inizio folgorante

Mentre sto prelevando al bancomat, mi suona il telefono ed è una chiamata importante. Rispondo, prendo la tessera e me ne vado. Dopo una cinquantina di metri mi ricordo di una cosa: i soldi. Torno indietro, sempre al telefono, e il bancomat se li è rimangiati, per fortuna. La persona dopo di me è stata molto onesta. Attendo il mio turno e prelevo di nuovo, mi servono.
Vado a ritirare l’auto dal gommista, gomme invernali ma nuove nuove. Pago col bancomat, mi arriva la conferma del pagamento sul telefono ma sul pos il pagamento è negato. Il gommista riprova, il bancomat non paga più perché ho superato la soglia del giorno con il primo pagamento. Ci conosciamo, ci vedremo tra qualche giorno, se il pagamento come sembra non è andato a buon fine.
Arrivo in studio e come mi ha richiesto il commercialista accedo al cassetto fiscale. Anzi, provo, perché l’Agenzia delle entrate mi dice che il mio spid è temporaneamente bloccato per i troppi tentativi di accesso. Il mio è il primo. Non riesco più a entrare.
Arriva la notifica del doppio prelievo con il bancomat.
Molto bene. E questo tra le otto e un quarto e le nove. Molto molto bene. Capisco la giornata, è una di quelle in cui mi devo fermare, trivigante tocca niente, e devo evitare troppi danni. Sta’ buono. Buono.

Fermo fermo.

oh lord, what a unbearable smell of incense

Lui è un miliardario ultraconservatore proveniente dai fondi speculativi, quindi non gode di alcuna delle mie simpatie da qualsiasi prospettiva lo guardi.

Però il fatto che al dieci di Downing Street si trovi per la prima volta un primo ministro induista di origini indiane nato da genitori emigrati in Africa mi delizia, e il pensare che i Lord Mountbatten Chamberlain Battenberg Villanti Sforza Ammiragli Baroni di Greenwich e Governatori generali dell’India del passato e del presente siano governati da uno così mi manda in sollucchero. Spero rosichino, quelli vivi e i fantasmi degli altri, a vedere Rishi Sunak che nella residenza di governo oggi festeggia Diwali e gli impesta tutti i vellutini.

Costa, va’ al punto

Dopo averlo consigliato tempo fa ad amici e parenti, ora Morning, la rassegna stampa mattutina del vicedirettore de Il Post, mi irrita. Se potessi togliere le premesse, le precisazioni e i distinguo che Costa fa per non rischiare di offendere qualsiasi entità ipotetica, la rassegna durerebbe dieci minuti. E sarebbe perfetta. Restano l’intelligenza e il valore dei contenuti ma il temperamento mi suscita grande noia.
Al contrario, due podcast di informazione che vanno dritti al punto sono The essential di Mia Ceran e Stories di Cecilia Sala, entrambi di pochi minuti, il primo su un fatto della giornata, il secondo rivolto all’estero, il primo da cinque minuti, il secondo variabile tra i cinque e i dieci. Insieme, sono tutta l’informazione giornaliera di cui ho bisogno. Peraltro, Sala è anche una delle due autrici dell’ottimo Polvere, podcast che segnalavo qui.

due serie tv aziendali che mi hanno dato qualche idea

Nessuna delle due è un capolavoro, per carità, ne scrivo perché mi suscitano qualche considerazione. La prima è Super Pumped. The Battle For Uber, ovvero come esplicita il sottotitolo racconta la storia della nascita e della crescita di Uber. Il sopratitolo, invece, rimanda a una serie antologica in cui ogni stagione racconterà un’azienda, la prossima Facebook. Comunque, la vicenda di Uber è sostanzialmente quella di Travis Kalanick, cattivissimo e spregiudicato fondatore dell’azienda, classico ladro d’idee ma abile a svilupparle, fino alle sue forzate dimissioni (è storia, non uno spoiler). L’intreccio con Google, Apple, il governo cinese, gli autisti e l’automazione della guida, ne fa una buona storia. Ed è ben raccontata, seppur complessa. Bella anche la locandina, esplicita.

Il pensiero che mi è venuto è che non sempre, anzi quasi mai, si accoppiano nella stessa persona la capacità di avere una buona idea – intendo in termini di Silicon valley – e l’abilità di svilupparla, finanziarla, portarla a compimento e sostenerla a ogni costo. Ne sono testimonianza tutte le maggiori compagnie del settore, là dove chi l’ha sviluppata è poi accusato di aver rubato l’idea originaria, Zuckerberg su tutti, o al contrario chi invece ha avuto l’idea poi ha avuto bisogno di CEO e amministratori abili in grado di affrontare una concorrenza tutt’altro che facile, per esempio Page e Brin. Se Gates fa un po’ eccezione in questo, ma si è pur sempre appoggiato a qualche figura discutibile, Jobs con alti e bassi in qualche maniera ha incarnato l’unione delle due cose e, non a caso, è ancora oggi oggetto di venerazione, tecnologica e aziendale.

