minidiario scritto un po’ così di un breve giro alla carlona: due, piccoli inghippi contemporanei, il nulla renano, grafica antica ma moderna, sì, proprio dietro san Remi

Prendo l’espresso del Reno per Aquisgrana, posto importante in cui vale la pena tornare tutte le volte che si può. Mi metto comodo, stendo un po’ di roba ad asciugare sui sedili, metto le cuffie e comincio a scrivere queste cosine qui. Dopo una mezz’ora mi accorgo che il treno è fermo e una giovane donna mi sta spiegando che dovrei scendere, che questo treno non andrà più da nessuna parte. Scendo e sono nel nulla renano.

Düren. Se non fossi un signore, direi che sono a inculandia. È il bello del viaggio e di quella poca avventura che i tempi moderni ci concedono ancora, bisogna approfittarne e cogliere l’occasione. Le condizioni meteo sono abbastanza proibitive, la città non merita più di tanto un giro, che comunque faccio, e poi torno in zona stazione per capire se e quando ci sarà un prossimo treno. Mi assiepo con gli altri viaggiatori al baretto della stazione, che è caldo e confortevole, conquisto una seggiola a fatica e mi metto a leggere e scrivere. Assisto alla composta e civile lotta per le prese della corrente ed è già molto che ci siano, figuriamoci da noi.

Deformazione mia, non riesco a non pensare ai nazisti e alle deportazioni se sto in una stazione tedesca sotto la neve, in particolare ad Auschwitz e quel gennaio là. Non so che farci. Vado ad Aquisgrana perché, devo dirlo?, c’è la cappella Palatina e il trono di Carlo Magno, i luoghi di corte e la cattedrale ed è un luogo cui sono affezionato. Oltre a essere una bella città. Ho un ricordo di parecchi anni fa, ormai, una mattina appena sveglio in cui davanti alla Marschiertor lessi che Robin Williams se n’era andato e mi spiacque, perché aveva quella vena malinconica che ogni comico dovrebbe avere e, anche, perché mi era molto piaciuto nel Re pescatore. Ricordi così. Niente, ancora fermi nella stazione nel nulla renano.

Poco fa, dal treno, ho scorto due enormi Bagger 288, ovvero le più grandi escavatrici del mondo, alte novanta metri e lunghe duecento. Sì, per davvero. È sempre Ruhr, ci sono ancora enormi miniere di lignite a cielo aperto che si fanno pochi problemi, anzi nessuno, ad abbattere campi e paesi pur di avanzare. Lützerath, un paesino abbandonato non lontano da qui, è stato al centro delle cronache a gennaio per la protesta dei cittadini contro l’abbattimento, al punto che partecipò anche Greta Thunberg. Le immagini della polizia che la porta via di forza hanno fatto il giro del mondo. Lo so, e io sto con loro, ma santoddio che bestia la Bagger 288, non l’avevo mai vista. Qui non è questione di umarell, è questione di rapimento estatico di fronte alle ruspe e alle macchine da lavoro. E questa è la più grande di tutte, come aver visto Giove col telescopio per un astronomo dilettante.

A un certo punto l’obstakolo sui binari è rimosso e andiamo. Ora il giro diventa davvero alla carlona, come da titolo, perché ci sono: Aquisgrana. In realtà sono piuttosto sistematico ma stiamo a vedere. L’importanza di Aquisgrana è legata al fatto che Carlo Magno decise di smettere il costume della corte itinerante e decise di far sede qui. La scelta era oculata ma andrebbe vista con gli occhi dell’Austrasia di allora, cioè quell’insieme di territori che andavano dall’odierna Francia dei pipinidi alla Germania al nord Italia, periferica invero, e allora tutto torna: è abbastanza al centro. E poi c’erano già le terme romane e, chiaro, l’acqua calda. Poi bisogna pensare a un centro amministrativo perlopiù, certo c’era un palazzo ma il fulcro erano senz’altro la cappella Palatina e la cattedrale, ancora oggi visibili, e la sala delle udienze e dei convegni, sulle cui fondamenta dal Cinquecento c’è il municipio. Ma possiamo senz’altro farci un’idea abbastanza precisa di come fosse guardando alla sala costantiniana di Treviri, impossibile da non considerare anche allora. E gli esempi in Italia e nei resti dell’impero romano erano ovunque. Siccome poi il papa stesso autorizzò gli architetti a prelevare colonne e arredi da Ravenna e Roma, il gioco è fatto. Se Carlo avesse visto, che so?, Versailles, si sarebbe messo a ridere.

Carlo parlava molte lingue ed era tutt’altro che ignorante, oltre a una visione politica molto avanzata. Non è certo però se sapesse scrivere, probabilmente poco o nulla, ma il suo monogramma è fenomenale, è quello qui sopra che è ovunque in città, graficamente stupendo. Invito a guardare con attenzione il centro, la A inscritta nella O, eccezionale. E il quadrato nel quadrato, ruotato di novanta gradi con, ovviamente, la croce, perché era pur sempre Sacro. Era la sua firma. Vien proprio da pensare a quel giorno di natale dell’ottocento, 800.

Nevica piove nevica. Alcune ragazze hanno fiori gialli in mano, non mimose ovviamente. In Germania l’otto marzo, la giornata internazionale delle donne, è festa e le aziende sono chiuse. I negozi no e sfugge un po’ la differenza. Nessuna manifestazione in vista o, almeno, non l’ho vista io. Di sicuro, qui la parità è più misurabile concretamente. La pasqua incalza. Mentre contemplo la volta della cappella Palatina proprio al centro esatto, faccio la conoscenza di Massì, così si pronuncia lui, che vuole fare la stessa foto. È di Reims, altro luogo di cattedrali sensazionali, e viene da un giro nel parco nazionale dell’Eifel, zona bellissima da visitare senza dubbio. Gli faccio i complimenti per Reims, è stupito conosca San Remi, ne raccontavo qui, perché ha una farmacia proprio lì dietro. Chiaro che ne capisce eccome di cattedrali gotiche, meno di architettura bizantina e preromanica come è la Palatina e come è Ravenna, che gli consiglio. Chiacchieriamo a lungo anche di come tutti i mosaici delle volte, dorati e magnificamente colorati, devono essere immaginati come illuminati dalle fiaccole e dalle candele e non, come è, dalla statica luce elettrica. Tutta un’altra cosa. È il bello del viaggiare da soli, capitano spesso interazioni come questa. Ci salutiamo, dicendoci che ci vedremo in giro. E con in giro intendiamo senza dovercelo dire l’Europa, la nostra casa.


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