minidiario scritto un po’ così dei giorni in Europa al tempo del contagio: giorno nove, ritorno

Con ritardo, eccomi. Sono tornato, più di dieci giorni fa, il diciassette, ma non ho dato conclusione al minidiario. È ora di farlo. Persino troppo facile dirne male ma se la colpa è di Trenitalia perché nasconderlo? Forse per non essere tacciato di pregiudizio nei loro confronti? Ma io lo ammetto, ho il pre-, il durante e il post-giudizio nei confronti di Trenitalia: dopo otto giorni di treni di ogni nazione, compagnia e colore, tutti mediamente in orario e secondo promesse (quello che c’è scritto sul biglietto), il viaggio di ritorno è stato più complicato del previsto. Bene la minitratta Worms-Mannheim, ferrovie tedesche, e quando si è trattato di prendere il treno da Mannheim a Milano (tratta interessante, il Milano-Francoforte, peccato per la gestione Trenitalia) ci ho messo poco a capire che non era il treno atteso. Infatti, si trattava di un treno tedesco in sostituzione di quello italiano, rotto, con destinazione Basilea. A Basilea, treno locale fino a Lugano, da lì altro localone per Milano, senza farsi mancare una bella sosta di un’ora a Monza per «rottura del materiale rotabile». E non solo, la rottura. Comunque, quattordici ore di viaggio in cambio delle sette promesse, treni locali al posto di eurositi. Rimborsi? Manco a parlarne. Che la cosa è minimamente accettabile se uno parte per la vacanza ma se torna mica tanto.
Perché, dunque, racconto queste piccolezze di treni mancanti e sostituiti senza avviso? Perché è sempre un po’ la stessa storia che si ripete: là fuori, intendo in Europa centro-occidentale, per un sacco di motivi vivono meglio di noi. Poi possiamo discuterne, e parecchio, ma per quanto riguarda l’efficienza dei servizi di base, la cortesia, il rispetto e la correttezza delle aziende verso il cliente, la chiarezza della comunicazione, non c’è partita. Poi è chiaro che uno, vivendo in Italia, si adegua e nulla è insopportabile ma quando capita di fare il confronto è davvero un po’ umiliante. Vabbè, solita solfa. Anche le gommosità nei distributori automatici hanno, loro. Mmm.

Dice il proverbio lucchese:

Hai voglia di girare il mondo e rigirallo,
se parti ciuco non tornerai cavallo.

Com’è vero. Non sono tornato cavallo però, però sono tornato un pochino meno ciuco, perché qualche cosa ho visto, qualcosa ho imparato, ho ascoltato qualcuno e due domande me le sono fatte. Ciuco resto, chiaro, ma non quanto lo sarei rimasto stando a casa. Forse, almeno, ciuco più riposato e rilassato e con qualche chilometro in più nelle zampe. Nel vastissimo campo delle riflessioni sul viaggio, migliaia di anni di speculazione sul tema, per le quali è inutile andare lontano o, addirittura, è inutile andare proprio, perché alla fine uno porta in giro sé stesso, con la propria testa, cuore e gambe (detta meglio: «Perché ti meravigli che non ti giovino io viaggi? Tu porti in ogni luogo te stesso; ti incalza cioè sempre lo stesso male che ti ha spinto fuori», per citarne due dico Socrate e Orazio), devo dire che mi ci riconosco fino a un certo punto: il bello del mio andare in viaggio e che ci vado con la versione migliore di me. La versione curiosa, aperta, spensierata o quasi, la versione che si muove e non vorrebbe mai fermarsi, la versione disponibile al dialogo, paziente e gentile, nei limiti del possibile. Questo mi piace, mi piace anche che i muscoli vadano meglio di giorno in giorno, il fiato pure, più si cammina e meglio è, più peso si porta e… no, quello no. Il movimento riequilibra tutto, porta sonno buono, fame giusta, stanchezza corretta.
Non vedo l’ora di ripartire. E di tenerne memoria per chi ne avrà voglia. Per ora devo ringraziare tutti coloro che hanno dato una scorsa, una fugace vista, una lettura attenta, un commento, un riscontro, una parola di ritorno, mi hanno riferito di una risata: grazie. Io ho buttato giù di giorno in giorno, di panchina in panchina, spero di essere riuscito a trasmettere la necessaria leggerezza per raccontare un piccolo viaggio di esplorazione ai tempi della pandemia mondiale. È stato un rimedio ai mesi chiusi in casa, ai pomeriggi a guardare la mappa e fantasticare, mettere i segnalini e guardare le fotografie. Cosa succederà nei prossimi mesi? Saperlo… Di sicuro bisogna approfittarne finché si può, godendone sinceramente, senza quell’aria da schiaffoni che impera al momento fatta di foto in posti da sogno e commenti del tipo: «eeeh, quest’anno Italia…» con tono rassegnato. Maandéadaviàlcul.
Mi ripeto ma per sincerità: grazie a chi c’è stato in questi otto giorni. E grazie a chi vorrà condividere qualsiasi cosa in futuro in modo reciproco, ne sarei contento.
E ora, via con la vita normale: pagamento TARI, oplà. Le cose di trivigante continuano, i viaggi tra un po’.

gli altri giorni: zero | uno | due | tre | quattro | cinque | sei | sette | otto

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