elezioni 2022: la schedina elettorale™, i risultati ufficiali

Signori, elettori, giocatori e scommettitori, sudditi, figli di Atreju, ci siamo: i risultati.
Grazie alla collaborazione tra l’Ufficio Politico di trivigante (UPdt) e il Ministero dell’Interno ecco i risultati ufficiali delle elezioni politiche italiane del 2022, Camera, vado a elencare per risultato:

quelli noti

Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni 25,99%
Partito Democratico – Italia Democratica e Progressista 19,07%
Movimento 5 Stelle 15,43%
Lega per Salvini Premier 8,77%
Forza Italia 8,11%
Azione – Italia Viva – Calenda 7,79%

quelli un po’ meno

Alleanza Verdi e Sinistra 3,63%
+Europa 2,83%
Italexit per l’Italia 1,90%
Unione Popolare con De Magistris 1,43%
Italia Sovrana e Popolare 1,24%
Noi Moderati / Lupi – Toti – Brugnaro – UDC 0,91%
Impegno Civico Luigi Di Maio – Centro Democratico 0,60%
Sűdtiroler Volkspartei (Svp) – PATT 0,42%

risultati memorabili, ne valeva proprio la pena

Partito Comunista Italiano 0,09%
Partito Animalista – UCDL – 10 Volte Meglio 0,08%
Alternativa per l’italia – No Green Pass 0,06%
Partito Comunista dei Lavoratori 0,02%
Partito della Follia Creativa 0,01%

Infine, due che non si sono presentati sul campo, uno perché ha presentato le firme raccolte online, l’altro perché le firme che aveva raccolto erano inventate:

Referendum e Democrazia Non presentato
Gilet Arancioni – Unione Cattolica Italiana Non presentato (rigettato)

E poi le due partite dell’estero, che hanno percentuali tutte loro, perché anche i loro collegi:

Unione Sudamericana Emigrati Italiani – USEI 5,13%
Movimento Associativo Italiani All’estero – MAIE 12,73%


Bene, a questo punto (rulloditamburelli) ecco il risultato ufficiale della schedina elettorale™ del 2022:

2 – 2 – 2 – 2 – X – 2 – 2 – 2 – X – X – 2 – 2 – 2

È ufficiale, nel 2022 in casa non si vince. Il fattore campo non conta.


E ora il momento che tutti aspettiamo da molto tempo, lo spoglio e la proclamazione dei vincitori 2022. Avanti, che il momento è solenne.

  • A 4 punti, cioè quattro risultati esatti: carlo, trostfar e rosatellam.
  • A 5 punti, Scimpanzone ed enrico dati.
  • A 6 punti, Terzoppolo, sore, Manue, du rombetti, monica.
  • A 7 punti, Tiziana, fabioL.
  • A 8 punti, trivigante, Bigio, The Big Lebowsky.
  • A 9 punti, Marvi, Ursula von der Leyen.

Con il potere conferitoci dal Ministero, dall’Ufficio Politico di trivigante (UPdt), dal teschio di Greyskull, dal compagno di Meloni e nuovo first mister del paese (poareto), da Kermit la rana e da quella dalla bocca larga, oltre che dall’arrotino di ogni città, si decretano i vincitori: tutti, perdio, tutti, con una leggera predilezione per Marvi e Ursula von der Leyen. Considerando che per Ursula era chiaramente più facile.

