27 marzo 1968, in morte di Jurij Gagarin

Un articolo di Gianni Brera dai curiosi toni, stranamente personali e lirici con quel nome italianizzato che lascia un po’ così, scritto in morte del cosmonauta. Lo riporto perché mi ha colpito, non me l’aspettavo da Brera.

 Giorgio Gagarin è morto. Era stato il primo messaggero degli uomini nel cosmo: l’eroe che esprimeva l’ansia di tutti noi, improvvisamente umiliati dalla pochezza del nostro mondo. Quando un grande eroe perisce, l’uomo appena degno di questo nome sente ingroppirsi la gola. Non valgono parole a celebrarlo. Tanto meno le parole di un umile artigiano della penna. Giorgio Gagarin aveva nel volto chiaro e onesto la serena innocenza del predestinato. Per singolare destino, gli eroi veri sono candidi: i loro occhi esprimono mite purezza: sono puliti fino a commuovere.
Giorgio Gagarin assurge ora a simbolo d’un nobile popolo pervenuto alla ribalta della storia traverso inenarrabili sacrifici. Voi potete pensarla come volete a proposito di socialismo. Ricordando Giorgio Gagarin non dovete macchiarvi di calcoli banali, troppo bassi per lui e per la sua gloria. Giorgio Gagarin era un contadino russo. Con venti copechi si è iscritto a un Aereo Club e ha conseguito il brevetto di pilota d’aereo. Quando si ricercavano astronauti per la conquista del cosmo, Giorgio Gagarin si è presentato ed è toccata a lui la fortuna di precedere tutti.
Era un individuo perfetto. Aveva tanto coraggio da accettare il rischio con superumana calma. È così entrato nel novero dei pochissimi che aiutano i loro simili – in apparenza – a sentirsi uomini, cioè superiori alle bestie. Tra questi pochissimi potete includere alcuni santi soavi ed eroici, alcuni sublimi artisti, alcuni scienziati. Giorgio Gagarin era egli pure un santo, incoronato di un’aureola scientifica: è in effetti l’ultimo santo della nostra religione assurta a filosofia, dunque a scienza.
Non vi sono molti modi di rendere omaggio a un santo che aiutandoci a vivere ci onora. Io sono sopraffatto da queste espressioni che mi vengono dritte dal cuore e da una cultura che purtroppo ignora le rampe dei lanci interplanetari. Avrei semplicemente voglia di piangere e penso che se fossi a Mosca andrei al funerale di Giorgio Gagarin sentendomi per una volta esaltato di vivere in tempi che si onorano di lui.
La vita non è solo rifugio di vili se esprime uomini come Giorgio Gagarin: ma poiché la nostra natura è mediocre, io da pover’uomo mediocre annoto in questo diario che la terra era troppo bassa per quell’anima grande e serena. La limpida fantasia dei primitivi era meno ingombra di simboli distorti: i loro eroi venivano rapiti in cielo: la memoria di essi era mito.
Un epicedio di Giorgio Gagarin è veramente valido se viene composto di sole lacrime virili. Addio, dunque, Giorgio Gagarin di Mosca. Domani, non veduto, coglierò un fiore e pronuncerò il tuo nome: forse pianterò un albero, un umile salice di riva, che ti ricordi a ogni frusciare di foglie. Solleverò una zolla come per gettarla sulla tua tomba. La mia mano tozza di contadino stringerà e tratterrà quella zolla per un istante. Nessuno dovrà sapere con quanta fierezza compirò simile gesto, io contadino come te, Giorgio Gagarin di Mosca.

Da Gianni Brera, Il principe della zolla.

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