L’interruzione sulla bretella Suez-Port Said prosegue, con il mezzo pesante (Ever Given, vedi ieri) ancora fermo di traverso su entrambe le carreggiate. I mezzi di soccorso sono intervenuti prontamente per rimuovere il mezzo. In direzione Port Said si è fermata una coda di svariati chilometri, dovuta anche a curiosi e mezzi di passaggio. Si suggerisce ai mezzi in transito di prendere la variante al canale, ovvero di circumnavigare l’Africa.
Si segnalano infine alcune decine di mezzi fermi nel mezzo del canale, in attesa della ripresa del traffico. Non a caso la zona in cui si trovano è denominata ‘Laghi Amari’ (بحيرة المرة الكبرى). Si raccomanda prudenza.
Non le avrei dato una cicca e, invece, spassevole: ‘Speravo de morì prima’.
Notevole Castellitto che sa riprodurre quello sguardo a metà tra il vuoto e il non-ho-capito mentre cerca di fare divisioni a tre cifre a mente. Non meno Tognazzi. Evidentemente, dopo ‘Romolo e Giuly’, ‘Gomorra’, ‘The young pope’ e la vecchia ‘Boris’, qualcuno ci sta prendendo la mano e comincia a girare prodotti significativi anche da noi, con buona ironia. Bene, anche per chi come me segue molto poco il fobàll e gliene frega poco delle radio romane sulla maggica.
La fondazione Milano Cortina 2026 ha indetto una votazione online per scegliere il logo dei XXV Giochi Olimpici Invernali. Bisogna scegliere tra questi:
Ed è dura, perché fan schifino entrambi. Oddio, in tema olimpiadi i loghi non sono mai un granché, tra persone fatte da strisce, fiamme, curve, cerchi, fiocchi di neve. Questi non fanno eccezione, banalizzando e ponendo al centro il numero dell’olimpiade, messaggio scadente, e mescolando linguaggi diversi, uno un po’ meno dell’altro. Io avrei puntato, così per dire, sull’unione tra Milano e Cortina ma vabbè, sarà per quello che non mi chiamano. Tra i loghi delle olimpiadi passate, il mio preferito resta questo:
Riassunto rapido: ieri Corrado Augias, nella sua consueta rubrica delle lettere su Repubblica, racconta quella che reputa una sua disavventura con Enel, colpevole di numerosi errori e malfunzionamenti. Eccola.
Naturalmente, il lettore avvisato già alla nona riga ha capito che si tratta di phishing, ovvero un tentativo fraudolento di ottenere credenziali in rete. In particolare, questo è molto riconoscibile per la sintassi assurda e per il solito, goloso, rimborso. Se vi è mai capitato di ricevere un rimborso, sapete che non funziona mai così, gli enti pubblici o privati non sono mai solleciti – comprensibilmente – nella restituzione e di certo non via mail con un link. Comunque, Augias chiaramente non se ne avvede e prosegue imperterrito, cogliendo di volta in volta ulteriori motivi di indignazione. Nemmeno di fronte a un “if hai problemi” ha un dubbio e si chiede cosa stia facendo ma, anzi, riceve conferma di ciò che va dicendo. Ora: va bene tutto, certamente la sfiducia italiana nei confronti degli enti pubblici e delle aziende è massima e di errori marchiani ne abbiamo visti a bizzeffe, tutto vero, ma che Enel arrivi a questo punto è, francamente, difficile. Un pensiero riferito a Occam sarebbe pur dovuto venire, quando è troppo è troppo. Ma non è accaduto. Sebbene a me paia difficile da credere, ho provato a sottoporre la lettura della risposta di Augias a due persone con più di settant’anni e nessuna delle due ha colto alcunché di strano, se non nell’incompetenza di Enel. Ecco, quindi, una conferma: lo svarione di Augias ci può stare, ha ottantasei anni, non se n’è reso conto. Capita. Evidentemente anche i messaggi di spam o phishing più strampalati possono aver successo in determinate condizioni e se la cifra offerta come esca è appropriata, né troppo alta né troppo bassa da non valere lo sforzo. Un po’ di presa in giro in rete è accettabile, alla fine è cascato in una trappolotta e, non pago, l’ha pure reso pubblico, esponendosi al ludibrio. Sì, un po’, il giusto. Invece no, sulla rete italiana si solleva un polverone e