Che dire oltre? Grazie a tutti, l’astensionismo sulla schedina si è fatto sentire rispetto al 2018 ma non importa, abbiamo giocato e abbiamo vinto l’ultima cosa per un po’ di tempo. Il vantaggio, per lo meno, è che nessuno di noi dovrà pensare di coabitare per fare un governo con Salvini per i prossimi mesi. Sì, non è un granché, in effetti, oggi l’orchite mi impedisce di trovare consolazioni. Però, e questa è una bella notizia, l’Ufficio Politico di trivigante (UPdt) ha predisposto per tutti i partecipanti un biglietto aereo solo andata per Bogotà in partenza l’11 ottobre alle 4:30 a.m. dall’aeroporto clandestino nella Grotta Azzurra di Positano, presentatevi con il vostro nome di battaglia e la schedina, nessun bagaglio, un paracadute e una confezione da sei di tonno, scatole piccole di quelle con l’anello per aprirle, se no siete fottuti. Adios, hasta la victoria, compagneros, ci vediamo di là.

minidiario scritto un po’ così di un breve giro per vedere la fine estate al nord: quattro, il polittico nella miniera, il re criminale, carlov e i ritrattisti di corte, ultima tappa

Altri venti minuti di treno e sono a Gand. Parlavo di un felice concatenamento ed è così: un quarto d’ora da Ostenda a Bruges, venti minuti a Gand, una quarantina per tornare ad Anversa, tutto facile. Sarebbero da fare in bici, ovvio, ci son più ciclabili che strade. Sui muri delle case, che son di solito piccole e senza cantine vista l’acqua onnipresente, attaccano degli anelli di cui non avevo capito la funzione finché non li ho visti in uso. Come i cavalli.

Quindi le fregano pure qui. Oppure si possono usare i parcheggi per biciclette.

Chiaro, il paese è piccolo, immagino anche qui si mormori, e tra mezzi pubblici efficienti e diffusi, tram ovunque, i comodissimi Intercity maledetto chi li ha tolti da noi, bici, monopattini, battelli, muoversi è facile e non serve affatto possedere un’auto. Che è un pessimo affare economico, se noi italiani avessimo gli occhi per vederlo.

Gand è una città piuttosto grande, piacevole e ben tenuta, con un centro storico di notevole interesse. I canali la attraversano e sono navigabili da qui al mare del Nord, per cui non è raro vedere barche anche piuttosto grosse. Il porto è importante, essendo la terza città del paese, e come Bruges e Anversa ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo locale, come sempre fondato sul commercio. Pur non avendo toccato le vette delle altre città vicine, è ed è stata una città ricca, nel Rinascimento era più grande di Londra, nota per lo più per aver visto la nascita di Carlo V, l’imperatore che riunì in sé il regno di Spagna e il Sacro Romano impero. Con le americhe, non tramontava mai il sole. E le Fiandre, allora, erano possedimento spagnolo, controintuitivamente. Non avendo mai dormito due notti nello stesso letto, lo racconta lui stesso, per dover essere sempre presente in qualche zona dell’impero, la nascita a Gand fu relativamente casuale, facendo comunque anche i suoi genitori una vita errabonda simile, come accadde anche a Federico II a Jesi per esempio. Relativamente perché sua zia Margherita d’Asburgo, la sua tutrice, donna intelligente, stava a Mechelen, insomma in zona. Ne ho raccontato qualcosa un paio d’anni fa, quando ci sono passato. Per finirla con le amenità biografiche, Carlo V è quello con la mandibola super sporgente, lo si riconosce sempre, oltre che per gli onori. Persino i Filippi di Spagna di due secoli dopo ce l’hanno, anche le infante. Figura però complessa e intelligente, altro che mandibola, se fece il sacco di Roma gestì però con saggezza le questioni religiose della Riforma, per quanto possibile, a differenza dei suoi discendenti. Ma, mi chiedo io e non solo per lui, se era brutto nei quadri ufficiali, cioè quelli in cui il pittore abbelliva per non finire squartato, figuriamoci dal vivo.

