minidiario scritto un po’ così dei giorni in Europa al tempo dei focolai: giorno uno, le città nascoste, l’edera ci avvolgerà e un saluto

A Cracovia ci son stato con Bonetti, era un po’ trist… No. Non era Bonetti e non era per nulla triste, anzi: a Cracovia ci son stato cinque anni fa e mi era molto piaciuta, ragion per cui dovendo approcciare di nuovo la Polacchia perché non ripartire da qui?
Cracovia, meglio dirlo subito, è bellissima. Strade aperte, luminose, un centro storico intoccato – perché mai bombardato o distrutto – armonioso ed elegante, città piccola ma non troppo, vivace e accogliente. Per meglio farmi capire, è una Padova potenziata: qui l’Università degli Jagelloni, là l’Ateneo, qui Copernico, là Galileo, qui la Vistola, là il Brenta, qui Rynek Główny, là Piazza delle Erbe, là Sant’Antonio e qui… mmm… Wojtyla. Ecco, se ne parlo male mi deportano, il culto è vivo e diffuso. In più, qui c’è il castello sulla collina di Wavel ma non c’è di certo la cappella degli Scrovegni. Pari. Alcuni dicono che se trovi coda a Praga ti conviene venire a Cracovia. Non del tutto esatto ma con una verità di fondo, io dico: fateci un pensiero, alla prossima vacanza da uno o due giorni.
Cose di cui dovrei parlare in apertura e che rimanderò perché non sono mica una guida seria: i polacchi; la polacchia; l’odio dei polacchi per tutti i vicini; fare le cose in un paese con una lingua del tutto incomprensibile e con pochissimi riferimenti a quanto conosciuto; la specialità alimentare dei polacchi che uno non si aspetterebbe; il corso di lingua polacca. Cose così, ci sarà tempo, forse.
Piuttosto, meglio sgombrare il campo subito: le misure in tempo di pandemia, qui, sono come da noi. Mascherina al chiuso e distanziamento. Ma, posso dirlo, senza convinzione. «Nessuno dubita che il coronavirus esista», mi spiega Jedrek, «ma le persone si chiedono se sia davvero pericoloso». Eccerto, lui come tanti altri non conosce nessuno che sia finito in terapia intensiva o che ci abbia lasciato le penne e qualche domanda se la pone. Non essendo, però, ciula come Bocelli, resta sul dubitativo. Ma che le persone si comportino di conseguenza è fuor di dubbio. E come dare loro torto? Se non avessi visto da vicino anch’io farei lo stesso, non ho alcun dubbio. Poi Jedrek prosegue e mi racconta che è stato a Roma cinque giorni, bellissima, e che poi è stato a Napoli ma dopo un giorno lui e la sua fidanzata sono scappati, perché avevano paura. Ma come? I duri polacchi si spaventano per due scugnizzi e per un museo chiuso? Ma lui ha trent’anni e che ne sa dei portuali di Danzica? O della Resistenza polacca? O della scuola alpinistica polacca?
A sud-est del centro di Cracovia c’è un quartiere, Kazimierz, che una volta era un paese a sé, storicamente della comunità ebraica, ed è stato poi inglobato nella crescita della città. Kazimierz è rimasto immutato dagli anni Quaranta a oggi, nel senso che le facciate delle case sono ancora quelle, e ha mantenuto le sue cinque sinagoghe e il cimitero ebraico perché durante l’occupazione nazista gli ebrei furono spostati in massa nel quartiere di Podgórze, che diventò il ghetto, e le case abbandonate. La fabbrica di Oskar Schindler, sì, quello di Spielberg e della lista, è qui vicino e il film fu girato qui. A parlarne un po’, qui nel quartiere, capisco che non gode di grande reputazione, come invece nel resto del mondo. Mi spiegano che sì, gli ebrei li ha salvati, certo, ma per farli lavorare in fabbrica, mica perché gli importasse per davvero. L’eroe, qui, mi dicono tutti, era il farmacista di Kazimierz, che nascose nel seminterrato centinaia di ebrei, curandoli e sfamandoli. Ci dev’essere pure un romanzo al riguardo, tradotto in Italia, non so come sia.
Non sono certo io a scoprire il fascino dei cimiteri ebraici nell’Europa dell’est e, quindi, non devo spiegare perché sia andato a dare un’occhiata. Mi aspettavo, come spesso accade, cumuli di lapidi ammonticchiate, spesso cadute, rotte e sovrapposte, tutte storte e illeggibili, e invece no, almeno non del tutto: non sarà la polvere del tempo a seppellirci, bensì l’edera. Hai voglia a mettere i sassolini sulle lapidi…

Nel tempo, grazie anche alla pessima fama che aveva, Kazimierz è diventato il classico quartiere degli artistoidi e delle creatrici di collanine chincagliose. Ora, però, gli squaloni si sono accorti che possono avere a poco prezzo degli appartamenti enormi vicinissimi al centro di una città in grande evoluzione e, di conseguenza, è partita la conquista. Affrettatevi, dunque, se volete vedere il quartiere originale: i cantieri sono aperti. Come dimostra l’umarell polacco nell’inconfondibile posa. Beccato. Lo so, lo so, non si fa così.

Il pezzo adatto a oggi è Walk the walk di Poe.
Ci sarà modo, domani e nei prossimi giorni, di parlare ancora di Cracovia e delle cose polacche rimaste in sospeso. Oggi, però, mi sono messo le gambe in spalla per portare un ringraziamento e un fiore ideale a una persona che a Cracovia ha vissuto tutta la vita.

Mentre sono davanti alla tomba mi guardo attorno e vedo molte signore che le assomigliano tutte, sembrano davvero lei: quel volto arguto, simpatico, velato appena di malinconia, con gli occhi furbi e vivaci, lo vedo dappertutto. Suggestione, forse, o ci sono tante Wisława Szymborska in minore, qui. Una consapevolezza diffusa, un sapere condiviso?
A ogni modo, non ho portato i miei soli ringraziamenti, ho portato anche quelli di coloro che so che la amano, la signora I., la signora T., il signor E., la signora L. Se vi riconoscete, sappiate che oggi le ho parlato di voi.

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