Animo libero, spirito progressista, vero primo professionista indipendente nella musica, demente a tratti, infantile e geniale insieme, come non apprezzarlo sia come persona che, ovvio, come musicista? Per questo lo ricordo il cinque. «Della salvezza della mia anima non preoccupatevi», disse saggiamente, fu genio e deficiente insieme, innovatore, progressista, libero pensatore e libero professionista in un’epoca in cui accasarsi a corte era l’unica via, innovò magistralmente, ne ebbe meriti e ne pagò le conseguenze. Un uomo profondamente libero, di quelli che piacciono a me.
Mentre si celebrava nel mondo la Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità e il presidente Mattarella si recava in visita all’Inail, le pagine dei giornali erano occupate dal duello politico Conte-Di Maio, indovina?, fotocopia di quello tra Conte e Grillo di questi giorni, buontemponi dei Cinque Stelle.
Allora però erano al governo. Ecco, appunto: mentre ne sarebbe dovuto rimanere uno solo, e così poi sarà anni dopo, uno dei due stava per prendere la scena assoluta e inventarsi delle assurde conferenze stampa a mezzanotte per darci nuove certificazioni e bonus a pioggia non appena possibile per la pace sociale. Perché il 3 dicembre di cinque anni fa, e noi mica lo sapevamo, veniva rilevato il primo caso di Covid a Wuhan.
Ma no, mica passa da uomo a uomo, figuriamoci, e poi c’era uno a Codogno che corse la mezza maratona nel mezzo di una vita ben vissuta, e poi quello che aveva mangiato il pipistrello e mica potevano stare buoni ’sti cinesi col cibo? E avanti, dritti nel collo di bottiglia. Che a leggere bene ci fu anche chi avvisò che questo virus avrebbe contagiato tutto il mondo. See, figuriamoci, e noi a farci beffe di Codogno e Vo’ Euganeo. Ma manco pitturato, tornar indietro.
Questa mattina è mancata Licia Pinelli, cioè Licia Rognini, moglie di Giuseppe ‘Pino’ Pinelli. Novantasei anni di cui cinquantacinque vissuti con la bomba. Vorrei ricordarla con una cosa breve che scrissi quindici anni fa mentre pensavo a lei, dopo aver letto le sue parole nel racconto di Piero Scaramucci. Si intitolava: “12 dicembre 1969: gli sconfitti e i sommersi”.
Quando qualcuno mette una bomba un venerdì pomeriggio in una banca, non restano soltanto morti e macerie. Restano gli sconfitti e i sommersi, vivi e morti che non hanno avuto la possibilità di salvarsi. Chi di noi ha una coscienza è uno sconfitto e come tale è giusto che si senta. Coloro, invece, che la bomba l’hanno sentita direttamente sono i sommersi, coloro cui non è stata data la possibilità di salvarsi; anche se alcuni di loro sono sopravvissuti, con grande forza e dignità, sono stati sommersi. Il 12 dicembre 1969, anche se lei ancora non lo sapeva, Licia Pinelli era già stata sommersa. L’avrebbe scoperto dopo. Feltrinelli ha di recente ristampato una lunga intervista di Piero Scaramucci a Licia Pinelli che vale senz’altro la pena di leggere. E si badi al titolo: “Una storia quasi soltanto mia”. Sua perché di Pino si parla, suo marito, sua perché rimase sola come succede quando ti scoppia una bomba in casa e tuo marito vola da una finestra senza ragione, sua perché – e il titolo lo afferma chiaramente – c’è una bella differenza tra essere sconfitti, noi, io, voi, ed essere sommersi, lei e Pino tra i tanti. Pochi si salvarono, non sappiamo nemmeno i loro nomi, perché nessun processo, mai, riuscì a dirli. Ed erano quelli con i candelotti nella borsa.
