minidiario scritto un po’ così delle cose recidive, ovvero perseverare nella pandemia: marzo, i contagi che accelerano, un anno e non sentirlo, la vita già vissuta, il carattere dei paesi

Eh sì, ho subito il contraccolpo della zona arancione rafforzata. Non della chiusura in sé, una pandemia è una pandemia e per quanto uno lo voglia, è difficile imbrigliarla, quanto più per tutto il contorno, anche stavolta. È passato un anno e non sembra, per certi versi pare la riproposizione di vita già passata e di sorprese già avute, i tifosi che si accalcano fuori dallo stadio per Atalanta-Real Madrid sono la figurina già incollata dei tifosi che si accalcavano un anno fa per Atalanta-Valencia, la gente che si spinge e se mena sui navigli a Milano la stessa di un anno fa, stesso posto, senza l’aperitivo di Zingaretti, la schiera di virologi che dice che sia necessario un lockdown rigido, i dati che peggiorano, le terapie intensive che si riempiono, i respiratori che mancano. Perché sì, nel più grande ospedale della mia città, quello trasformato in un hub regionale specifico per i malati di covid, questa settimana un paziente di cinquant’anni si è sentito dire che, dovesse peggiorare, non ci sarebbe stato un respiratore libero. Un anno, dunque, a inventarsi respiratori dalle maschere da immersione di Decathlon, a ripeterci che non ci saremmo fatti trovare impreparati – ma l’inazione era già chiara dall’estate -, a stringere lucrosi contratti per i vaccini che ci avrebbero sommersi, ed eccoci qua: mi spiace, non c’è il respiratore, la dovremo mandare nel capoluogo, sempre che non peggiori anche là.
E così no, però. Così non mi sta bene, non mi sta bene affatto. Non è così che io affronto i problemi e non è così che vorrei vedere il mio paese affrontarli. Ogni paese, intendo ogni nazione, ha un proprio carattere, proprio come le persone. Nelle situazioni di tensione, il carattere emerge con più evidenza e così è stato anche per noi. Attendere, vedere, non farsi venire il malanimo in anticipo, procrastinare per poi, a cose avvenute, affrontarle con toni drammatici, con i mezzi dell’emergenza, con il pathos della crisi, della paura, dei toni gridati e delle accuse che volano a destra e a manca. Ignorare il problema per mesi e poi inseguire con l’elicottero e il megafono un tizio che cammina sulla spiaggia. Questo è il nostro modo, nazionale, di affrontare i problemi, che siano dissesto geologico, crisi climatica, debito pubblico, spread, pandemia o nuovo governo. L’entusiasmo al limite della devozione per Draghi è preoccupante, sia perché eccessivo e sintomatico di patologie umorali ben serie, sia perché passerà con la velocità con cui è venuto. E così i problemi, nulla all’orizzonte, poi la situazione drammatica e poi puf, spariti fino alla prossima crisi.
Ecco no, io per il mio benessere psicofisico ho imparato, nel tempo e con l’esperienza, che non è un buon approccio, per me. Io le cose le devo affrontare subito, quando ancora non sono preoccupanti, le devo lavorare, suddividere, analizzare e poi, se possibile, almeno parzialmente, risolvere. Per non doverci pensare poi, a cose peggiorate, o per non doverci pensare troppo a lungo o, anche, per non dovermi ritrovare di nuovo, magari un anno dopo, nella medesima situazione. E poi, se mi trovo in difficoltà, mi concentro sulle priorità e tralascio le sciocchezze, cosa che evidentemente non riusciamo a fare collettivamente: il destino dei Cinque Stelle, il futuro di Conte, l’espulsione di Pjanic nel 2018, il libro di Casalino, San Remo, perdio San Remo!, le feste di Genovese, i sottosegretari, la loro distribuzione e il governo dei migliori, l’autista Atac e i suoi video su TikTok, lo stadio della Roma, lo spareggio tra la Farfalla e l’Orsetto tra i cantanti mascherati, Ronaldo al Miami, gli amori di Bollani, Celentano su tutti, due ore di elenchi di Salvini per rilassarsi, il golden globe a Laura Pausini, Sgarbi prossimo sindaco di Roma e vabbè, giusto per attenermi alla prima pagina del Corriere di oggi. Per dire. E Zingaretti si occupa della D’Urso. A posto.

C’è da chiudere? Chiudiamo, ma per davvero. Serve acquistare respiratori in previsione, anche se magari non li useremo? Facciamolo, nella giusta misura. Vaccinare il paese sarà un’operazione molto complicata? Bene, destiniamo persone, luoghi e risorse in anticipo, così da essere pronti quando sarà. Potrei andare avanti molte righe, non è il caso, sono tutti esempi retorici riferiti al passato. Ma a pensare alle priorità poi si passa per pesantoni, cheppalle, vogliamo divertirci? Tiene banco, di nuovo, la pasqua, oddio come passeremo la pasqua?, come l’anno scorso e come natale due mesi fa. Vi prego no, non di nuovo. Non ce la faccio. Più passano le settimane e più mi convinco, non so bene nemmeno io perché, che la prossima estate non sarà come quella passata. Cioè, non vi sarà un crollo del numero dei contagi a maggio e giugno, che ci permetterà di passare svagati tre mesi, per lo più senza mascherina. Quello era il risultato di due mesi di lockdown vero, pesante, serio. Quest’anno, ho l’impressione, sarà più un tira e molla, come questi mesi. Ed è un errore fare calcoli sulla mitigazione dei contagi per merito del clima, non avverrà, come dimostrano gli Stati Uniti la scorsa estate: faceva caldo e fu un disastro. Allo stesso modo, è un errore contare sui vaccini se poi le vaccinazioni non si fanno. È vero che in Inghilterra come in Israele i contagi sono crollati del 40% e i deceduti di un terzo ma loro hanno e stanno facendo fatto due cose che noi non stiamo facendo: un lockdown duro e prolungato e le vaccinazioni, anche se una sola a persona. Ecco, il carattere delle nazioni, l’Inghilterra non è certo stata meglio di noi, non ha pianificato alcunché ma, almeno, nell’emergenza reagisce e si concentra sulle priorità. La Germania va dritta per la propria strada, lockdown pesante e vaccinazioni con richiamo per tutti, più lento ma sicuramente più efficace.
Noi no, dichiarazioni eclatanti per provare a prendersi il posto di ministro, o di sottosegretario o, almeno, superconsulente, risse per strada e gente assembrata per gli aperitivi, a differenza di chiunque non ci siamo fatti mancare una crisi di governo, tanto opportuna quanto al momento giusto. Quanto tempo negli ultimi mesi abbiamo parlato di strategie per affrontare il covid e quanto di Renzi?
Ancor più di un anno fa, mi è chiaro che devo vivere in un paese, in una nazione, che si comporta come mi comporterei io. In generale, diciamo, come approccio. Se io fossi uno che reagisce sul piano fisico, che si rinchiude, uno che affronta di petto con i pugni chiusi le situazioni e per cui gli altri sono tutti potenziali nemici, andrei in Russia o in Corea del nord. Se fossi un ottimista sereno, avessi un buon carattere sociale e pensassi sempre collettivo, probabilmente andrei in Svezia. Se fossi una persona concentrata su di sé, dedita alle remunerazioni per compensare le delusioni, se mettessi al primo posto gli affetti e la famiglia contro tutti, se preferissi l’uovo oggi, se volessi acquistare una villetta costruita di fresco a sessanta chilometri dal centro e un suv bello grande così non mi faccio male, allora dovrei andare in Italia.


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