i commenti si sprecano, molti sgradevoli e irriverenti. Ciò che viene rinfacciato ad Augias è il suo modo di correggere gli interlocutori e di spiegare come bisognerebbe comportarsi e vederlo cascare in una sciocchezza provoca soddisfazione in molti. Ciò è piuttosto spiacevole e non dovrebbe accadere, la consueta pacatezza ed eleganza di Augias richiederebbe se non altro maggior comprensione e rispetto. Infine, ciò che mi colpisce è, ancora una volta, Repubblica. Possibile che nessuno abbia dato una scorsa a quanto inviato da Augias per la sua rubrica? Nemmeno, non dico un correttore di bozze, ma uno stagista prima di pubblicare? Niente? Oppure, anche a Repubblica hanno lo stesso problema e allora, stavolta, qualcuno più versato nelle cose dell’internet dovrebbero prenderlo. Perché penso che la figuraccia sia certo di Augias ma ancora di più di Repubblica. Che prosegue imperterrita sulla strada del disastro, perdendo lettori e credibilità senza pause, alzando i toni e scegliendo la strada del melodramma per la prima pagina e i titoli cubitali, sostenendo le posizioni degli industriali e tralasciando i contenuti, spesso affidati a ottantenni o novantenni rispettabilissimi che però ogni tanto un cedimento ce l’hanno. Bastava poco: dottor Augias, ce l’ha un’altra risposta pronta? Repubblica non avrà mai, di questo passo, lettori con meno di quarant’anni. E morirà.
Ahah, tutti quelli che fanno i giuramenti sul bibbione, stavolta Biden, mi fanno molto molto ridere.
Primo perché dovrebbe ovviamente far pensare a una fede colossale, perlomeno. Poi rimanda alla comicità delle cose grandi, gli occhialoni, le scarpone, i baffoni, le sedione. E poi perché le pagine me le immagino così:
Il tentativo, politicamente corretto, di essere rispettosi delle identità di genere e di utilizzare, se possibile, la neutralità di genere nel linguaggio spesso producono mostri. Dai «bambine e bambini, ragazze e ragazzi» che precede ogni inizio di documento di certe associazioni di sinistra al democratico Emanuel Cleaver che pochi giorni fa, in seduta alla Camera dei Rappresentanti a Washington, ha concluso il discorso con un improbabile «amen» e, per essere rispettoso, con un ancora più improbabile «awomen». Essendo pastore, nel senso delle anime, era stato incaricato di chiudere la seduta con una preghiera – e già qui qualcosa da dire ci sarebbe – ed evidentemente è stato preso da un irresistibile afflato paritario. Auomen, qui il video.
Sempre attratti dalle figure di merda, i compagni del PD, stavolta di Palermo, hanno ben pensato di sventrare il sostantivo «militante» facendone una questione di genere. Essendo un participio presente (da «militare», che anche se non sembra è anche un verbo), ha il brutto vizio di essere insieme maschile e femminile. Pardon, femminile e maschile. Anvedi. I dizionari dicono: «agg. e s. m. e f.».
Per cercare di porre rimedio a questo sfacelo, scusate: sfacela e sfacelo, segnalo un ottimo articolo della sociolinguista Vera Gheno, dal titolo esplicativo: «La questione dei nomi delle professioni al femminile una volta per tutte». Utile, molto. Oddio, utila, anche. Scusate, scusate tutte.
Se volete sentire la musica sotto la doccia o alzate il volume della radio o del telefono in bagno, oppure usate una cassa bluetooth impermeabile, di quelle adesive da attaccare al vetro o alle piastrelle. Ce ne sono tante.
Ce n’è una, però, che si attacca al tubo della doccia e si ricarica con il flusso d’acqua, si chiama Shower Power e la produce Ampere. Che voglio dire, mica poco eliminare la menata della ricarica. Oltre a questo è realizzata in plastica riciclata e qualcuno assicura che suoni sufficientemente bene.
Su Kickstarter, costa nemmeno troppo. Per i più esigenti, c’è il modello con i LED variopinti, effetto disco, e una cassa aggiuntiva per un’esperienza immersiva (stavolta detto in senso letterale).
facciamo 'sta cosa
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