Intendiamoci, questi son posti dove da vedere ci sono un paio di chiese, un municipio, non sempre dentro, la torre cittadina, il Belfort, a volte un castelletto come quello dei conti di Fiandra qui, bello, magari un museo mediopiccolo e poi mica molto altro. Prima di mezzogiorno io ho fatto. Il senso, però, è girovagare e respirarne l’atmosfera, camminare lungo i canali, guardare le case e le piazze, spesso bellissime, godersi il sole e l’aria fresca, sedersi in piazza, leggere – o scrivere – da qualche parte. D’altronde è pieno di parchi, panchine, brasserie mica per caso, e sempre non per caso, hanno centonovanta tipi di birre diverse. Io arrivo al massimo alla semplice pils bionda da muratore, lo so che li deludo. Tra le cose da vedere a Gand, però, c’è il polittico dell’adorazione dell’agnello mistico dei fratelli Jan e Hubert van Eyck, uno dei vertici della pittura fiamminga, complessa e monumentale rappresentazione in dieci pannelli apribili. Dürer, che non era esattamente l’ultimo dei critici, parlò dell’opera come «immensamente preziosa e stupendamente bella». Lo è, tant’è che un Rubens di quattro metri è finito in un disbrigo della cattedrale, con rispetto. È interessante la sua storia recente. Nel 1940 il Belgio raggiunse un accordo per inviare il polittico in Vaticano, posto ritenuto più sicuro, ma la sottoscrizione del patto tra Italia e Germania lo impedì mentre l’opera era in viaggio. Rimase sui Pirenei per quasi due anni, quando Hitler lo fece requisire per il proprio futuro museo a Linz e la Francia di Vichy non fece una piega. Poi se ne persero le tracce fino al 1945, quando fu ritrovato in una miniera di sale in Austria dai cosiddetti monuments men. Il film di George Clooney è proprio sulla vicenda del polittico dei van Eyck, e tra i protagonisti ha anche la Madonna di Michelangelo di ieri a Bruges. Alla cerimonia di restituzione, inutile dirlo, non furono invitati i franzosi, collaborazionisti.

Il giochino di parole preferito in città è Gent-lemen, ma immagino suoni come Ghentlemen, vabbè. Non sono tutti Brassens. Ora, tre cose rimaste in sospeso. Una, le mascherine. Niente, niente di niente. Spesso ero l’unico a indossarla e fa una certa impressione, come se fossi appestato o ipertimoroso io. La questione covid, a parte qualche testcentrum qua e là, non si percepisce per nulla. Oddio, un po’ cone da noi, in realtà, ma qui nemmeno sui mezzi pubblici o sui treni o nei negozi, nulla. Direi che fa parte di quegli atteggiamenti tipici dei paesi del nord, senza troppe mezze misure: o è vietato (o prescritto) o non lo è. Punto. Adesso le mascherine non sono obbligatorie, quindi niente, quando lo sono (saranno?) tutti si comportano in modo molto ligio. Seconda, la pittura nei Paesi Bassi. Niente paura, è solo un’informazione, non un compendio inesperto di storia dell’arte. Nel Cinquecento la gilda di San Luca, cioè la corporazione dei pittori nei Paesi Bassi, aveva centomila iscritti. Cento-mila proprio, non un numero per dire tanto. Nemmeno nella Roma della prima metà del Cinquecento o in Italia vi fu mai un numero del genere, né in valori assoluti tanto meno in proporzione, in nessun altro paese europeo, compresa la Francia degli impressionisti. Certo, dei centomila la maggior parte dipingeva quaglie e fagiani morti sui tavoli ma se il principio è primum vivere deinde philosophari, la ricchezza diffusa in quel periodo nei Paesi Bassi era tale da generare un’offerta, ma soprattutto una domanda pittorica mostruosa. E dal gran numero, tra i mille e mille paesaggini ameni, emersero – ne dico alcuni a memoria seduto qui sul binario – giganti come Rembrandt, Bosch, van Eyck, Gherardo delle notti e i caravaggisti di Utrecht, Rubens, Jordaens, Hals, Bruegel uno e due, Vermeer, Luca da Leida eccetera. Ecco, per rendere l’idea del fervore del periodo. Terza cosa, Leopoldo II del Belgio, l’avevo promesso. Ennesimo Coburgo-Gotha sui troni d’Europa, fu ossessionato dalla questione di dotare il Belgio di una colonia e dopo aver provato invano ad acquistare le Filippine dalla Spagna, assunse l’esploratore Stanley che con scopi fintamente scientifici occupò una zona in Africa grande settantasei volte il Belgio e fu così fondato, potere delle parole menzognere, lo Stato libero del Congo nel 1885. In vent’anni lo sfruttamento del paese da parte di Leopoldo II fu tale da assumere le caratteristiche del genocidio, si stima morirono tra i tre e i dieci milioni di persone, oltre a ogni tipo di sopraffazione. Ora, oltre a tutto, la cosa raccapricciante è che lo Stato libero del Congo fu per vent’anni giuridicamente proprietà privata del re belga, sua personale e non sottoposta alle decisioni del governo. Fu il parlamento belga nel 1908, dopo anni di pressioni, a costringere il re a cedere allo Stato la proprietà e il governo di quello che diventò il Congo belga. Solo nel 2020 il re del Belgio si è scusato ufficialmente e ha riconosciuto i crimini nel territorio africano e solo ora si parla della restituzione di oltre trentamila manufatti artistici al paese d’origine, non è raro che le statue di Leopoldo II, ancora numerose, vengano imbrattate o che, specie dopo la morte di George Floyd, abbattute dal furore popolare, come a Mons, Ekeren, Bruxelles, Auderghem, Ixelles e Arlon. Il kaiser Guglielmo definì Leopoldo come un “uomo completamente cattivo”, il che ripropone in pieno il dibattito sia sul colonialismo sia sulla sua rappresentazione nelle nostre odierne piazze e sull’opportunità di mantenere o meno simboli di questo genere. La questione, sbrigativamente liquidata come “cancel culture“, è invece ben più complessa e il dibattito nei paesi anglosassoni, più che altro Stati Uniti, procede in modo piuttosto approfondito. A differenza che da noi, in Belgio e sostanzialmente in tutta Europa. Ovvero i maggiori responsabili del colonialismo. Già.

