l’invasione, giorno ventuno: cosa dobbiamo fare, noi

Il Consiglio d’Europa ha deciso – non fidatevi dell’ANSA – di espellere la Russia dai propri membri.

Sebbene girino parecchie versioni, probabilmente dovuti a traduzioni errate, non è stata la Russia ad andarsene quanto il contrario. Poco fa la bandiera è stata ammainata, come si vede qui sotto (la foto del tweet sopra è evidentemente d’archivio).

Se l’invito è a non confondere il Consiglio d’Europa con altri organi dell’UE, ed è una buona occasione per capire cosa invece sia, è comunque un passo indietro per tutti, come era inevitabile. Difficile fare passi avanti con i carri armati. Dai negoziati in corso oggi trapelano alcune bozze di accordo, che prevederebbero il cessate il fuoco e il ritiro, la neutralità ucraina, il divieto di basi straniere su suolo ucraino, un non meglio chiaro status legale per i russi in territorio ucraino (Russia ceases fire and withdraws; Ukrainian “neutrality” without Nato; Kyiv keeps its army but can’t host foreign bases; Russian gets legal status in Ukraine). Pare comunque che non vi siano progressi positivi. Qualche commentatore ha letto la notizia dell’altro ieri – la Russia avrebbe chiesto ai cinesi armi e soldi, detta male – come un tentativo dell’intelligence americana di far venire allo scoperto la Cina, finora silente e priva di una posizione chiara. Tutto da verificare. E bisogna fidarsi poco di quanto dichiarato in tempi di guerra. E a me fa impressione anche solo dirlo.

L’altra sera, con un nutrito gruppo di amici, si parlava della guerra. È necessario farlo, perché chiunque di noi, consciamente o meno, misura la propria angoscia sulle reazioni delle persone di cui si fida, mentre ci si scambiano informazioni. Funziona così, serve. Abbiamo messo a fuoco come sia necessario distinguere le diverse tipologie di lettura che di questa guerra si possono fare. Dal punto di vista ideologico, per esempio, è chiaro che il trasporto avuto finora per situazioni come in Cile nel ’73, in Argentina poco dopo, in Palestina, ha poco a che fare con la situazione attuale, dato che – a meno che non si sia stipendiati da Mosca – né con la Russia né, ideologicamente, con l’Ucraina. Nonostante l’evidente sopruso. Dal punto di vista umanitario, invece, compassionevole, tutte le guerre dovrebbero essere uguali e le reazioni di chi non è coinvolto anche. Ma sappiamo che non è così. La distanza, per esempio, conta molto. E se le immagini che da anni arrivano dalla Siria raccontano di un mondo diverso, con luoghi, case, abiti, volti non familiari, quelle dell’Ucraina invece sono più vicine, è un mondo che si ritrova a Vienna, a Budapest, in Bulgaria, nella ex Jugoslavia, la cultura non è distante, le case sono simili, le facce anche, e per questo la sentiamo come una guerra in Europa, oltre alla posizione geografica. Ma non vale per tutti, alcuni di noi si sentono vicini, altri no, ma non per questo meno consapevoli, almeno al nostro tavolo.
Mi colpisce, invece, moltissimo – e mi dà molto molto fastidio, lo dico – la reazione di parecchie altre persone, anzi l’assenza di reazione: poiché l’invasione non ha effetti diretti sulle loro vite, nessuna ripercussione al momento, l’argomento non esiste. Non viene proprio toccato, l’alzata di spalle è inevitabile e il cambio di discorso immediato, e si parla di serie tv, di vacanze, oddio, del tempo. Lo vedo tutti i giorni in ufficio, mi snerva e mi ferisce, perché su molte altre questioni non ce la faremo, se le persone non si sentono coinvolte. E sì che, il clima per esempio, le ripercussioni ci sono eccome, come in questa guerra. Ma qualcuno ci penserà, atteggiamento simile negli scorsi due anni. Ossignore.

Un amico sapiente di cose ignote, mi racconta di Mariupol e di come se ne fosse occupato a un certo punto della sua vita. Perché quello «era uno dei centri sul Mar d’Azov abitati dai pochissimi ma antichissimi parlanti di dialetti neogreci di origine anatolica», io già fatico a seguire ma lo so, immagino i millenni, i movimenti delle persone, le lingue, le culture nate e poi trasformate, mi sono messo come altri a leggere una storia dell’Ucraina e della Russia, lo volevo già fare, tanto vale. Questo è facile, al massimo capita di sentire rammarico, il difficile è incontrare ucraini qui in Italia che difendono a spada tratta Putin e l’intervento russo, e lì è difficile, davvero difficile. Anche perché, a parte l’evidente ingiustizia, è poi complicato parlare di una situazione che intravediamo a malapena da due settimane, infarcita di notizie scollegate di divulgatori video. Per carità, non c’è altro modo, in tempi brevi, ma i millenni riassunti in poche frasi li reggo poco.
Una persona cui voglio molto bene mi ha invitato a proseguire con la vita, a non tralasciarla, a non lasciarla scorrere via, sebbene la testa sia rivolta ad altro e alle situazioni dolorose che ci circondano. Ha ragione, così farò, anche se ora non mi viene niente da scrivere, non ho la leggerezza necessaria per farlo in questo momento. Ma devo. Una cosa non deve escludere l’altra. E lei anche, l’ho invitata a fare la stessa cosa, di rimando. Era un ottimo consiglio, talmente buono che allora vale per tutti i sensibili pensanti. Focalizzati, concentrati sulle cose importanti, pronti, ma senza tralasciare ciò che abbiamo e di cui dobbiamo prenderci cura, ciò che siamo e ciò che abbiamo da dare e da prendere.

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