laccanzone del giorno: New Model Army, ‘51st state’

Questa dà dipendenza. A me senz’altro, e dal 1986.
Ovvero l’anno in cui i New Model Army, band inglese tutt’ora attiva che ha spaziato dal punk al rock alla new wave e via così, pubblicarono ‘The Ghost of Cain’, il loro terzo e forse miglior disco. Da quel disco, fu estratto questo singolone imperituro, un filino enfatico ma di grande impatto, ‘51 State’. Ovamerica.

Curiosamente, quello che poi sarà il loro singolo di maggior successo, ‘51 State’, appunto, per nulla encomiastico nei confronti degli Stati Uniti (euf.), è anche l’unico della loro lunga carriera di cui non abbiano scritto il testo. Scherzi del destino oppure qualcosa vorrà dire.
Per chi si appassionasse, i NMA sono proprio ora in tùr. Plei.

laccanzone del giorno: Billy Bragg and the Blokes, ‘St Monday’

A Billy Bragg bisognerebbe mandare ogni giorno cartoline di ringraziamento: per la sua musica e per il suo impegno. Nel 2002 si cimentò in una lunga campagna per sconfiggere il candidato conservatore nel Dorset. Ma non era mica candidato, lui, Billy. Mentre faceva campagna contro, pubblicò un disco – England, Half English – di cui St Monday è la canzone di apertura.

È un Billy Bragg musicalmente più facile di quello che a me emoziona di più, quello per intenderci con chitarra e basta di The Milkman of Human Kindness o A New England, ma è un ottimo pezzo e merita in pieno di finire tra leccanzoni del giorno, mentre l’orologio sta lì sul muro a guardarci.
Ribadisco per chi volesse che l’ottimo Trostfar raccoglie e aggiorna tutte leccanzoni in una pleilista comoda comoda su spozzifai, grazie.

laccanzone del giorno: Albert Hammond Jr, ‘More to life’

Albert Hammond Jr è uno dei due chitarristi degli Strokes e mantiene parecchie caratteristiche del suono della band nella sua produzione solista (dico: Dvsl, per esempio). Poi fa anche cose diverse, come questa qua, More to life.

Sembra un centone di canzoni altrui, dal falsetto al finto rap appena accennato del bridge al funk dell’inizio e alla schitarrata da 1:12 in poi, un bel miscugliotto che ben si presta alle orecchie aperte.
E poi c’è una novità: Trostfar si è messo di buzzo buono, ha pigliato tutte ‘leccanzoni del giorno’ proposte finora e le ha messe in una pleilista comoda comoda su spozzifai. Tutte belle ordinate e messe giuste, perché è chiaramente pazzo. Cosa di meglio, dunque? Grazie Trostfar, sempre complice.

laccanzone del giorno: Daniele Silvestri, ‘Sì, no… non so’

(Comunque ci penso). Il primo marzo 1995 Daniele Silvestri pubblicò il suo secondo album: Prima di essere un uomo. Bel disco, pieno di cose (L’uomo col megafono, Le cose in comune, L’Y10 bordeaux per dire le prime tre), lui una sorpresa e una conferma per tutti gli anni a venire.
In quel disco, verso il fondo, c’è un pezzo che parte piano, poi schitarra, poi contiene tutte le cose tipiche del Silvestri del poi (il nastro che si ferma, la domanda deleteria, il bridge parlato, l’arguzia e il gioco di parole e così via) ed eccolo qua.

Sì… nceramente non dico niente. Bello, in questi giorni, ad ascoltarlo mentre si cammina si prende il ritmo, un po’ molleggiato.

S.P.Q… S.?

Sono Pazzi Questi Senesi? Eh sì, proprio così. Perché dice la leggenda che Senio e Ascanio, figli di Remo (Remolo per alcuni), fuggirono da Roma e fondarono Siena. Tra l’altro, andarono verso nord in Etruria portandosi dietro la lupa in carne e ossa che aveva nutrito il padre e lo zio. Longeva.
Un bel racconto. Che poi S.P.Q.S. sia nello stemma di Siracusa, di Salerno, dei Sabini, di Samarcanda e di Saturno non toglie assolutamente nulla. Anzi.

beh, certo, stanno di là!

Evidentemente, in questi periodi di magra e di pensiero non solo debole ma leghista la brevità è un valore assoluto nel campo dei libri, come testimonia il titolo della mia ultima lettura.

Ancor più stringato in inglese, in cui il superlativo è più assoluto.

Sono centonovanta pagine nel formato elettronico e 249 in quello cartaceo, effettivamente non si può dire che, visto l’ampio argomento, non sia breve. Quella di Comi, del 2017 pubblicata con Il Saggiatore, è di 430 pagine e va solo da Bismarck a oggi. Quella ‘grande’ di Winkler, ripubblicata da Donzelli, che va dall’impero romano alla caduta del muro di Berlino supera le millecinquecento, più di cinque volte.

Tornando a Hawes, la storia è abbastanza ben scritta, documentata, anche appassionante a tratti nonostante l’asciuttezza (ricordo che inizia ben prima di Teutoburgo e finisce con la Merkel), bisogna essere molto bravi a far sintesi, molto più che a sbrodolare.
Prevedo una certa fortuna della formula, perciò attendo storie di altri paesi e, magari, di altri argomenti: la più breve storia dell’Italia, la più breve storia della lettura, la più breve storia della pizza. In tutti i supermercati.

Questa storia mi è piaciuta, dicevo, e mi è servita, perché avevo bisogno di introdurre concetti basilari in un settore in cui non sono (ero?) molto ferrato. E – ora sto banalizzando per cui prestate un orecchio e mezzo, sto bellamente saltando la complessa questione prussiana – ho trovato curioso un concetto che Hawes espone con una certa decisione: confrontando il confine romano, ovvero il Reno e l’Elba a fare da discrimine tra la civiltà e la barbarie, con le zone in cui ha proliferato con decisione la riforma protestante e, più tardi, le zone in cui la popolazione ha votato e sostenuto compatta il nazismo (vedi anche il voto all’AfD di qualche giorno fa, cioè Sassonia e Brandeburgo), Hawes ha constatato che sostanzialmente coincidono. Vualà, serviti. State a ovest del Reno.