Tutto ’sto menello per andare in Libia quando bastava andare vicino a Mantova:
Tripoli, frazione mantovana, è una delle memorie del periodo libico in Italia, mi viene in mente il quartiere Cirenaica di Bologna, bellissimo peraltro, e le case o i quartieri ‘dei libici’ in molte città italiane, ove per odonomastica o perché abitati da italiani nati in Libia e rientrati o libici proprio dopo la seconda guerra mondiale e la perdita della colonia.
Bel programma, a veder le piante con il Nucleo dei Carabinieri Forestali:
Invitano, giustamente, a prenotarsi, con tanto di formula galante rsvp. La cosa notevole è l’indirizzo mail: erregieffeel… no, elle, dopo la effe, sì, effeelleemme, emme come Mantova, bi, ci, di, sì, come l’alfabeto, o, sì, signora, o, Otranto, ma come posso ripetere? ergiflemmebicidiò, sì, chiocciola. O son carabinieri, si sa, o sono genii, un sacco di lavoro in meno. Prenotazioni? Due, maresciallo. Solo in due ce l’hanno fatta. Grazie signor L.
Come avevo capito persino io, la tranquillità in Libia – se così si può dire – è durata il battito di un niente: ucciso l’altro ieri Abdel Ghani Al-Kikli, conosciuto come Ghaniwa e accusato di abusi, torture e crimini contro l’umanità, e la sconfitta del suo gruppo, l’Apparato di Supporto alla Stabilizzazione (Ssa), a opera della 444esima brigata combattente di Mahmoud Hamza ed eseguito dal capitano Musaab Zariq. Al-Kikli, vedi com’è, qualche settimana fa era stato avvistato in Italia, anche lui incurante del mandato di arresto internazionale. Gli scontri che ne sono seguiti, tra la Brigata 444, allineata con il presidente Dbeibah, e la Forza di Deterrenza Speciale (Rada), l’ultima grande fazione armata di Tripoli non ancora schierata con il premier e che fa capo, vedi, allo sciagurato Usāma al-Maṣrī Nağīm, conosciuto come Al Masri, anche lui ricercato e liberato prontamente dal governo Meloni mesi fa. Ne raccontavo qui. Il presidente Abdulhamid al Dbeibah, primo ministro del Governo di Unità Nazionale (Gnu), ha colto la palla al balzo per provare a eliminare Al Masri e la sua milizia, la Rada, così da togliersi dai piedi un oppositore. Ma non basta, da ovest sono converse su Tripoli le fazioni armate provenienti da Az Zawiyah, luogo dove partono i barconi, ci sono i centri di detenzione, parte il gasdotto per l’Italia, dove operano i gruppi dei clan a cui apparteneva Abdurahman al-Milad (“Bija”) ucciso a settembre in un agguato nei pressi della città e, come avevo intuito pure io che nulla so, il comandante della Cirenaica Khalifa Haftar e il suo Esercito Nazionale Libico (Lna) hanno cominciato a muovere verso Sirte, in direzione di Tripoli, cogliendo l’occasione per farsi trovare pronti a pigliarsi tutto.
Alcune fonti parlano di novanta morti a Tripoli, le immagini sono preoccupanti, anche in centro città nella piazza dei martiri, e la tregua attuale – il ministero della Difesa: «ha invitato tutte le parti a rispettare pienamente il cessate il fuoco e ad astenersi da dichiarazioni provocatorie o da qualsiasi movimento sul campo che possa riaccendere le tensioni» – pare fatta di nulla. Un po’ ridicola, la procura di Tripoli ha emesso un avviso di garanzia per Al Masri per i crimini commessi dalla sua polizia giudiziaria, per abusi e crimini nella gestione delle carceri. Cioè gli stessi motivi per cui è ricercato dalla polizia internazionale – non quella italiana -, cosa che finora andava bene, evidentemente. Al Masri a questo punto è l’obbiettivo e in mancanza di protezione o si adeguerà al presidente o verrà ucciso come Bija e tutti gli altri spazi verranno occupati dalle forze in campo, impossibile fare previsioni adesso. Il territorio è delle bande che si camuffano da milizie fedeli al regime, tutto sta nella forza esercitata o dimostrata. Il bottino sono i soldi che derivano dal traffico di migranti e dal possesso dei pozzi di petrolio ma la partita è ben più grande: Haftar pochi giorni fa era a Mosca, sempre interessata a tutta la Cirenaica come zona di influenza e per il porto a Tobruk, e sia Haftar che Dbeibah nelle settimane scorse hanno incontrato Trump, per negoziare lo sblocco dei fondi di Gheddafi, venti miliardi di dollari, in cambio di contratti con l’industria americana. E non mancano Turchia ed Egitto, interessati per ragioni economiche e geopolitiche. E l’Italia, con Eni che in Libia è dappertutto da decenni. Giusto per dare un’idea del movimento, una mappetta già vecchia delle aree di influenza delle milizie e del numero di forze in campo nella sola Tripoli:
Il centro, come sempre, è l’aeroporto, strategico, ora chiuso e si vola su Misurata. Si vola per venir via, chiaro.
