«beh, a noi due!»

Non che io sia esattamente un suo ammiratore, questa però è buffa e l’apprezzo.

Roger Moore e Richard Kiel, ormai entrambi deceduti. Il titolo di questo post è l’unica frase mai detta da Squalo nei due film di Bond che ha interpretato, quindi non era muto come pensavamo tutti. Pare, infine, che metà della dentiera di Squalo sia conservata all’Admiral Hotel di Milano (si dice).

lo spazio (tanto) per mettere le cose

Dunque: l’app non è che funzioni al meglio, il client su PC ‘nsomma, l’interfaccia web pure, le procedure di condivisione di un file sono piuttosto macchinose e due volte su tre danno errore, le interfacce sono piuttosto spartane e mediamente poverelle, in sostanza: i competitors, almeno alcuni, sono parecchio avanti rispetto a loro.
Però, però, ecco il però che dà il senso alla cosa: 10 TB di spazio online alla modestissima cifra di cinquanta euri all’anno. Proposta molto succulenta.

Inoltre, una funzione interessante: il client su PC richiede, come al solito, una cartellona-contenitore per la sincronizzazione, niente di nuovo. Però si può selezionare su qualsiasi cartella la funzione backup, aggiornabile in automatico ogni giorno/settimana/mese, e via, backup messo in saccoccia. Ovviamente poi da app o da client non è che ci si possa fare molto con quei files ma è, ed è giusto così, un backup.
Un’offerta cloud a mediobassa resa ma talmente a costo risibile da risultare molto molto interessante per lo stoccaggio di cose. Chissà perché non ci investono di più, misteri delle strategie aziendali. Ma tant’è: preso.

con la cultura non si mangia (a cosa serve davvero Google maps)

Com’è noto, Google maps utilizza le fotografie degli utenti per illustrare i luoghi segnati sulle proprie mappe. Non solo, anche le recensioni, le risposte, l’aggiunta di luoghi, la modifica e l’inserimento di informazioni e tutto quanto di proprio gli utenti, liberalmente, decidono di devolvere a favore di Google.
Attivando l’opzione di contribuzione, è possibile caricare fotografie su Google maps: impressionanti gli algoritmi di individuazione, che non ne sbagliano quasi una e se lo fanno lo fanno di cinque metri, e impressionanti gli algoritmi che identificano una buona foto e fanno partire la richiesta di caricamento. Poi Google blandisce con gagliardetti di guide ed esperti e, intanto, incamera tutto, golosamente.

Per provare e capire come funziona, ho aderito al programma: sono Local Guide di livello 3 (esticazzi) e ho diritto, credo, a una spilletta virtuale o una cosa così. Comunque, ho caricato alcune fotografie lo stesso giorno, tra cui una di un luogo in cui mangiare in superprovincia e una del più famoso e meglio conservato monumento di epoca romana esistente.
Ecco le statistiche di visualizzazione delle due fotografie:

Certo, del Pantheon ci sono più foto, vero. Ma il che spiega senza dubbio a cosa serve davvero Google maps. E qual è la nostra ossessione nazionale.