Ora me ne sto tornando nei Paesi Bassi, a Eindhoven, come avevo detto. Perché a parte il PSV, l’unica altra squadra di calcio olandese oltre all’Ajax, la vera gloria locale di Eindhoven è la Philips. E io voglio vedere il loro museo. Perché si sono inventati, in un secolo, un sacco di cose, dal cd alla musicassetta alla DCC per chi se la ricorda, ai raggi X e addirittura alle macchine portatili per le radiografie, oltre ovviamente alle lampadine. Io avevo una fantastica radiosveglia con la cassetta della Philips, che mi permetteva di svegliarmi sentendo ciò che più mi aggradava, per parecchio tempo della mia adolescenza il doppio assolo di chitarra di Walsh e Felder in Hotel California di Eagles live. E nessun altro la produceva con la cassetta. E comunque anche il PSV nacque da un’iniziativa dei lavoratori della Philips, tutto torna lì. A questo punto io chiudo, saluto e ringrazio chi abbia voluto seguirmi e, visto cosa succede il 25, ci rivediamo in giro molto molto presto. Per la normale amministrazione, sono sempre qui.


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minidiario scritto un po’ così di un breve giro per vedere la fine estate al nord: tre, dire ovvietà, la Lega che mi piace, inventare cose che già esistevano, nel medioevo erano tutte bestie, mica come noi

