highway to heaven

In una anglochiesa mi hanno dato questo utile quiz per capire se sto procedendo davvero verso il paradiso.

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Ho ovviamente risposto “dando soldi alla chiesa” ma la risposta vera, all’interno, era: «Nessuna di queste cose, andare in paradiso dipende dalla fede nel tuo cuore».
I’m on the way to the promised land / I’m on the highway to he… aven.

la foto di Marco e gli italiani all’estero

Marco, alias Galactus, Grandesacchetto e chissà quante altre identità nascoste, fa un sacco di cose belle, dalla ricerca nella Scienza vera ai videi ai programmi alla musica.
E fa anche delle foto molto belle e significative. Gliene rubo una che ha fatto a Dismaland (a proposito: non ci siamo incontrati, peccato!, nonostante lui portasse una maglietta di Garabaldafafarata e io desiderassi incontrarlo in sì ameno luogo e offrirgli una cervogia calda) e che mostra alcuni nostri connazionali cogliere esattamente il messaggio sul palloncino e incarnarlo appieno con consapevolezza. Grazie, mr. M.

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guerrieri… giochiamo a trovarci un nome pauroso?

In questi giorni i protagonisti di I guerrieri della notte, film del 1979 memorabile per i ragazzi dei Settanta come me, si sono ritrovati a Coney Island per celebrare non si sa bene cosa. Eccoli:

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Vabbè, l’importante è stare insieme. Comunque, spulciando i dettagli del film di allora mi pare che la cosa più rilevante siano i – meravigliosi! – nomi delle bande che scorrazzano per New York e si ritrovano al festone finale.

Fedele come sempre allo spirito di servizio vorrei qui offrire a chi potesse servire un elenco di alcuni nomi, mutuati dal film, particolarmente utili per chi volesse fondare una gang di ribaldi e teppisti, o ne avesse una senza nome e non uscisse dall’empàss.
Ecco i migliori e più paurevoli:

  • abbiamo fatto l’istituto tecnico: The Electric Eliminators
  • ah, la mamma: The Satans Mothers
  • teppisti nederlandocanadesi ordinati e gentili: Van Cortlandt Rangers
  • uccidiamo di noia: The Baseball Furies
  • abbiamo dato storia medievale: The Charlemagnes
  • ci piace Springsteen: The E Street Shufflers
  • uccidiamo con la danza: The Gun Hill Dancers
  • siamo bravi ragazzi: The Homeboys
  • abbiamo letto la bibbia: The Judas Bunch
  • facciamo sparire le persone e i conigli: The Magicians
  • abbiamo dato storia moderna: The Napoleons
  • non ci confondete con: The Queen’s Bridge Mutilators
  • abbiamo un pochino di confusione in testa: The Shanghai Sultans
  • paura, eh?: The Yo-Yo’s

Ma i vincitori assoluti di questa speciale lista sono senza ombra di dubbio loro: The Xylophones. Tutto vero.

Yogi Berra, non Yogi bear

Apprendo oggi della dipartita di Yogi Berra, che non è appunto l’orso che ruba i cestini dei picnic e non è, tantomeno, un santone indiano: è piuttosto un famoso giocatore di baseball, pare di quelli grandi, collega e pari di Di Maggio.
Bene, pare che Yogi Berra sia ricordato anche per le sue frasi lapidarie, spesso al confine tra aforismo, nonsense e paronimia. Per esempio, pare sia sua la nota frase:

It ain’t over ‘til it’s over

che è un invito a non mollare prima del fischio finale, se non ricordo male usata pure in alcuni film (Animal House?).
Meno comprensibile è un’altra sua frase ripetuta spesso (lo scopro oggi):

When you come to a fork in the road, take it.

Capisco l’invito a prendere una decisione, ma prendere un bivio di una strada non significa nulla se non c’è la direzione. Penso.
La migliore, che voglio fare mia in determinate occasioni, è invece la più completa sbandata che gli usciva sovente dalla bocca:

I really didn’t say everything I said.

Certo, come no? C’è un corollario, con cui la frase continua, che è: “Then again, I might have said ‘em, but you never know“. Meglio, ma resta sempre un pazzo, in qualche modo.

Quello che è interessante per me è che Yogi Berra era un campione involontario della paronimia, ovvero lo scambio, voluto o accidentale, di parole somiglianti nella forma ma diverse nel significato. La più diffusa in italiano è, forse, una cosa tipo: “Non spiaccica una parola di inglese“. Ne faremo un gioco, chissà.
La paronimia, e qui viene ancor il più bello, è detta in inglese “malapropism“, derivato a sua volta da Mr. Malaprop, un personaggio della commedia The Rivals di R. B. Sheridan, così chiamato dalla locuzione francese “mal à propos“. Quando il sindaco di Boston, per fare un esempio celebre, disse “Texas has a lot of electrical votes” al posto di “electoral votes” fece chiaramente un malapropismo.

E ora vi saluto e mi vado a fare una speronata di spaghetti.