un’altra questione da gestire (soldi per musica per armi)

Daniel Ek, fondatore e signore di Spotify, ha deciso di spendere una parte congrua dei nove miliardi e rotti di dollari del suo patrimonio in armi.

Helsing è una delle aziende emergenti nel panorama europeo della difesa. Fondata nel 2021 in Germania, la società sviluppa software militari basati su intelligenza artificiale per l’analisi in tempo reale di dati provenienti da sensori e sistemi d’arma. Dal 2023, ha iniziato anche la produzione di droni da combattimento, tra cui il modello HX-2, già impiegato nel conflitto in Ucraina. Secondo Helsing, l’obiettivo è contribuire all’autonomia strategica dell’Europa riducendo la dipendenza da tecnologie non europee.

Con tutto il mio entusiasmoooah, stavolta sono pienamente d’accordo con Piero Pelù che ha affermato: «Visto che la Musica da cui il suddetto succhia i suoi profitti giganti parla oltre che di mille cazzate anche di amore per la vita, di rispetto per l’ambiente, di Pace, noi poveri ingenui abbiamo pensato che questi nuovi investimenti (600.000.000 seicento milioni di €) andassero alla ricerca per il cancro o alle Ong che salvano vite in posti di guerra o in mezzo ai mari, oppure alla costruzione di macchine che liberino i mari dalle microplastiche che ci avvelenano ogni giorno di più» e condivido il nesso e la causalità tra ciò che commercia, la musica, e i fini con cui investe ciò che guadagna. Va quindi presa una posizione, per quanto mi riguarda, da abbonato. Da rilevare che il mondo musicale, almeno quello italiano attorno a Pelù, anche se sollecitato tace.

Un tempo, in tempi migliori dal punto di vista della consapevolezza collettiva, ci si sarebbe fatti sentire, tempestando la segreteria di Spotify di proteste minacciando la dismissione degli abbonamenti finché il capo non avesse capitolato, rientrando dalla scelta avventata. Oggi invece viviamo in tempi individuali e individualistici, per cui toccano anche risposte individuali, sicuramente di minor effetto. Quindi: o non fare nulla, come quasi sempre, o protestare minacciando, o prendere provvedimenti. In questa ultima ipotesi, da un primo sguardo le prime opzioni alternative per catalogo paragonabile mi paiono Deezer e Tidal. Se queste due ultime offrono senz’altro una migliore qualità del suono, oltre mille kbit di bitrate rispetto ai modestissimi trecentoventi di Spotify, e interfacce equivalenti se non migliori, sono senz’altro inferiori per algoritmi capaci di suggerire ascolti analoghi – e quindi, in definitiva, di scoprire musica nuova -, offerta di podcasts e funzioni social. Non indifferente, la questione della proposta di musica affine, almeno per il mio tipo di uso. Deezer e soprattutto Tidal, proprietà in parte di musicisti da Jay-Z in giù, se è ancora così, offrono migliori retribuzioni agli artisti, il che ha un suo significato non da poco, e i ricavi personali di Ek un po’ lo dimostrano. Entrambe le piattaforme propongono un servizio di importazione delle playlist da Spotify e sono entrambi a pagamento oltre le cinquecento canzoni per playlist. Da valutare. Deezer, infine, ha una versione gratuita mentre Tidal no, propone un mese gratuito. Non ultimo, visto il punto di partenza del ragionamento: la proprietà di Deezer è di Access Industries, che si occupa di: «biotechnology, entertainment, external funds, global media, strategic equity, technology ventures, and real estate», quindi forse siamo daccapo; da Tidal è uscito nel 2017 Kanye West, il che è solo bene; la compagnia è in maggioranza di proprietà di Block, Inc., in cui si ritrova Dempsey di Twitter e che ha larghi interessi in forme di pagamento e mining di criptovalute, lui un aspetto ideale l’aveva e non pare avere a che fare con il mercato delle armi.
I servizi di audiostreaming sono decine – qui una tavola di comparazione, di Amazon music, Youtube music, Apple music eccetera non mi occupo proprio – e i fattori di scelta sono numerosi e non tutti determinanti. Se per i podcast io avevo risolto così, qui tocca fare un ragionamento più esteso: per quanto mi riguarda, di sicuro la caratteristica principale di Spotify fin dall’inizio, ovvero l’istantaneità, ottenuta con un complicatissimo sistema misto di p2p e chiamate al server, è persa, a volte ci mette un bel po’ a partire. E l’app mangia una quantità di batteria considerevole. Cose comunque da verificare anche in ogni altro servizio. Devo ancora studiare SoundCloud che è, peraltro, il servizio con il catalogo più grande del mondo ma che, da quel che so, è più orientato verso i creatori di musica. Non male, comunque, oltre duecento milioni di brani, figuriamoci, bastano appena.