Ora non è che arrivo io che faccio Marconi che dice che Bruges è bella. Altro che acqua calda, la sfera è quella dell’ovvio, altrimenti i nove miliardi di turisti presenti e passati non si spiegherebbero. È che è proprio bella, non c’è che dire (e oggi, contrariamente alle mie abitudini, metterò solo foto cartolina per testimoniare). La città medievale all’interno delle mura, o farei meglio a dire all’interno del canale maggiore, il Ringvaart, è intatta, mai distrutta, mai bombardata. Certo, magari un settecento, un novecento qua e là ci sono ma timidi, rispettando il contesto che è davvero incantevole. I canali, costruiti per esigenze commerciali, attraversano tutta la città e mi ricordano altre città, Colmar, Strasburgo, Delft, Utrecht, Gand, per dirne alcune. Le case, di mattoni a punta, mi ricordano invece quelle che ho visto a Danzica, a Lubecca, a Riga e Tallinn, a Toruń. Perché dico questo? Perché ho imparato nel tempo, con fatica, a viaggiare liberandomi del vincolo scolastico di considerare le città e le regioni appartenenti agli stati moderni, ah le tipiche città olandesi!, e a inserirle nel contesto storico e geografico più ampio. Per esempio, le case di Bruges e quelle di Tallinn, che sta a duemilacinquecento chilometri da qui, sono identiche perché erano l’espressione delle gilde commerciali della Lega Anseatica, una proto-Europa unita che arrivava fino a Napoli e oltre che andrebbe insegnata molto molto meglio a scuola. Le somiglianze tra qui e Danzica, in Polonia, sono per esempio molto maggiori rispetto a quelle con, che so?, Reims, che è a duecento chilometri. Ed è un esercizio viaggiante che mi appassiona riconoscere somiglianze e congruità in luoghi che ci hanno insegnato a considerare distinti perché in nazioni diverse. Non era così, non è stato così per secoli. Un esempio lampante? La pianura padana. Andrebbe considerata unitariamente, almeno da Mantova a Ferrara fino a Rimini e invece no, tra Mantova e Modena c’è un confine che ci frena, ci fa distinguere tra Emilia e Lombardia e non ci fa cogliere la relazione secolare tra, per dire, Gonzaga ed Este sugli stessi fiumi.

Niente, mi son dilungato. Come accennavo, Bruges ebbe il proprio periodo d’oro tra Due e Quattrocento, quando divenne il centro commerciale di raccordo tra nord e sud. Le prime navi genovesi e veneziane arrivarono qui nel 1277 e la città crebbe ricca e prosperosa. I tessuti fiamminghi per le lane inglesi, il grano della Normandia, i vini della Guascogna, le spezie dal Levante, era la libera circolazione delle merci, la globalizzazione molto prima della globalizzazione che contestiamo oggi. Il Markt è l’enorme piazza cittadina sulla quale sorgeva un edificio gigantesco che ospitava la gilda dei pescatori, una delle più potenti, il porto in continua espansione, strutture finanziarie e commerciali che diventavano sempre più sofisticate. A Bruges nacque la prima borsa valori della storia, sì, come quella che adesso decide il prezzo del gas ad Amsterdam. C’è un quadro che rappresenta molto bene alcuni elementi importanti dell’epoca, ed è il “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di van Eyck (ne ho parlato qui). Van Eyck è un pittore fiammingo che si trasferì a Bruges per l’ovvio richiamo di una città florida e ricca di committenti e ricevette l’incarico dagli Arnolfini di ritrarli in modo familiare nella loro casa; lui, Giovanni Arnolfini, era un intermediario finanziario che gestiva in città gli interessi dei Medici, sì, Firenze, che avevano una banca e prestavano soldi in tutta Europa ed erano interessati, comunque, al commercio dei cuoi toscani fin qui. L’intreccio di interessi e culture era folgorante e, per inciso, van Eyck, ritraendoli, inventò il ritratto familiare e privato, di piccole dimensioni, sconosciuto a noi italiani affogati di pitture religiose gigantesche. Non solo i Medici ma i Fugger e tutti i più importanti banchieri avevano filiali in città e in tutte le città che ho citato prima, in una fantastica rete europea di scambio. Nella Onze-Lieve-Vrouwekerk, chiesa di Nostra Signora, in città c’è una madonna di Michelangelo che i Mouscron, famiglia fiamminga che commerciava in tessuti, acquistarono proprio dall’artista grazie all’intermediazione del banchiere Jacopo Galli, amico di Michelangelo. Capito i giri? In questo senso mi ricollego a quanto cercavo di dire malamente prima: per un Arnolfini o un Mouscron il continente era una cosa unica e rivolgersi a van Eyck o Michelangelo, a Firenze come a Bruges, una cosa del tutto naturale. Memling, altro valente pittore, tedesco ma trasferito a Bruges, dipinse trittici, ritratti e pale d’altare per privati e città in tutta Europa, un vero uomo di mondo come molti di quell’epoca. E noi li chiamiamo secoli bui.

