minidiario scritto un po’ così di un breve giro baltico: uno, ancora?, questa cosa irrisolvibile dei confini, l’aria di questo mare

Sto contemplando la fortezza di Ivangorod, al di là del fiume Narva. Il fiume fa da confine da non molto, sono trent’anni, lo era stato prima, per la breve indipendenza degli anni Venti, con la Svezia ancor prima, per secoli è stato solo un fiume da valicare, ora però è un punto molto caldo. Perché di là è Russia e di qua no.

Vado con ordine, ricomincio dall’inizio. Colgo la palla al balzo di un piccolo appuntamento per dare al me stesso del presente ancora qualche giorno di vagabondismo, che il rientro si preannuncia intenso. Tornato dal Tajikistan, qualche giorno di lavoro fatto, sbrigata un’incombenza fastidiosa, attaccate le calamite al frigo, lavato tutto, dai che tre giorni ci stanno ancora. E siccome da parecchio vorrei vedere il confine di cui dicevo, e qualche giorno al fresco lo passerei volentieri, anche in prigione, rimollo gli ormeggi e organizzo il girino.

Tallinn per cominciare. Estonia, la repubblica baltica più a nord, anch’essa sul mar Baltico che chissà perché tanto mi attrae. Che aria, qui. Sfogliando la guida, mi porto qualche libro da scorrere, alla ricerca di qualche notizia utile: il fresco-fresco The Baltic revolution: Estonia, Latvia, Lithuania and the path to independence di Anatol Lieven, fresco nel senso che è del 1993, fresco di indipendenza; l’interessante Remains of the Soviet Past in Estonia: An Anthropology of Forgetting, Repair and Urban Traces di Francisco Martinez, che non deve aver vissuto direttamente le vicende, a occhio. Tralascio i trattati sui castelli dell’Ordine teutonico nei paesi baltici, magari più avanti, e altrettanto avanti il tremendo Bang Estonia: How to Sleep with Estonian Women in Estonia di tal Roosh V – specialista nel tema con altri saggi come Game: How To Meet, Attract, And Date Women e Day Bang: How To Casually Pick Up Girls During The Day – in cui sono incappato per caso, e resterò con il dubbio sul capitolo: Why Estonia’s entry into the Euro zone has made your seduction mission harder che, chiaramente, non leggerò. Chissà perché, comunque.

Chiaro che qui la questione russa è all’ordine del giorno da secoli, mica da ora. Per lungo tempo questa è stata Russia, URSS, zarista e bolscevica, in tutte le declinazioni. San Pietroburgo è lì, in fondo al golfo, aguzzare lo sguardo, in tempi normali pullman e traghetti partivano ogni mezz’ora. E io no, dai, ci sarà occasione, pensando le cose immutabili in Europa. Bravo, furbo.

Russa come svedese come danese come d’ordine teutonico come prussiana, le questioni qui sono state tante, più facile continuare a pestarsi i piedi in un mare chiuso come il Baltico o il Mediterraneo, la lega anseatica resta invece un modello irraggiunto di organizzazione e coabitazione. Certo, ogni tanto ci si radeva la città al suolo vicendevolmente ma il tenore generale era di commercio cordiale. In Estonia le città devono avere per legge nomi di cinque lettere, Tartu, Narva, Pärnu, Valga, Keila, infatti Tallinn è capitale perché ne ha sette. Tartu tra l’altro è in fibrillazione perché quest’anno è capitale europea della cultura, ne dicevo tempo fa perché ormai questa cosa pare la promozione europea di paesoni senza troppe prerogative. E infatti qualche giorno fa, per cultura, hanno inaugurato il festival del bacio. Dell’analoga norvegese non so ma non credo faccia faville.

Tallinn vent’anni fa era una città abbastanza conservata, al centro medievale anseatica con aspetto generale tedescheggiante, attorno russa per porto, magazzini, fabbriche. Complessivamente abbastanza dirupata. Oggi è una città turistica che ha beneficiato grandemente dell’entrata in Europa – nessuno è più europeista delle repubbliche baltiche, che non sono russi, non sono tedeschi, non sono polacchi, non sono finlandesi o scandinavi, sono appunto baltici e temono tutto l’attorno -, gradevole da girare e in cui trascorrere un po’ di tempo. Meno fascinosa di Riga, più di Vilnius. Ha degli scorci belli.

Per quanto riguarda il recupero delle fatiscenze industriali, aggiungiamo una tappa obbligatoria alla deportazione dei nostri assessori all’urbanistica, dopo Lodz, Kaunas, Poznan, Varsavia, così che vedano come fanno qua fuori.

Non dico debba piacere ma, qui, non radono al suolo per costruire centri commerciali affetti da infantilismo, già vecchi e dalla vita breve, recuperano bensì a borgo, con gli edifici della fabbrica che sono di volta in volta uffici, alberghi, negozi, cinema e così via. Un altro piccolo centro città che si gira come lo giravano gli operai e gli impiegati. Dico solo di venire a vedere, prima. Le notti migliori in Europa le ho sempre fatte in alberghi dentro ex fabbriche, che ho scelto apposta perché sono più belli, non necessariamente di lusso. Da noi no, fabbriche brutte, inventarsi passato nobile e secondo tradizione.


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