Ma il punto, qui, restano le armi. E viva Pelù, lo dico. Ora devo dirlo alla mia famiglia di Spozzifai.

la banda e le brigate

Stamane il meteo promette ben più di trenta gradi e pare avere tutta l’intenzione di mantenere, è dunque la giornata perfetta per andare alla Magliana.

La Magliana è uno dei quartieroni enormi di Roma, talmente popolosi ed estesi che potrebbero avere anche un sindaco per sé e, infatti, ce l’hanno: si chiamano presidenti di Municipio e, sorpresa sorpresa, in questo caso specifico della Magliana è un presidente del PD. E già le mie preconoscenze vacillano, sono letteralmente sconvolto. Questi quartieroni, dicevo, si sono espansi a cerchi concentrici a partire dalle mura storiche dopo l’unità d’Italia, il cerchio della Magliana nuova è degli anni Settanta e tutti tutti i condomini sono identici e nella stessa circonferenza che si sia qui o ad Appio Claudio o a Portuense o a Primavalle è esattamente la stessa cosa. Uguale. Grazie, Marchini e compagni palazzinari.

Seguo quindi il nucleo storico, via della Magliana, che si distingue dalla Magliana nuova per qualche decina di metri, e ogni carrozziere, rottamaro, gommista, benzinaio a me pare un posto da canaro. E mi aggiro guardingo. Una bella storia, quella, da leggere la sera. Un tizio che gestiva un posto per la tualétt dei cani, er canaro appunto, su viale della Magliana, se la prese con un ex pugile che gli doveva aver fatto uno sgarbo di qualche tipo e, strafatto come una pigna, lo rinchiuse in negozio e gli inflisse tutte le peggiori torture cui una mente devastata e strafatta come una pigna può pensare. Lo so che state provando a immaginare, non ci siete nemmeno lontanamente. Perché siete sani, voi. Particolari della vicenda che mi fanno molto ridere: a un certo punto, er canaro interruppe ciò in cui era affaccendato per andare a prendere moglie e figlia e non fare tardi; poi, prima del processo lo rilasciarono perché ritenuto, dopo perizia, ‘non socialmente pericoloso’; infine, uscito dal carcere moglie e figlia se lo ripresero a casa come fosse uscito a prendere le sigarette. Nemmeno Sordi mi fa ridere così. Poi saltò fuori che le torture e mutilazioni mostruose che aveva descritto le inflisse al malcapitato dopo la morte e che prima aveva millantato, che sensibilone. Quasi come Fioravanti.

Comunque, io cerco di non fissare nessuno a lungo perché già vedo il mio corpo nel baule di una 127 e la testa in un catino davanti al posto del passeggero. E anche questa è una bella storia locale. E cammino verso la via che sto cercando, attraverso villa Bonelli e la trovo, la percorro fino al civico che cerco, l’otto, e osservo il piano terra, la discesa ai garage, la panoramica e le vie attorno. Cioè le caratteristiche che fecero propendere per questa e non un’altra.

Si chiamava Altobelli ed era ingegnere, l’acquirente. Fresco di matrimonio, serio ma qualunque, come la casa. Ma alla fine in questo appartamento all’interno uno non accadde nulla perché, si sa, il prigioniero lo portarono al ghetto, la geometrica potenza di fuoco non si spiegava, sulle scarpe c’era sabbia di Ostia, a Bologna furono i palestinesi, l’aereo ebbe un cedimento strutturale, nessuno diede ascolto alle sedute spiritiche, a Roma non c’è una via con quel nome. Le uniche certezze, qui, sono che il prigioniero aveva – i giovani di allora si tengano – sessantuno anni nonostante sembrasse vecchio e l’altra è che tutta la faccenda non servì a nessuno degli scopi dichiarati dei rapitori, servì anzi a scopi opposti, se proprio.

