Lennon. La storia è nota, Mark Chapman lo attese tutto il giorno sotto casa, gli chiese pure un autografo su Double fantasy e quella è l’ultima immagine che abbiamo di Lennon vivo. A sera, al ritorno dallo studio di incisione, gli sparò nell’androne del palazzo.
Poi, la corsa disperata in ospedale sul sedile dietro di un taxi, i tentativi di rianimazione, la constatazione della morte. Yoko Ono chiese all’ospedale quaranta minuti di tempo prima di annunciare pubblicamente la notizia, così da poter tornare a casa e tentare di spiegare la tragedia a Sean, figlio della coppia.
Inimmaginabile il dolore della donna, a quel punto – lei racconta – si sedette alla finestra, si versò molto molto gin e, forse all’alba, scattò una foto.
Terribile. Ma erano le cose a essere terribili, la fotografia è straordinaria per ciò che racconta. Gli occhiali erano un elemento distintivo di Lennon – sulla copertina di Walls and Bridges ne indossa addirittura cinque paia – e, allo stesso tempo, una delle poche cose che probabilmente le rimaneva del marito. E lei continuava a vedere le cose del mondo, gli avvenimenti della vita, con l’occhio, comunque, dell’artista.
Cos’avrebbe fatto Lennon, mi chiedo, se nulla di ciò fosse accaduto? Sarebbe andato avanti a fare musica come McCartney è la risposta più plausibile, in effetti. Magari, essendo più concentrato sul lato politico della vita, avrebbe inciso (non in senso discografico) di più, avrebbe proseguito nel corso della sua produzione musicale sulla linea già tracciata da Imagine e Working class hero. Probabilmente sarebbe invecchiato lentamente, come tutti, sarebbe stato vittima della disillusione degli anni Ottanta, si sarebbe ritirato verso una produzione più intima, tipo David Crosby o Neil Young per fare due nomi di idealisti della musica ancora vivi, avrebbe abbandonato i bed-in, sarebbe stato pian piano considerato un vecchio hippy che ha a cuore il destino dell’umanità intera. Come molti, chissà, avrebbe forse convertito la causa alla difesa dell’ambiente, di sicuro avrebbe grandemente apprezzato Greta Thunberg, fatta di pasta simile.
Io ho molto apprezzato il lato psichedelico dei Beatles, quello matto dei walrus e degli strawberry fields, dovuti proprio a Lennon, anche se resto fondamentalmente un mccartneyano, seppur spesso non vorrei fosse così. Non sono affine alla retorica di Imagine. Ma vedere quanto di Lennon resta ancora oggi, quel «and no religion too» che fa tanto incazzare i sovranisti fascistelli de noatri, me lo fa rimpiangere senz’altro e sentire riconoscenza nei suoi confronti. Lui era l’egg man.
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