minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 57

Oggi è l’ultimo giorno. Da domani si riapre. Che succederà? Tutti fuori, accoppiamenti selvaggi, combattimenti tra cani con mascherina, feste clandestine tra asintomatici e immuni e violenza gratuita grazie a due mesi di Latte+? Chi lo sa. Siamo passati da quel 20 febbraio a Codogno, quando il contagio apparve anche da noi, a oggi, più di due mesi dopo e con 57 giorni di lockdown, almeno in Lombardia, e purtroppo oltre quattordicimila morti. I camion dell’esercito che partivano da Bergamo carichi di bare perché non si sapeva più dove metterle fanno parte di un’immagine che resterà nel nostro ricordo e immaginario collettivo. Abbiamo poi scoperto davvero la commistione tra sanità pubblica e sanità privata lombarda, «la libertà di scelta del cittadino» di Formigoni, e il carico fin da subito è stato calato su quella pubblica, non certo su quella privata, alla quale al massimo sono state chieste alcune strutture. E la privata è esattamente la metà della sanità in Lombardia, giova sempre ricordarlo.

Il trentottenne di Codogno che era andato a correre la mezza maratona da infetto all’inizio non fu considerato un paziente a rischio covid-19 (che allora non si chiamava così, ma «coronavirus» e basta), perché lo erano solo quelli che tornavano dalla Cina. Per un’intuizione gli fecero il test e vualà, avevamo il nostro paziente uno. Perché il paziente zero erano già migliaia ma allora non lo sapevamo. Cominciò così il contenimento, la procedura per cui si istituiscono delle zone rosse attorno ai focolai nelle quali non si può entrare né uscire: fallì, come sappiamo. Il protocollo del 22 gennaio, che era molto severo e imponeva di testare tutti i soggetti sospetti di contagio, fu sostituito dal protocollo del 27, in cui si prescrivevano le analisi solo a coloro che avevano avuto contatti diretti o indiretti con la Cina: ovvero, niente semimaratoneta di Codogno. Chiaro che messa così il grado dell’allarme era piuttosto blando, infatti noi ci dilettavamo a scoprire quante persone passassero ogni giorno da Codogno. Tante, tantissime, chi l’avrebbe detto? Qualcuno pensò di ripescare i nostri piani pandemici, risalenti a parecchi anni prima ma, soprattutto, a un mondo teorico che una pandemia l’aveva vista solo in alcuni film: e lì la pandemia, se va male, dura due ore. Il piano, l’ho scritto il 31 marzo, giorno 24, prevedeva un comodo utilizzo di ottantamila mascherine al mese per la Lombardia. La realtà, che come al solito tende a metterci volutamente in difficoltà, ci ha mostrato che ne servono trecentomila ma, ahinoi, al giorno. Si capì che era tardi per fare gli ordini e che gli ordini fatti al volo erano stati fatti a produttori di giocattoli, così scoprimmo che le mascherine devono pure essere certificate. In Veneto, puntarono sui tamponi. Perché lo fecero? Perché, ammissione dello specchiato capo dei virologi dell’ospedale di Padova, non ascoltarono le indicazioni della politica e si mossero autonomamente come comparto sanitario regionale. Si produssero da soli i reagenti per produrre i tamponi in casa e comprarono già alla fine di marzo una macchina olandese (olandesi con cui litigheremo poi per questioni di fondi europei e sostegni incrociati) che processava migliaia di esami al giorno. I rapporti tra le due regioni maggiormente colpite dal contagio si fecero presto chiari: 2 a 1 per la popolazione, 4 a 1 per i contagi e 10 a 1 i morti. Tutti in favore lombardo. Tra il 22 e il 23 si chiusero i comuni del lodigiano, nel senso che non fermavano più nemmeno i treni e io già non ci credevo, e alcuni comuni del padovano, il curioso Vo’, mai mai mai sentito. E il 10 marzo, in tre settimane, a Codogno non c’era più un positivo. Ma ce n’era uno in provincia di Bergamo e fu così che la Regione, invece di riproporre la felice soluzione, e il governo insieme, bisogna dirlo, decisero di creare una zona arancione che coincideva con il territorio regionale. Perché nel frattempo, dopo Codogno, era mutato il vento e, in maniera del tutto trasversale, Sala e Salvini invitavano caldamente a riaprire tutto e a partire di gran carriera, che avremmo di certo distanziato il virus, mentre Zingaretti prendeva l’aperitivo sui navigli facendo bella mostra di sé e venendo castigato poco dopo proprio dal cattivo virus. Fu così che il pronto soccorso di Alzano Lombardo fu chiuso, sanificato malino e riaperto in poche ore. Alzano e Nembro non furono chiusi in isolamento perché si ritenne che ormai il contagio fosse inarrestabile e la regione prima e il paese poi entrarono in lockdown. Ovvero dove siamo ancora oggi. Ma da domani no, da domani si ricomincia, dal 4 maggio tutti fuori. Altro che 5, il Manzoni e lo spiro, lo scudetto perso dall’Inter, d’ora in poi il ricordo in Italia sarà per il 4.
Ma staremo affà mica ‘na cazzata? Solo il tempo lo dirà, con la certezza che più è grossa e prima lo scopriremo. Con le porte che si richiudono. Il resto della storia, compresa quella futura, nei prossimi giorni.

