minidiario scritto un po’ così dei giorni in Europa al tempo del contagio: giorno tre, Germania

Viaggiare con i mezzi pubblici nella metà settentrionale della Francia presenta sempre un problema: per andare in un posto qualsiasi, anche a pochi chilometri ma che non sia sulla stessa direttrice, tocca andare a Parigi e prendere l’altro raggio della ferrovia. L’attrazione della capitale è irresistibile per i binari, mancano le tratte secondarie, i collegamenti. Che poi, non è mica facile girare per centri medio-piccoli a distanza tra loro usando il treno, spesso per fare cento chilometri ne devo prendere tre. La cosa facile è girare per le città grandi, modello Interrail, ma non è quello che voglio ora. Per cui, le opzioni sono due: andare a Nancy, poi scansare il Lussemburgo – ho già dato – e tentare di andare verso Bruxelles evitando Parigi, cosa che pare abbastanza impossibile, oppure valicare il Reno e andare in Germania per infilarmi sulla grande direttrice Monaco-Stoccarda-Francoforte-Colonia, puntando una delle città piccole che vorrei vedere da sempre: Spira (Speyer in lingua locale). Perché se, come è capitato a me, si incappa nella storia di Cinque e Seicento, quando uno dice: «Spira» io rispondo pavlovianamente «Dieta», anche se ho imparato da poco cosa sia davvero la Dieta imperiale. Mai che lo spieghino. Anche di Worms, che è lì vicino, potrei dire lo stesso ma me la tengo per un prossimo giro. Piano di viaggio: ancora freccia dell’Alsazia fino a Strasburgo, poi freccia del Reno fino a Offenburg, poi un miracoloso intercity fino a Karlsruhe e, infine, la freccia della Renania-Palatinato fino a Spira. Centottanta chilometri, quattro treni, un confine nazionale, e delle frecce che tutto sono fuorché frecce, forse nel 1925. Tempo medio di coincidenza: sei minuti. Ora: devi essere sicuro di te stesso se metti così poco tra un treno e l’altro, da noi saremmo nel regno del non possibile ma qui, bravi, ce la fanno. Almeno finora, visto che sto scrivendo dal terzo dei quattro treni.
A Strasburgo constato ancora l’obbligo delle mascherine all’interno dei negozi e dei luoghi chiusi e la libertà all’esterno, l’assoluta mancanza di prove di temperature, mai vista una né qui né in Svizzera, comincio a pensare che sia un’invenzione del tutto italiana. E che, magari, tra qualche mese, possa saltar fuori che il cognato di Fontana produce gli affari per provare la temperatura sulla fronte. Che brutta cosa, parlar male delle persone. Vedremo in Germania. Di sicuro il distanziamento produce gli stessi effetti che da noi, ecco la coda per un ufficio postale in centro città, e sono a malapena le nove. Sarà più difficile d’inverno, se queste condizioni proseguono.

Strasburgo è affascinante, ne conservo un ottimo ricordo: ha il bello di Colmar, i canali e le case a graticcio, e il Parlamento europeo, quindi la vivacità della grande città, una cattedralona gotica che emerge a sorpresa dalle case, è in una zona strepitosa, l’Alsazia, ed è abbastanza al centro per raggiungere comodamente parecchie regioni d’Europa. È tra le cinque città in cui vivrei senza esitazione. Consiglio. A ogni modo, io procedo, saluto e scavallo il Reno.

Appena entrato in Germania, giuro, vedo un cerbiatto in un campo. Lo fanno chiaramente apposta, saranno turchi camuffati. In tutte le stazioni e sui binari le mascherine sono obbligatorie, come sui treni del resto, ma i posti sono liberi, ognuno si siede dove vuole e non è prescritto distanziamento. Viene praticato comunque, sì, ma non è ritenuto necessario. Fuori, invece, quasi tutti senza mascherina e gel a piacimento ma non troppo. Arrivo finalmente a Spira, che mi accoglie con questo volantino promozionale:

Beh, tra tutti gli slogan possibili – «Lebenslust» è la juàdevivr – direi che l’accoglienza è delle migliori. Spira è famosa, oltre che per le Diete, anche per la cattedrale romanica imponente, affacciata sul Reno, nella quale sono stati sepolti numerosi imperatori e consorti. Tra i tanti, c’è anche quell’Enrico che a Canossa andò a chiedere scusa al Papa. Il cielo è notevole e si muove di continuo, mi piace moltissimo.

La novità rispetto alla Francia e alla Svizzera, ma non all’Italia, è che nei bar e nei ristoranti chiedono l’indirizzo e un recapito telefonico per avvertire in caso di contagio. Mmm, eh no, non mi conviene: io poi scrivo «Italia» e «Lombardia» e poi voi crucchi al primo segno di calore venite a prendere me e mi additate come l’untore. E poi mi impalate sulla piazza della cattedrale con la scusa della salute pubblica.

Così, nel primo bar in cui mi reco per la merenda rituale con cappuccino da un litro e torta al Quartzo, sbrigo la questione anagrafica. Aieie Brazorf no, troppo sfacciato, ma ecco qua: Osiris Amanpour, residente a Koronenburg, in Mordovia, e il numero di telefono della sede della Lega a Milano. La distanza regolamentare, infine, qui è di un metro e mezzo dappertutto, una via di mezzo tra i nostri due metri all’esterno e il metro all’interno, il che dimostra come tutta la faccenda sia affrontata con rigore scientifico. Niente temperatura nemmeno in Germania anche se, magari, mi viene il dubbio che qui possano avere i cecchini sui tetti con lo scanner incorporato nel mirino del fucile di precisione. Per risparmiare tempo, efficienza germanica.

gli altri giorni: zero | uno | due

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