Come tutte le cose belle, prima o poi finiscono. No, non è vero, non finiscono: si trasformano. A fine Quattrocento il canale Zwin si insabbiò e iniziò rapidamente il declino di Bruges. Come abbiamo visto, attenti ragazzi, anche là giù in fondo, in favore di Anversa. Che si pigliò mercanti, banchieri, merci, pittori, rotte commerciali, diamanti e tutto quanto era possibile. Non che Bruges sia sparita, tutt’altro, ma passò dall’essere al centro del mondo dell’epoca a una posizione più marginale, provò a rilanciarsi con i merletti più tardi ma senza grandi esiti. Restava una città ricca, per carità, ma le novità passavano altrove. Fino ad allora, però, erano stati sulla cresta dell’onda, eccome, e ne erano perfettamente coscienti. E quando uno è grande a un certo punto, poi pensa a sé allo stesso modo, anche se le minestre hanno sostituito gli arrosti e se le legioni di servitù sono ora una vecchia fedele beghina traballante. Ancora oggi le iniziative comunali, una statua o un parchetto, sono sottoscritte come S.P.Q.B. che, come tutti sappiamo, significa che sono pazzi questi brugghiani. Anche perché, bisogna dirlo, alle merci si è sostituito egregiamente il turismo, anzi il turista, che spende in waffles, cioccolato, stupidi macarons e le cose vanno piuttosto bene, qui in città.

Cose che faccio io, alcune. Compro due cartine delle Fiandre, una orientale e una occidentale, è una manna perché ce ne sono per i percorsi in bici, a piedi, per interesse, in treno, una meraviglia. Visito un paio di musei e in uno incappo per caso nel reliquiario dipinto da Hans Memling con l’arrivo di Sant’Orsola a Colonia, che mi era servito per raccontare la storia della costruzione del duomo di Colonia (per chi non ne avesse abbastanza di storielle, eccola) e ne sono proprio piacevolmente sorpreso. Poi ho occasione di prendere un caffè lungo con una cioccolataia, nel senso che fa il cioccolato per davvero, e tento di spiegarle la questione del fare la figura del cioccolataio, ma mi rendo conto di non saperla bene nemmeno io. Però apprendo cose sul cioccolato e lei non fa figure barbine. Verso sera, al parco faccio due partite a scacchi su uno di quei tavolini di pietra con la scacchiera con uno sconosciuto. Vinco facile, con manovre asfissianti usando tecniche da grande maestro. Cosa vuol dire che lui ha sette anni? Ma figuriamoci, queste sono le sconfitte che aiutano a crescere. Mi ricordo poi che l’estate scorsa quando raccontavo di essere stato a Bourges in parecchi capivano Bruges, adesso leggo che Bruges è gemellata con Burgos, la confusione regna sovrana. Domani quasi ultima tappa, se c’è tempo racconto di Leopoldo II criminale, della miriade di pittori fiamminghi e delle mascherine. Ma non so, perché sarà un altro posto bello.

