le allegre nonché inutili guide turistiche di trivigante: Monza e Teodolinda

Ci sono posti nei quali uno poi non va. E commette grandissimo errore, ahilui. Monza è uno di questi e, a titolo di risarcimento, ecco tre motivi in crescendo per fare una bella gita appena fuori porta (se non siete di Bari).

Motivo uno: i re e l’espiazione altrui
Il palazzo reale, di costruzione mariateresiana per il quarto figlio, governatore di Milano, era residenza estiva e come tale mantiene il bellissimo parco, al netto dell’autodromo, il roseto e la struttura leggera e sobria. Il vialone di fronte, lungo due chilometri, vide il giovane Gaetano Bresci sparare fatalmente a Umberto I re d’Italia, andando così ad aggiungersi al lungo elenco di regicidi e presidenticidi di fine Ottocento e inizio Novecento. Sul luogo dell’umberticidio fu posta una lugubre colonna espiatoria che ancora oggi fa non bella mostra di sé, attorniata dalle scritte dei nostalgici brescini. W Bresci M il re.

Secondo motivo: la corona ferrea
La corona ferrea, conservata nel Duomo di Monza, è un’antica corona (alcuni parti sono del quinto, altre del settimo-ottavo secolo) utilizzata per l’incoronazione dei re d’Italia: secondo la tradizione, da Carlo Magno a Napoleone, passando per il Barbarossa e un po’ di Ottoni.
È formata da sei piastre d’oro, incastonate di pietre preziose, e due piastre di ferro, ricavate da un chiodo della crocifissione di Gesù. Dicono. A metà del Trecento dei ladri si impadronirono della corona ma rubarono religiosamente solo le due piastre di ferro, lasciando le preziosità. La corona, quindi, divenne più piccola.
Ora: non c’è re, per quanto grande e fiero, che indossando una corona di taglia ridotta non faccia la figura del, mmm diciamo, ritardato. E quindi? Quindi Carlo V, per esempio, si fece fare un cappello a cono sul quale far scivolare la corona; Napoleone, invece, al noto grido di: «Dio me l’ha data, guai a chi la tocca», la sollevò con le mani sopra la propria testa senza appoggiarla, per poi mettersi una corona fatta all’uopo.
I Savoia no, ciccia, perché la corona è reliquia e loro furono scomunicati.

Terzo motivo: la cappella di Teodolinda e lei in generale
Teodolinda, figlia del re dei Bavari, sposò Autari, re dei Longobardi. Ma Autari morì dopo poco e lei non possedeva alcuna caratteristica per restare regina dei Longobardi: infatti era straniera, cioè bavarese, cattolica, cioè quasi eretica per gli agnostici Longobardi, e soprattutto, come oggi, era donna. Eppure lei, brava e bella, riuscì a tenere il tutto in pugno. Furono anzi i duchi a proporsi a lei come re consorti secondo la di lei scelta, la quale ricadde su Agilulfo.
Un luminoso esempio, dunque, di donna di potere in tempi difficili.

Filippo Maria Visconti, a metà del Quattrocento, avendo una sola figlia femmina, Bianca Maria, e ponendosi con urgenza il problema della successione, fece operazione politica riesumando la storia di Teodolinda, ridisponendone la tomba nel duomo di Monza e facendo affrescare dai fratelli Zavattari un enorme ciclo di affreschi raffiguranti la storia della valida e coraggiosa regina, al fine di legittimare la propria figlia. Il tutto si trova nella cappella di Teodolinda nel duomo, un ambiente clamoroso che, oltre a contenere anche la corona ferrea, è affrescato con un trionfo di oro, argento e pittura sopraffina, di gran commozione. Basti guardare l’immagine qui sopra, sempre Teodolinda.

Non mi dilungherò oltre, il duomo stesso merita attenzione, alcune ville altrettanto, ma questi tre motivi bastano da soli per una visita. Anche solo il secondo e il terzo o l’ultimo soltanto, se è per questo. Per dire: non andate a New York o a Bangkok o a Matera senza andare a Monza. Perché sarebbe sciocco non farlo.

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Liliana, la tua scorta

Strepitosa anche la fotografia, oltre alla marcia dei sindaci in sé.

Foto di Andrea Cherchi

Per chi non ne fosse al corrente, cito: «Migliaia di persone a Milano hanno partecipato alla “marcia dei sindaci” contro l’odio, organizzata dal comune di Milano con l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI), le Autonomie Locali Italiane (ALI) e l’Unione Province Italiane (UPI) per mostrare solidarietà e vicinanza alla senatrice a vita Liliana Segre».

Ancora meglio lo striscione, commovente:

Foto LaPresse – Mourad Balti Touati

Per fortuna.

Spiace, al contrario, decretare la fine delle sardine.

Perché quel memorabile 2009 è ancora tra noi: «Il Pd non è un taxi su cui chiunque può salire. Se Grillo vuole fare politica fondi un partito. Metta in piedi un’organizzazione, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende. E perché non lo fa?». Ops.

ecco, ci siamo: cinquanta

Dopo il quarantottesimo, il quarantanovesimo era probabile che sarebbe successo: il cinquantesimo dodici dicembre.

Questa sopra è piazza Fontana, ossia la Banca nazionale dell’agricoltura, poco dopo lo scoppio. Poi ci sarebbero stati gli anarchici, Valpreda, la questura, Pinelli, Guida e Calabresi, il volo dalla finestra, i depistaggi e un incubo che oggi compie cinquant’anni.

Giuseppe Pinelli, se non l’avete mai visto. Sua moglie, Licia Pinelli, ha parlato forse due volte in questi decenni, si è però lasciata convincere da Piero Scaramucci a lasciarsi intervistare a lungo, Una storia quasi soltanto mia, per raccontare la propria storia. Una storia quasi solo sua, come dice giustamente il titolo, sia perché la famiglia era la sua, distrutta, sia perché Licia e le due figlie furono lasciate da sole dalle istituzioni e, non bastasse, insultate dalle volgarità e dalle falsità dette su Pino, fino ai nostri giorni. Un libro ricco di storia e di umanità, ne parlavo qui e mi sento di dire che andrebbe letto.

Oggi ci sono finalmente delle placche in piazza Fontana che dicono chi è stato a mettere la bomba: Ordine nuovo. I fascisti. Cinquant’anni per trovare il coraggio di metterle. Il sindaco Sala ha chiesto scusa alla famiglia Pinelli, che è un gesto dovuto da moltissimi anni.

Continuiamo a fare memoria, soprattutto ricordando chi era dalla parte giusta e chi da quella sbagliata. E chi ancora oggi lo è.

Fino al 20 dicembre, alla Casa della Memoria di via Confalonieri 14 a Milano è esposta la mostra fotografica “17 graffi. Piazza Fontana 50°”, che ricorda le diciassette vittime della strage con gli oggetti ritrovati nella banca. Perché ogni cappello, ogni ombrello, ogni cappotto era una persona.

Qui, per chi vuole, tutta la storia spiegata bene.

la prima

Ieri sera, la prima della Scala. Non che la Tosca mi faccia impazzire ma alcune scenografie mi sono piaciute, nonostante domenica mattina Ricordi (credo fosse lui all’apertura musicale) su Radio Popolare sostenesse che il regista è uno che non ha una sola idea.
Poco importa, io ero già soddisfatto per aver visto nel foyer Angelino Alfano sorridente e in buona salute. Ecco, questo mi rincuora, dopo una così lunga assenza e sono contento che il più grande genio politico degli ultimi anni (lo ricordo: ministro dal 2008 al 2018 in governi di segno opposto con una sola breve pausa in mezzo) stia bene.