A questo punto, potrei mettere insieme qualche canaro di qua, qualche rozzo testaccino, un paio di fascisti di cui uno orbo, qualche eminente rappresentante della criminalità già organizzata, uno psichiatra nazista e formare una bella banda che gestisca con successo le attività del territorio. Gli infiltrati dei servizi, gli amici, arriveranno poi da soli. A quel punto, affitterei un bel deposito armi in una sede dislocata di un ministero dello stato e il gioco è fatto. Ah, e per il covo ho avuto un’idea geniale:

Non ci beccheranno mai! Due volte? Nessuno ci potrà mai arrivare.

è già santo e si comporta come tale

L’agiografia è tutto il complesso delle testimonianze che costituiscono la memoria della vita di un santo e del culto a lui tributato. Se, quindi, alla base c’è la scrittura dei fatti miracolosi del santo (ἅγιος – santo e γράφειν – scrivere), dei santi si raccontano le biografie (vita, legenda, historia) e le raccolte di miracoli (mirabilia). Ed è in questo campo che ci si muove al racconto del miracolo del già santo Sinner (in inglese vien da dio, sinner/saint, in italiano no) che, non solo spinto dalla bontà santa che pervade il suo corpo santo, e, propriamente, da santo che si prende cura degli animali ha portato lui medesimo il gatto dal veterinario. Che già basterebbe. Ma – altro animale, le cose tornano – l’ha fatto non con la ferrari, l’elitaxi, l’ambulanza della clinica privata, no: egli l’ha fatto con la Panda della mamma.

La legenda aurea di Sinner è appena iniziata e il suo esempio edificante pervade il cuore di molti, che giammai avrebbero guidato una Panda, anche di fronte al bau agonizzante. C’è molto da imparare, pagani, inutile che state lì a fare i mona, seguite e imparate, che solo con gli esempli santi e morali, i mirabilia, possiamo forse elevare un poco le nostre miserabili vite dal limo, celebrando il culto di Sinner, santo santo santo, altro che Papa Francesco con la Seicento, ma figuriamoci. Dai con la statua, su.

honestly authentic and unmistakably indian

Nonostante noi si sia a 4550 miglia da Delhi, dichiarano, colmiamo la distanza tra Nottingham e Delhi un piatto alla volta.

Anche il tuc tuc al neon dentro e quello a metà appeso fuori in alto a destra, si vede, colmano la distanza estetica e concettuale con la natia patria.

Che spasso, questi signori, il tentativo di sofisticazione dell’immaginario inglese sull’India, così che si ripercuota anche sull’esperienza alimentare, è degno della massima considerazione. No, non ci sono andato, mi piaceva tutto ma da amico.

la musica delle stagioni, primavera 2025

Fa già la caldazza bestiale ed è appena finita la primavera, stagione, e con essa la mia compila primaverile, trentesima. Stavolta i ragazzi, io, sono stati in giro, quindi le canzoni sono solo quaranta e la durata un paio d’ore e rotti, esattamente quanto serve per andare da Partskhanakanevi a Kutaisi con uno skateboard senza saperlo usare.

Sintonizzare la frequenza su un qualche FM, meglio se attorno ai 97 che era più bello, e lasciar andare. Già Fugue state di Vulfpeck alla terza mi dà un certo ritmo divertito, a me le compile servono quando sono in giro a zonzo per i paesi e le regioni o quando sto pulendo o potando, che allora le cose mi diventan più leggere. Eccole qua, tutte le compile: dicevo, son trenta, la cosa impressionante è che ciascuna son tre mesi, quindi il calcolo complesso mi dice che i brani sono finora 2.351 più i quaranta di ora 2.391, e i mesi novanta, novanta la paura!, per una quantità significativa di giorni si arriva a una media di quasi quasi un brano al giorno. Non malaccio, va’. Più meritevole la continuità che la mole, in questi tempi bulimici e incostanti.