A ogni sussulto sovranista, a ogni rigurgito nazionalista, a ogni slogan in favore dell’italianità, io continuerò a spingermi sempre più in Europa, perché quella è la nostra storia. A ogni spinta localista risponderò con tensione comunitaria, perché sono europeo molto più che italiano, concetto bislacco e poco rispondente alla realtà. La mia casa è l’Europa, tutta, le mie radici stanno nella Grecia del quinto secolo avanti Cristo, nella Roma di Augusto e del Rinascimento, nella Parigi del Novecento e nella Londra dell’Ottocento, ad Aquisgrana nel nono secolo, a Wittenberg nel Cinquecento, sui barconi che affondano nel Mediterraneo, in Germania e in Boemia nella guerra dei Trent’anni, ad Austerlitz e a Waterloo, ad Auschwitz, a Milano negli anni Sessanta, a Venezia con la libertà di stampa del Cinquecento, a Siracusa con Archimede e sulla nave sbarcata a Venezia col primo appestato, nelle Fiandre del Trecento e sulle navi della compagnia delle Indie, nella Palermo di Federico II, nella Spagna occupata dagli Arabi, alla stazione di Bologna, a Palos con Colombo, a Bruxelles e Strasburgo nei parlamenti, sulle navi della Lega Anseatica. Non sempre belle, non sempre nobili, ma di certo le mie radici e il mio presente non stanno nelle piccole pretese nazionaliste di donne e uomini piccoli piccoli che nulla sanno di ciò che siamo stati, siamo ora e, soprattutto, vorremmo essere in futuro.


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minidiario scritto un po’ così di un breve giro per vedere la fine estate al nord: due, il mare del nord, le onde del nord, il cielo del nord, la villeggiatura del nord, camminare sulle acque, che nave!

Antwerpen-Zuid, Beveren, Sint-Niklaas, Lokeren, Gent-Danpoort, Gent-Sint-Pieters, Brugge ed eccomi in meno di due ore al mare, a Ostenda. È mare del Nord ma guardando lontano a sinistra si dice già Manica. Un tempo Ostenda provò a rivaleggiare con Calais in tema di traghetti ma non ci fu storia, come non ce n’è oggi, e optò per il turismo balneare definitivamente. Seguendo la costa per un po’, qualche chilometro, si arriva a Dunkerque, Dunkirk se la si guarda di là, dove l’esercito inglese intrappolato rischiò di essere annientato dai nazisti nel 1940 e la guerra, eccome, avrebbe preso un’altra piega. Il recupero di tutta la fanteria inglese, in pratica l’esercito intero (quattrocentomila soldati!), avvenne con un’operazione spericolata condotta anche con i barchini dei pescatori, la vicenda fu incredibile. È narrata in un film di Nolan di cinque anni fa, un po’ noioso ma con scene davvero spettacolari, senza effetti, da tre prospettive diverse, aria, acqua, terra.
Anche prima, Ostenda è sempre stata schiacciata dalla pressione marittima inglese e olandese per cui ebbe brevi periodi floridi e molte distruzioni, finché appunto non si ritirò sul versante dell’ospitalità. Ovvio che io son qui per il mare del Nord e il cielo, voglio vedere se oggi è come quello sul Baltico, perché la città, insomma, è graziosa ma senza grandi prerogative.

Per arrivarci bisogna attraversare una pianura piallata senza esitazioni, molto più verde e coltivata della Pomerania tedesca o polacca, tutta sabbia, mi ricorda più certe località costiere inglesi, tipo Sidmouth o Weston-super-mare. Le mucche pascolano fino a pochi metri dal mare, son quelle mucche bianche a chiazze marroni chiaro, non sono quelle blu famose del Belgio. Il cielo va e viene ed è una meraviglia, per quello è pieno di pale eoliche e, qua e là per integrare, qualche centrale nucleare. Ma con le mucche fa meno effetto, cosa può esserci di offensivo se ci sono le mucche? Fortuna che il Belgio ha qualche collina a sud altrimenti se lo sognavano Merckx.

