locomotiva a vapore Vesuvio, 3 ottobre 1839

La ferrovia Napoli-Portici fu la prima ferrovia italiana, inaugurata nel 1839: a doppio binario (ci sono linee in Sicilia, oggi, che ne hanno uno solo), andava da Napoli alla stazione di Portici-Ercolano, per una lunghezza complessiva di 7,25 chilometri.

L’inaugurazione della Ferrovia Napoli-Portici, di Salvatore Fergola, 1840.

La ferrovia faceva parte di un piano più ampio: infatti, nel 1842 fu prolungata fino a Castellammare e nel 1844 fu completata la prosecuzione per Pompei, Angri, Pagani e Nocera Inferiore.
Dal 1843, il Reale Opificio Borbonico di Pietrarsa, sulla linea ferroviaria all’attuale stazione di Pietrarsa-San Giorgio a Cremano, fu parzialmente e poi totalmente convertito alla «costruzione delle locomotive, nonché delle riparazioni e dei bisogni per le locomotive stesse, degli accessori dei carri e dei wagons che percorreranno la nuova strada ferrata Napoli-Capua». Carri e wagons che erano pressappoco così:

Carrozza ricostruita sul modello dell’originale del 1839.

Poi, con l’Unità d’Italia prima e poi con l’abbandono progressivo della trazione a vapore, le Officine di Pietrarsa persero pian piano di importanza, fino alla chiusura definitiva del 1975. Nel 1989, fu inaugurato il Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa proprio nei capannoni delle Officine, con locomotive a vapore, locomotive elettriche trifase, locomotive a corrente continua, locomotori diesel, elettromotrici, automotrici e carrozze passeggeri in esposizione.

Poi il Museo ebbe svariate traversie, siamo in Italia, no?, venne chiuso, poi riaperto nel 2007 e ora, finalmente, ristrutturato e riaperto qualche giorno fa, il 31.
Ecco alcune immagini, bellissime (le foto sono di Riccardo Siano), che fanno proprio voglia – a me, almeno – di andarci.

E poi il gioiello: il vagone reale, Savoia prima e presidenziale poi, una piccola Versailles su ruote che suscitava persino l’invidia dello Zar.

Il sito del museo. Spero, davvero, che stavolta sia la volta buona.

il funk e il soul di questo decennio: due dischi

Mai nulla potrà compensare la perdita di Sharon Jones.
Però, per fortuna, giovani interpreti soul/funk si affacciano e fanno bello il panorama, con i loro gruppi & The Qualcosa, immancabili nel genere. Primo disco: Marta Ren con i Groovelvets, attenzione: dal Portogallo, una voce che nemmeno vedendola ci credi che non è nera, buoni fiati, ritmo travolgente, insomma tutto quello che il genere richiede. Lei governa, eccome, il tutto con grande presenza. Consigliato.

Secondo disco: Mahalia Barnes e i Soul mates. Più rock, voce complessivamente più potente ed estesa di Marta Ren, lei si mantiene più all’interno dei generi canonici: una ballatona è una ballatona, d’altra parte è australiana e meno sofisticata di Ren. Disco potente, alcuni pezzi davvero notevoli (He was a big freak, per dirne uno), consigliato anche questo.

Francesismo: due dischi possenti da muovilculouomo. Forse dire che il genere è vivo e prospera è un po’ eccessivo, però per fortuna esiste e suona bene, grazie anche a Ren e Barnes, che tengono il passo e innovano pur mantenendo quanto il soul richiede.
Dischi buoni.

trentaxdue: amole lungo lungo

I dischi in vinile sono vivi. E costano, pure.
Sebbene non troppo visibile, c’è un’offerta Amazon sui vinili fino al 30 aprile: 30 euro per due. E che due: i titoli sono buoni, grandi classiconi, cose da avere in una rispettabile collezione. Per esempio, una coppiola da acquistare a parer mio è:

Così, per dirne due per cui trenta euro son persin pochi.

(Certo, vien un po’ da ridere a vedere che in cd o, peggio ancora, in mp3 il prezzo è meno del meno della metà. Però stiamo parlando di feticismo del vinile, no?).

un debito di riconoscenza

È morto Giovanni Sartori, politologo.

Io cerco di avere un po’ di memoria e un po’ di onestà, se riesco, per cui devo dire che ho un debito di riconoscenza nei confronti di Sartori: negli anni della, ehm, discesa in campo di Berlusconi e negli anni, peggiori, di governo continuato (2001-2006), Sartori fece sempre sentire la sua voce in modo molto chiaro e limpido, spiegando di volta in volta le storture alle quali il sistema politico era costretto da Berlusconi, per ruolo, comportamento e figura.
Per questo, ovvero per quanto ha fatto allora, io gli sono grato.

[Poi in anni più recenti Sartori se la prese un po’ a destra e a manca, per esempio con: «Prenda Obama. Frequentava alla Columbia il corso di laurea dove insegnavo. Ma non l’ho mai visto alle mie lezioni. Le sembra uno capace? […] Io avevo due corsi importantissimi per lui! Uno sulla teoria della democrazia, l’altro su metodo, logica e linguaggio in politica. Tu vuoi fare politica e non segui questi corsi? Gli interessava solo di essere eletto. Personaggio da quattro soldi», dal Fatto quotidiano, il che è un ragionamento un pochino discutibile, ed è pur vero che negli anni di Berlusconi ci siamo agitati e abbiamo gridato in parecchi, senza che nulla accadesse, ma la cosa adesso ha poca importanza].

chi è lo re?

Lo Scrittore più importante degli ultimi 20 anni? Salinger.
Il più importante regista? Kubrick.
L’artista contemporaneo? Banksy.
Il gruppo di musica elettronica? I Daft Punk.
La più grande cantante italiana? Mina.

Il filo invisibile che lega questi personaggi?
Nessuno di loro si lascia fotografare.

È ancora Pio XIII/Lenny Belardo che parla, a proposito del mistero che deve attorniare la figura del Papa e del perché non vuole mostrarsi ai fedeli: sono d’accordo con lui, l’ho già scritto. Ancor di più quando lo vedo così:

Niente moralismo, semplicemente il re deve fare il re. Se è tuo amico, non è più il re.