Impossibile consolarsi con le figure minori, i La Russa, i Salvini, le, ops, i Meloni, troppo poco. E la vedova che tace nella villona probabilmente alla ricerca dell’usucapione, senza dare nell’occhio. E noi qui, in preda tra l’altro all’atroce domanda:
Cremato col padrone, si spera, come si conviene fin dai tempi dei faraoni.
Quando leggi i passaggi del libro di Vannacci pensi: sciogliamo l’esercito, sciogliamo le Istituzioni e facciamo un grandissimo bar, il bar Italia. Però mi resta una domanda: se in questo bar è possibile dare dell’anormale a un omosessuale, è possibile dare del coglione a un generale?
È possibile, già lo faccio da un po’. Non male, Bersani, ha toccato un punto.
Mezza epidemia di legionellosi, o legionella, o malattia del legionario, a Rzeszów, in Polacchia, con quattordici morti e duecento ammalati. Bene. Ascesso polmonare, empiema, insufficienza respiratoria, shock, coagulazione intravasale disseminata, porpora trombocitopenica e insufficienza renale che, ovviamente, da qualche minuto sto avendo tutti insieme. Deficiente io a bere l’acqua dal rubinetto e non solo la birra dalla spina.
Private First Class (PFC) dell’esercito, non perse l’occasione di farsi scattare una foto in una miniera tedesca il 3 aprile 1945. Come i più avvisati hanno già colto, si tratta della corona imperiale, non quella di Carlo Magno ma quella di poco dopo, circa decimo secolo, e utilizzata fino alla dissoluzione dell’Impero, nel 1806. Ivan Babcock, come Napoleone, la corona se la mise in testa da solo e sebbene nel 1945 l’Impero non esistesse più, direi che qualche pretesa potrebbe averla avanzata, almeno fino al 1994, anno della sua scomparsa. Come in un film di Landis. La foto è del suo commilitone T/5 E. Braum.
Ah, dai: rassicuro i più ansiosi, quella sulla testa di Babcock è la replica del 1915, nascosta comunque dai nazisti, quella vera stava in un bunker a Norimberga, sotto il castello dove anche ora sta. Non è per davvero imperatore. Bella foto, l’avrei fatto anch’io senza esitare un attimo.
Una sera a sentire Steve Hackett. Sette anni nei Genesis e quarantacinque fuori e tutti ti ricordano come “quello dei Genesis”, sono cose da tenere in conto nel bilancio di una vita. È pur vero che la maggior parte delle volte quei sette anni particolari non capitano proprio, quindi tutto sommato bilancio positivo. Età media coerente, quell’aria in generale da va bene fai pure i tuoi pezzi ma poi però suoni quelli belli, vero? Ed è così, la distanza è ancora notevolissima. Anche perché poi quel prog/hard rock è evoluto in una specie di fusion tutta con gli stessi suoni che fanno, per esempio, anche i Deep Purple oggi, in non so quale Mark. Alla voce si fa accompagnare da uno alto alto con i capelli alla Beetlejuice che sembra un Ronnie James Dio alto e con una lampadina dentro e che ci crede per davvero, enfatizza. Ma va bene così. In tema, una bella conferenza di Zuffanti sul progressive italiano: interessante anche per capire come mai il genere abbia avuto così successo da noi, con una produzione davvero notevole ed estesa, e non a caso anche i Genesis ebbero folto pubblico qui. E c’entra pure Rita Pavone, pare, non fintamente come coi pinfloi.
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