Uno che ha avuto l’idea, e qui vengo alla seconda serie, e che è ancora alla guida della sua società è il fondatore di Spotify, Daniel Ek, e la serie è The playlist. Se fosse rimasto da solo, sarebbe ancora nella sua stanzetta a giocare col compiuter, come tutti, però la sua rigidità e una certa cultura di stampo socialista diffusa in Svezia hanno contribuito al fatto che l’azienda diventasse quello che è, mantenendo qualche principio ideale.
La serie non è formidabile, tutt’altro, è anzi un filino lenta e piuttosto svedese, ha però il merito di utilizzare un espediente narrativo collaudato ed efficace: le sei puntate sono dedicate ciascuna a un protagonista della vicenda – il fondatore, il socio finanziatore, lo sviluppatore, l’avvocata eccetera – che di volta in volta ritiene di essere stato l’elemento fondamentale per il successo dell’intuizione. Detto per inciso, la variabilità del client che senza buffering fa chiamate p2p in prima battuta, poi anticipa le ricerche successive in modo predittivo e se così non è passa al server, peraltro ignorando certe perdite di pacchetti, è davvero sorprendente.

Il senso della narrazione, quindi, punta a sottolineare come la contribuzione sia stata molteplice e come sia, in effetti, impossibile attribuire pesi dettagliati alle azioni dei protagonisti nel corso degli anni, i quali restano sulle proprie posizioni soggettive.
Ed è a questo punto che mi sono venute in mente due situazioni italiane analoghe, per le quali è oggi di fatto impossibile ricostruirne i dettagli con precisione e delle quali non conosceremo, probabilmente, mai l’esatto andamento dei fatti. La prima è la vicenda del rapimento e omicidio Moro: i racconti dei brigatisti sono tanti e tali, ciascuno minato dagli interessi diversi di ogni protagonista – volontà di sminuire le proprie responsabilità, a volte proprio il contrario, protagonismo, vanità, memoria vacua, protezione di altri e così via – che oggi conosciamo a grandi linee l’andamento della vicenda ma restano molti passaggi oscuri impossibili da chiarire definitivamente. La seconda è la caduta del governo Mussolini il 25 luglio 1943: venti furono i protagonisti di quella notte, venti sono i racconti diversi spesso confluiti in libri, tante le ipotesi al punto che noi ancora oggi – essendo stati distrutti i verbali – non sappiamo come andò. Da Grandi in giù tutti si attribuirono un ruolo superiore alla realtà distorcendo i fatti, di questo ne siamo certi, perché per esempio la natura stessa del regime non permetteva certo di sfiduciare Mussolini, cosa che già contraddice molti dei racconti pervenuti. Gli storici più seri oggi concordano sul fatto che tale caduta non sarebbe avvenuta se in un certo qual modo non vi avesse contribuito lo stesso capo del regime, ma i dettagli e ciò che sia effettivamente successo quella notte resta per noi ancora sconosciuto. E sì che la vicenda non è certo secondaria. Eppure le motivazioni dei partecipanti – sminuire le proprie responsabilità pregresse, aumentare il proprio prestigio verso gli Alleati e il nuovo corso, protagonismo, ancora, e così via – inquinarono a tal punto i resoconti da costringere a un angolo la ricerca dei fatti.

podcast: sì e no sul delitto della Sapienza

Il 9 maggio 1997 qualcuno sparò alla Sapienza di Roma a Marta Russo, che morì qualche giorno dopo. Movente? Arma? Colpevoli? Niente, e pure le condanne di Ferraro e Scattone son da rivedere, probabilmente. Il mondo dell’università che si chiuse a riccio, una compagnia di persone all’interno del dipartimento indagato una peggio dell’altra, omissioni e passi falsi, necessità di trovare un colpevole. Se la cronaca nera non riveste alcun interesse per me, e secondo me anche in assoluto perché non c’è alcun contenuto utile trasmissibile, questo caso assunse fin da subito grande rilevanza proprio per le modalità dell’omicidio e, ovviamente, per il luogo. L’università, un luogo protetto. Anche allora mi colpì profondamente.
E allora, due podcast: Polvere, notevole, cronaca asciutta e approfondita di avvenimenti, persone, sentenze e retroscena, scritto e letto da due valide giornaliste, quindi sì; decisamente no per Marta. Il delitto della Sapienza, racconto emotivo del delitto con brani recitati del diario di Russo, «intimo e segreto», classico podcast da RaiPlay.