Siccome non sono sicuro di volermi fermare per la notte, vado in cerca di un deposito bagagli per mollare le mie quattro cose e girare più comodamente per capire com’è la faccenda. Tra le perdite ferroviarie della modernità recente, oltre ai facchini, i vagoni ristorante, le sale d’attesa, lamento senz’altro i depositi bagagli, comodissimi. Ma come pretendono che si sposti al giorno d’oggi una dama col suo set di diciotto bauli da viaggio senza un deposito? Io non so. In Germania, Francia, Paesi Bassi e Belgio capita spesso che in stazione vi siano gli armadietti a moneta che funzionano egregiamente, ma non sono la norma. Stavolta ci sono, ottimo. Anche il fatto che la stazione sia sul mare ha un suo fascino e rimanda a un tempo, fine Otto e inizio Nove, in cui la villeggiatura e con essa Oostende, detto alla fiandrica, riscuoteva grande successo.

Per villeggiatura si intende quella cosa per cui si andava in un albergo molto lussuoso, o in una villa affittata, e si trascorreva il tempo più o meno come in città, intessendo relazioni, andando a teatro, il Kursaal Casino c’è ancora, facendo qualche terma, prendendo il tè e mangiando più del necessario. Però che buona l’aria. Il mare? Ignoto, se non da guardare. Lungo la spiaggia c’è un enorme edificio steso lungo la costa, tutto colonnato, che serviva sostanzialmente a questo, mangiare, conversare, stare al riparo quando tirava vento o pioggia, magari ma proprio magari fare un bagno caldo. E attorno delle belle case di villeggiatura, con ogni piacevolezza. La piazza con la voliera per l’orchestra al centro è ancora lì. Di sicuro all’epoca dei due Leopoldii qui c’era una bella vita non male. Poi, nei Cinquanta e Sessanta, uno sviluppo scellerato ha costruito case nei giardini delle ville e un’infilata di condominii lungo la spiaggia che mi ricorda Costanza sul Mar Nero, per fare un esempio meno scontato di Riccione. La stagione, quella cicciosa, è chiaramente finita ma le schiere di anziani che spadroneggiano sono molte, mangiano fritti e carni enormi, bevono botti di birra e vini bianchi e rossi, fumano gauloises come fossero liquerizie, seduti fuori al sole, ma non ce l’hanno un medico? O, forse, e qui mi cito, hanno quarant’anni e la villeggiatura li ha segnati. All’inizio del corso principale vedo un’armeria, con robe da assalto, e un negozio di bastoni da passeggio, e ho già compreso molto. Poi un cartolaio con alla radio gli Scorpions mi dice qualcosa sull’isolamento del luogo. Ma alcuni angoli sono gradevoli, di sicuro d’estate sarà più vivace.

Come a Stralsund, Rostock, Wismar, per citare alcune località di mare al nord di sapore thomasmanniano, tutte più belle di questa però, mezza giornata mi è più che sufficiente per girarla tutta e capirla, credo. C’è una bella cattedraletta in un gotico più inglese che flamboyant, con all’interno una Teresa in estasi del Bernini locale, un giardino giapponese frutto dell’amicizia giappobelgica, alcuni edifici primonovecenteschi interessanti e il mio giro è grossomodo finito. Ma io sono venuto qui per il cielo, per vedere quello del nord sul mare, mai fermo, mai uguale, che se fai un salto lo tocchi. Ecco, quello è grandioso e merita una lunga e attenta contemplazione, per potermelo portare indietro nella pianura. Così cammino sulla spiaggia, pulita come non mai, e mi godo la brezza, le nuvole, il sole e poi coperto e poi il sole e le onde.

Sì, padre, ho camminato sulle acque. Siccome il porto c’è e non è banale, attenzione altro momento umarell, noto una nave strana con quattro enormi piloni e una gru gigantesca, oltre a un buffo nome: la Vole au vent. Con i comodi strumenti di ricerca (vessel finder) ho scoperto che è una nave inglese per posare le pale eoliche in mare, come ce ne sono molte all’orizzonte, si vedono da qui nel mare nederlandico. Bene, la nave fa scorrere i piloni e si alza alcuni metri sopra il pelo dell’acqua e lavora da ferma. Beh, ganzissima, mai vista una nave così.

Ora son soddisfatto, piglio il treno e vado a un quarto d’ora da qui.


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