Come mai durante i question time alla Camera, pure abbastanza importanti, lui lo lasciano andare tranquillamente agli Internazionali? E in serata a vedere il Milan perdere in finale?
Non dico che gli regalino i biglietti, per carità, di sicuro non gli strattonano la camicia per restare, direi.
A Praga stanno rinominando una alla volta le strade e le piazzette attorno all’ambasciata russa.
Boris Nemcov, translitterato all’inglese Nemtsov, vicepresidente di Eltsin e liberale indipendente oppositore di Putin, fu ammazzato a colpi d’arma da fuoco mentre stava attraversando il Ponte Bol’šoj Moskvoreckij, vicino al Cremlino, nel 2015. Gli altri sono nomi noti anche a noi italiani. Beh, tra le tante cose che si possono fare, questa non è male.
Sulla Narva, il fiume al confine tra Estonia e Russia, ci sono due fortezze che si guardano in cagnesco da secoli, Narva e Ivangorod. Lo raccontavo in un minidiario l’anno scorso, il posto è notevole di suo e ancor più oggi con le tensioni russe, visto che è l’unico confine pedonale attraversabile tra Russia ed Europa. Ecco qui, sul lato Narva, in occasione della festa russa del 9 maggio oggi per la vittoria contro il nazifascismo, qualcuno ha appeso un manifestone dritto sulla faccia di Putin e russa:
Propastop.org è un blog indipendente estone che si occupa, appunto, di propaganda e di tutelare lo spazio informativo estone. Bel tiro, Putler apprezzerà sicuro, chissà come gli rode. Hitlin non era un granché, in effetti.
Ecco la prima immagine del nuovo papa, Leone quattuordecimo:
Che con quel cognome, Prevost, era evidentemente predestinato alla carriera. Registro la ripresa degli abiti cerimoniali – la vezzetta, il diliquano e i pendagliumi – dopo il bianco sacrale di papa Francesco. Tra i giornali, i più significativi sono quelli italiani, perché più coinvolti e avvezzi, Domani fa la citazione cinematografica:
Il Manifesto gigioneggia come al solito, non irresisitibile:
Il Riformista cita la serie di Sorrentino, non improprio perché americano:
Infine la più elegante, ovviamente:
A me non piacciono molto i nomi papali con alto numero di serie, preferisco quelli originali con due o tre al massimo.
Sepolto il papa a Santa Maria maggiore, ottima scelta, a fianco di Bernini e del vigliacco Junio Valerio Borghese, in molti come me hanno apprezzato la sobrietà della tomba ma si sono interrogati sull’epigrafe. Chiarisco. Partendo dalle foto, ecco:
Il nome, esattamente come scritto, è dunque:
Ciò che salta all’occhio anche dei non addetti è la crenatura, o spaziatura a dirla più comprensibile anche se meno corretta, ovvero lo spazio tra una lettera e l’altra, o tra gruppi di lettere. Ora: lo spazio tra le lettere di una qualunque scritta non è mai regolare, viene bensì adattato dai grafici e dai tipografi perché risulti più appagante per l’occhio, quindi attorno a certe lettere si riduce, attorno ad altre si aumenta. Tutto leggermente, niente di drastico, ma è un lavoro necessario perché la spaziatura regolare e precisa non viene apprezzata alla vista. In questo caso, appare tutto un po’ strano, provo a dare le distanze:
Le prime tre sono regolari anche se eccessivamente distanziate, poi la ‘N’ eccede prima per invece appiccicarsi al gruppo ‘CIS’ che si restringe drasticamente, torna quasi alla normalità per terzultima e penultima per poi stringere di nuovo. Le differenze sono sostanziali, non è un impercettibile aggiustamento, tant’è che anche alla vista appare un accrocchio di gruppi separati, tipo: F R A NCISC V S. Ecco come sarebbe se fosse sistemata, seppur troppo ravvicinata per i canoni papali:
Ora: è ovvio che la cosa sia voluta, non c’è dubbio, sfuggono però le ragioni. Che sono sicuramente molteplici, dalle consuetudini secolari al contesto in cui è stata collocata la tomba al manuale di grafica pontificia che, magari, risale a Marco Aurelio, va’ a sapere. L’unica certezza è che stride, sia alla vista sia in relazione alla sobrietà, come detto, e semplicità del sepolcro. Inutile aspettarsi chiarimenti, in questo la Chiesa è saggia e non parla, al massimo tra due secoli manderà un onesto artigianino che zitto zitto acconcerà la cosa. Per ora, andrò a vederla di persona non appena il flusso sarà scemato e cerco di sedare il pensiero di quegli spazi messi lì così.
A Sabratha, per essere preciso. Ma come chi? George Carlin, non è evidente?
facciamo 'sta cosa
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