I giorni precedenti:
giorno 56 | giorno 55 | giorno 54 | giorno 53 | giorno 52 | giorno 51 | giorno 50 | giorno 49 | giorno 48 | giorno 47 | giorno 46 | giorno 45 | giorno 44 | giorno 43 | giorno 42 | giorno 41 | giorno 40 | giorno 39 | giorno 38 | giorno 37 | giorno 36 | giorno 35 | giorno 34 | giorno 33 | giorno 32 | giorno 31 | giorno 30 | giorno 29 | giorno 28 | giorno 27 | giorno 26 | giorno 25 | giorno 24 | giorno 23 | giorno 21 | giorno 20 | giorno 19 | giorno 18 | giorno 17 | giorno 16 | giorno 15 | giorno 14 | giorno 13 | giorno 12 | giorno 11 | giorno 10 | giorno 9 | giorno 8 | giorno 7 | giorno 6

Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 57

  1. Un primo bilancio

    Domani mattina inizia la fatidica “fase 2” e per fortuna così la realtà prenderà il posto della fantasia e delle relative congetture: cambierà tutto, come sottendono alcuni, o non cambierà praticamente niente, come dicono altri? (Qui naturalmente parlo del quadro effettivo, non di quello normativo). La prima cosa che farò domattina sarà di aprire la finestra e vedere che tipo di traffico – automobilistico e umano – troverò di fuori dopo questi due mesi scarsi di agosto fuori stagione. Certo non è un gran campione statistico, ma almeno sarà una prima prova per vedere che aria tira.
    Approssimandosi questa prima scadenza, approfittando della propensione ai bilanci che spesso accompagna la fine di ogni fase, mi domando cosa rimanga, ad oggi, dell’esperienza vissuta in questo periodo (e ben lungi dall’essere terminata). Se dovessi dire che, in generale, ne è nata qualche apprezzabile progettualità a livello globale mentirei bellamente. Forse è ancora prematuro, ma i pensieri relativi al possibile mutamento degli assetti produttivi e della schiavitù di ogni sviluppo dall’incremento dei consumi è decisamente ancora di là da venire. L’unica reale preoccupazione è di riaprire, di ricominciare tutto come prima e se possibile più di prima per recuperare il tempo perduto.
    Questo, ovviamente, nei sogni o a chiacchiere. Perché nel mondo reale ci sono interi settori che ora come ora, per lo meno nel medio periodo, paiono avviati verso un declino difficilmente recuperabile: si pensi a tutto il settore legato al turismo, ma anche alla ristorazione, per non parlare di tutto ciò che è spettacolo dal vivo o che presuppone di ritrovarsi in un cinema o in un teatro. Al di là degli accorgimenti che potranno essere adottati (ma quando? E con quali costi?), c’è da considerare che molte di queste attività sono legate a un “clima” di convivialità e rilassatezza senza il quale difficilmente il cliente medio sarà disponibile a spendere i propri denari. E magari per sedere a un tavolo di ristorante con una mascherina un metro lontano dalla propria controparte mentre il cameriere gli serve da bere con una FFP2 e i guanti in lattice: ce lo vedete?
    Alla flessione nei guadagni dei privati, in modo pressoché inevitabile, coincideranno poi una diminuzione delle entrate fiscali (= meno servizi, o servizi più cari, erogati dallo Stato centrale e/o più debito pubblico) e una contrazione dei consumi (= ancor meno guadagni da parte dei privati, meno entrate fiscali per lo Stato, etc. etc.). Ecco, in sintesi estrema, la dinamica della crisi prossima ventura, che se si dovesse guardare soltanto ai dati odierni si prospetta – già ora, se si dovesse riaprire domani – come la più devastante di sempre.
    Non basterebbe questo per convincere anche le alte sfere della politica internazionale che servirebbe qualcosa di audace per venir fuori dalle secche, possibilmente non soltanto quelle del covid ma magari anche del pianeta? Spero di essere smentito, ma dubito che qualcosa del genere possa oggi arrivare dagli Stati Uniti, dove la bramosia di rielezione di Trump sembrerebbe indurlo ogni giorno di più a ricercare qualche soluzione miracolosa all’epidemia: prima è bastato negarne l’esistenza o la pericolosità, poi è stato il turno di vari farmaci miracolosi, dopo ancora di tagliare i fondi all’OMS, adesso di scaricare il barile sul laboratorio virologico di Wuhan dal quale il virus sarebbe partito. A riportare la notizia al mondo è Mike Pompeo, Segretario di Stato “anticinese” di tendenze complottiste le cui “numerose prove” ricordano da vicino la “smoking gun” che il suo specchiato predecessore Colin Powell presentò illo tempore all’ONU.
    Per fortuna che noi abbiamo ben altra classe politica, sennò sarebbe davvero il caso di preoccuparci.

Rispondi a Federico Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *