scoop: la vera natura dell’insediando governo e di Conte

Come abbiamo visto tutti, il presidente incaricato Conte si è intrattenuto lungamente con Mattarella (nota di folklore: è la prima volta nella storia repubblicana in cui il presidente incarica una persona che non conosce), ha ricevuto l’incarico, ha tenuto un discorsetto la cui prima metà era chiaramente di pugno non suo e la seconda metà, invece, sì (e si vedeva, la bestialità dell’avvocato difensore ancora mi sta qui) ed è, ora, impegnato nelle consultazioni.

Ma chi è, davvero, Conte? È chi dice di essere nel suo curriculum o nasconde dell’altro? Chi sono ‘Loro‘ e perché non vogliono che noi sappiamo le cose vere? Perché nessuno parla mai del piano Kalergi? E del Priorato di Sion?
Lo so, è per questo che anch’io cerco di dipanare le nebbie. Ecco, infatti, uno scoop sulla vera natura del neo-presidente Conte e del suo governo nascituro, come ciascuno può constatare facilmente dall’immagine qui sotto:

Lo so, è identico. È lui, ma loro non vogliono che noi lo si sappia. Pazzesco, eh?
[Gomblotto, gomblotto, grazie a mr. M. che se n’è accorto, mentre io vivevo ancora nell’oscurità e nell’ignoranza].

una magnifica, irresistibile, italica abitudine

È durato qualche ora il curriculum di Giuseppe Conte, ben diciotto pagine di specializzazioni e titoli accademici: pum, l’Università di New York sente il desiderio di rompere le uova nel panierino (euf.).

Altri? Yale? Sorbona? Nulla? Uno spasso anche stavolta, in questo paese il curriculum viene concepito più come opera di fantasia che come strumento di qualcosa. Perché la vita è invenzione, buon umore e sempre viva il genio italico.

[aggiornamento del pomeriggio: la fuffa nel curriculum pare essere maggiore: scuole di tedesco accreditate come enti di cultura, enti europei inesistenti, insomma la candidatura di Conte traballa e dai, siamo probabilmente daccapo. Complimenti].

I’ll be what you want oh when you want it / but I’ll never be what you need

Oggi esce, era ora, il nuovo disco di Courtney Barnett.
Naturalmente qui lo si ascolta da un bel po’, per via dei singoli sbrodolati nei mesi scorsi e di sfroso negli ultimi giorni, e un’idea me la sono fatta. Ma nonostante l’acquisto sia di mesi fa (bisognerebbe parlarne un po’, di questa cosa del pre-acquisto fatto eoni prima), è oggi per davvero che è sul piatto. E il 10 giugno si va a sentirla, nel posto strano. Viva.

Ah, anche in cassetta.

Dal vivo, io dico Charity. Sul piatto, dico Help your self.

dopo l’arte degenerata, al bando l’arte malsana

Olio di palma? Lattosio santoddio? Glutine? Siamo pazzi?
Giammai, nessuno di questi, essi sono il male, la trinità maligna dell’alimentazione contemporanea. Meglio assumere PCB, arsenico, mercurio, microplastiche e diserbanti per via diretta, piuttosto che lo zucchero del latte. Non scherziamo, con queste cose.

E allora, come sempre fedele allo spirito di servizio che mi contraddistingue, il reparto Alimentazione Corretta e Sana e alla Moda di trivigante (ACSMdt) – dopo l’imperdibile materasso vegano per sonni memorabili – propone oggi una ricca selezione di opere d’arte immortali che possono, finalmente, essere assunte senza glutine e senza rischio.
In collaborazione con il Gluten Free Museum, ente benefattore dell’umanità, ecco per voi alcune opere con le quali potremo alimentare le nostre menti con criterio. Eccole (non guardate troppo a lungo quelle di sinistra, fanno male):

Roy Lichtenstein

Pieter Brueghel

Paul Cézanne

Édouard Manet

Johannes Vermeer

Giuseppe Arcimboldo

Jean-François Millet

Vincent van Gogh

E per chiudere, come dessert ma sempre senza il mortale glutine, quella bellissima foto di Picasso scattata da Doisneau, a tavola.

Sana anch’essa.

che il Dio di Mosè sia alla tua destra

Forse nemmeno un’ora di lettura, qualche decina di pagine per quello che è un vero gioiello dal punto di vista dell’intreccio e della struttura: Katherine Kressmann Taylor, Destinatario sconosciuto.

Si tratta di un romanzo epistolare pubblicato nel 1938 su una rivista americana, Story, e poi come libro autonomo, che riscosse un immediato successo per poi essere dimenticato e riscoperto negli anni Novanta. Oltre alla lettura in sé, un testo del genere – 1938, lo ricordo – dimostra come negli Stati Uniti fossero perfettamente a conoscenza di ciò che stava succedendo in Germania in quegli anni.
Bastava volerlo sapere.

il più figo?

La scrittura di frasi sulle pareti dei cessi è, da sempre, un’arte estrema: o squallida e tremendamente volgare, o sopraffina. Questo seconda eventualità si manifesta spesso là dove la cultura è di casa, dove si legge e dove si ha abitudine di parlare delle cose e dei pensieri.
Per fare un esempio? Recanati, nella quale Giacomino aleggia ancora in ogni recesso, e non solo lui. Mr. C., sfidando l’irresistibile attrazione del water per il telefono, è riuscito a documentare una tipica, colta, sublime frase giovanile da cesso, come di certo non negli autogrill.

Grazie, mr. C., non avrei osato neppure negli angoli più spinti della mia immaginazione.

la fouquieria columnaris, o albero di Boojum, le mappe dell’Oceano e la scomparsa della Zelandia

Nel 1874 Lewis Carroll, matto amato, scrisse The Hunting of the Snark, un poemetto umoristico ricco di – serve dirlo? – nonsense. Eccerto, Lear.
Lo dichiarò lui stesso, raccontandone la genesi: «Stavo camminando su una collina, da solo, un giorno luminoso d’estate, quando improvvisamente mi sovvenne un verso, un singolo verso: “For the Snark was a Boojum, you see“. Allora non sapevo cosa significasse: non lo so neanche adesso; ma lo scrissi: e, tempo dopo, il resto del poema mi venne in mente, con quel verso come conclusione». Troveremo mai lo Snark?

Chissà. Di certo, per trovarlo serve cercare. E per cercare, per terra, acqua e aria, servono delle mappe. Henry Holyday, per la prima edizione del racconto, ne disegnò una dell’Oceano, così da potersi orientare nel grande mare e seguire proficuamente le tracce dello Snark. Eccola.

Come sbagliare? Tra l’altro, e la cosa è davvero rilevante, questa mappa serve anche per trovare, oltre al mortale Snark, anche il bandersnatch, il beamish, il frumious, il galumphing, il jubjub, il mimsiest, l’outgrabe, e – per non farsi mancare nulla – anche l’uffish. Basta cercare.
Infine, e la cosa ha in qualche modo a che vedere, non ci si può credere a quante siano le mappe, contemporanee e non, dalle quali manca la Nuova Zelandia. Dimenticandia o complotto globale? Loro – loro zelandii – pensano la seconda.