1974, alle ore 1.30 del 4 agosto, una bomba esplose nel secondo scompartimento della quinta carrozza del treno Italicus, Roma-Monaco di Baviera, mentre transitava all’interno della galleria della Direttissima a San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna. Morirono dodici persone: Nunzio Russo di Merano, tornitore delle ferrovie, la moglie Maria Santina Carraro e Marco, il figlio quattordicenne. Nicola Buffi, 51 anni, segretario della Dc di San Gervaso (Fi) ed Elena Donatini rappresentante Cisl dell’Istituto Biochimico di Firenze. E poi Herbert Kontriner, 35 anni, Fukada Tsugufumi 31 anni, e Jacobus Wilhelmus Haneman, 19 anni. La bomba uccise anche Elena Celli, 67 anni e Raffaella Garosi, di Grosseto, 22 anni. Silver Sirotti, invece, non era stato coinvolto nell’esplosione. Aveva 24 anni ed era stato assunto dalle Ferrovie da dieci mesi, stava svolgendo servizio sul treno quella notte e, quando vide le fiamme in galleria, impugnò un estintore e incominciò a estrarre i feriti. Rimase anche lui bloccato tra le fiamme. Fu decorato con la medaglia d’oro al valor civile. L’incendio rese irriconoscibili molti corpi, tra cui quello di Antidio Medaglia, 70 anni, che venne riconosciuto dalla fede al dito.
L’attentato fu subito rivendicato. Fu fatto ritrovare un volantino di Ordine nero che proclamava: “Giancarlo Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l’autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti“. Poi qualcuno fece il nome di Tuti, qualche pista portò poi a Gelli (Arezzo è vicina), al SISMI e così via. Facile indovinarne la conclusione: nessun colpevole individuato.
Questo è un post di dieciundicidodicitredicisedici diciassette anni fa. E la cosa tragica è che non fa nessuna differenza.
Vero, sappiamo chi, sappiamo come e perché. Sarebbe bello fosse storia, almeno, consegnata ai libri come verità storica, giudiziaria e personale di chi ha perso parenti e amici, di chi è stato ferito, di chi ha vissuto direttamente e indirettamente l’insulto e la violenza. E invece no, è vero che manca la stronzata agostana di Cossiga che dal 1980 lanciava annualmente piste diverse, ora abbiamo la seconda e la quarta carica dello stato, minuscolo oggi, che giocano con la pelle e la storia del paese e delle persone, e giù a scendere di piccolo in piccolissimo. Nessuna novità, almeno oggi non ci sono le bombe, mica detto poco. Ma la soddisfazione è davvero altra cosa.
Se, giustamente, Paolo Bolognesi dice dal palco: «Le radici di quell’attentato affondano nella storia del postfascismo italiano: Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale oggi figurano a pieno titolo nella destra italiana di Governo» la cosa ha perfettamente senso. Non ce l’ha che la presidente del consiglio Meloni risponda: «Sono profondamente e personalmente colpita dagli attacchi ingiustificati e fuori misura che sono stati rivolti alla sottoscritta e al Governo», parli di frasi «molto gravi» e aggiunga: «Ed è pericoloso, anche per l’incolumità personale». L’unica risposta è quella, ancora, di Bolognesi: «Meloni la finisca di fare la vittima». Questa destra aggressiva, bulla e sfrontata che quando viene messa in discussione si lagna e piagnucola ha veramente da finire.
A.P.T. è un’amica, testa pensante e leggera, presente politicamente, pronta a spendersi in prima persona da una vita. Come stavolta, in cui ha sentito la necessità di esprimersi pubblicamente:
Un discorso politico e civile chiaro, netto, senza sbavature. Come è lei. Non si faccia l’errore di considerarlo un consiglio della nonna, è un ragionamento chiaro, diretto e coraggioso. Non le si faccia torto, sia sottovalutandolo che non votando.
Una piazza gremita per ricordare la strage, volti noti, amici, conoscenti, familiari e persone impegnate, giovani, tanti. Le due ragazze che dal palco si rivolgono direttamente alle vittime – “Noi siamo dei vostri” – danno ai presenti un momento di commozione.
Dal governo, nessuno. Non è una novità. La presenza e il discorso diretto e incisivo di Mattarella risaltano anche per questo, Quest’uomo migliora col tempo. Cinquant’anni, molte idee chiare sull’accaduto, qualcuna sugli esecutori materiali in via, forse, di definizione con i due processi, il clima attuale spinge alla partecipazione e la memoria. Domani a Roma il ricordo di Matteotti con un intervento di Bruno Vespa, non ci si deve distrarre come le allodole.
In ospedale, in reparto, un sussulto di consapevolezza.
Perdio sì.
facciamo 'sta cosa
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