Se la primavera 2025 nella moda si è caratterizzata per i look decostruiti, giacche con maniche fatte di stivali e corsetti fatti di giacche legate in vita, colletti al contrario e maniche-foulard, la primavera politico-social-economica del mondo non è stata un granché, a dire la verità (euf.) e, direi, nemmeno quella musicale. Per questo, occorre ripescare qua e là dai tempi migliori, magari New Order, Human League, Roberto Wyatt, Bronski Beat, Pixies, Richard & Linda Thompson e così via, quando poi invece i tempi migliori non tornano da sé, Beth Gibbons per esempio. Ho messo anche un remix inascoltabile, lo ammetto, chissà che avevo in testa quel giorno. Mah, mica si è inteligenti sempre, quel giorno mooolto meno. Ancora bella invece la dylaniana Epilogue di Cat Ridgeway e formidabili gli Ocean Colour Scene.

Le compile vere e proprie: inverno 2017 (75 brani, 5 ore) | primavera 2018 (94 brani, 6 ore) | estate 2018 (82 brani, 5 ore) | autunno 2018 (48 brani, 3 ore) | inverno 2018 (133 brani, 9 ore) | primavera 2019 (51 brani, 3 ore) | estate 2019 (107 brani, 6 ore)| autunno 2019 (86 brani, 5 ore)| inverno 2019 (127 brani, 8 ore)| primavera 2020 (102 brani, 6 ore) | estate 2020 (99 brani, 6 ore) | autunno 2020 (153 brani, 10 ore) | inverno 2020 (91 brani, 6 ore) | primavera 2021 (90 brani, 5,5 ore) | estate 2021 (54 brani, 3,25 ore) | autunno 2021 (92 brani, 5,8 ore) | inverno 2021 (64 brani, 3,5 ore) | primavera 2022 (74 brani, 4,46 ore) | estate 2022 (42 brani, 2,33 ore) | autunno 2022 (71 brani, 4,5 ore) | inverno 2022 (70 brani, 4,14 ore) | primavera 2023 (74 brani, 4,23 ore) | estate 2023 (53 brani, 3,31 ore) | autunno 2023 (92 brani, 6,9 ore) | inverno 2023 (76 brani, 4,5 ore) | primavera 2024 (59 brani, 3,4 ore) | estate 2024 (56 brani, 3,1 ore) | autunno 2024 (78 brani, 5 ore) | inverno 2024 (58 brani, 3,7 ore) | primavera 2025 (40 brani, 2,5 ore) |

La stagione dei concerti è stata ridotta ma non modesta, i Wombats a Leeds e Badly drawn boy a Nottingham in un uno-due di fila niente male, i belli perché intimi e di gran valore Angela Baraldi e Meganoidi a Milano, due cose diverse non un solo concerto, non meno piacevoli. A breve si apre la stagione all’aperto con Offlaga Disco Pax e Bloody Beetrots e io, come si cambia invecchiando eh?, stavolta vado quasi più per il secondo che i primi, con rispetto parlando. Da adesso parte la compila dell’estate, uno, due, via.

il solgnizio d’estate, ‘sto sfrontato

Alle 04:42 ora italiana, che sono le 02:42 del Tempo Coordinato Universale che è quando andiamo a dormire o facciamo merenda tutti insieme alla stessa ora, è giunta per decreto presidenziale l’estate.

Facili previsioni: sarà l’estate più calda di sempre, e non c’è un cavolo da ridere; Garlasco non ce la toglieremo dai piedi di sicuro per tutta la durata di essa; i disastri proseguiranno, alimentati dagli sfrontati criminali e dalla noia accaldata del resto del pianeta boreale.
A me l’estate non è che mi entusiasmi, non capisco quest’aria diffusa da spiaggia rintronata per cui si riproduce la riviera in città e la città in riviera, per fare le stesse cose di qua e di là ma in ciabatte e sentendo i Matia Bazar o Giuni Russo, proprio non capisco. Gli stessi che si lamentavano del freddo poco tempo fa desiderando il caldo, ora si lamentano del caldo. Sarà che l’estate amplifica le doti italiane famose nel mondo e per cui io li odio, questi italiani veri, proprio non li posso vedere.
Anche col freddo, in effetti. Per cui proseguirò a circondarmi di persone notevoli e buone, a fare i miei viaggi dove le persone non vanno, a visitare i posti nei giorni e nelle ore strane, a fare le mie cose in modo non convenzionale. Dai che mancano solo tre mesi alla stagione più bella di tutte.